Quell’istinto auto-distruttivo palestinese

E’ ora che il mondo si renda conto che abbiamo a che fare con bande armate che hanno fatto del conflitto la loro fonte di reddito

Di Guy Bechor

Guy Bechor, autore di questo articolo

Guy Bechor, autore di questo articolo

Generazione dopo generazione, i palestinesi sono e restano in conflitto con il popolo di Israele. Attaccano, perdono e poi gridano “Nakba” per tramandare la tradizione del conflitto alle generazioni future.

Questo format conflittuale dura ormai da quasi cento anni senza che sia stata appresa una sola lezione, senza che si sia levata una voce critica o autocritica.

Qual è il problema cronico dei palestinesi? E’ che sono ammaliati dai loro inamovibili capi, che per lo più rappresentano interessi di parte. E questi sono i risultati.

Ma cosa pensano? Che lo stato d’Israele e il popolo ebraico si arrenderanno e capitoleranno? Ovviamente non accadrà mai, perché questo è l’unico paese che abbiamo, ed è il nostro unico paese da 3.500 anni, mentre gli arabi musulmani hanno tutto un mondo arabo.

Il giorno in cui verranno a patti con il fatto che il popolo ebraico non se ne andrà da nessun altra parte – e che al contrario si moltiplicano e sviluppano con successo le sue forti radici in questa terra (ed anzi, alla luce del disfacimento di stati come la Libia, l’Iraq e la Siria, si capisce quanto Israele sia uno dei pochi stati nazionali realmente radicati in questa regione) – solo allora la pace sarà possibile. Ma quel giorno è assai lontano, e non c’è inquieto mediatore americano che possa accelerarne l’arrivo. Ciò significa che siamo destinati ad avere ancora parecchie generazioni di suicidio arabo collettivo, e che nessuno venga poi a dire che non lo sapeva.

Potremmo chiederci perché mai tanti arabi nella striscia di Gaza si fanno uccidere a vantaggio dell’Iran, di al-Jazeera, del Qatar, dei Fratelli Musulmani e dei loro interessi. Forse non c’è una vera risposta, a parte l’istinto auto-distruttivo.

I risultati di quest’ultima crisi si sapevano in anticipo: Israele ha trovato una soluzione per neutralizzare i razzi, ha fatto i conti con i tunnel e ha impartito alle organizzazioni armate di Gaza una dura lezione. Dunque, per cosa suicidarsi?

Nel cerchio rosso, un aereo civile in decollo dall'aeroporto internazionale Ben-Gurion, visto dalla Cisgiordania

Nel cerchio rosso, un aereo civile in decollo dall’aeroporto internazionale Ben-Gurion, visto dalla Cisgiordania. Sullo sfondo, Tel Aviv e il mar Mediterraneo

Circa il futuro, né Israele né l’Egitto accetteranno i miraggi offerti da Hamas, giacché si tratta di un’organizzazione interessata a istituire qui un pericoloso califfato islamico in stile ISIS, e nessun paese civile può accettare una tale prospettiva. Allo stesso modo, né Israele né la Giordania accetteranno il miraggio di consegnare i territori alla totale sovranità dell’Autorità Palestinese, giacché questo si tradurrebbe in una minaccia vitale per la stabilità nella regione.

Quando, lo scorso 22 luglio, per un solo razzo caduto su Yehud, un sobborgo di Tel Aviv a 1,6 km dal perimetro dell’aeroporto internazionale Ben-Gurion, gran parte delle compagnie aeree hanno immediatamente sospeso i volti per Israele, il noto giurista americano Alan Dershowitz ha scritto, in un articolo per il Gatestone Institute: “Può darsi che Hamas abbia affossato ogni realistica prospettiva di una soluzione a due stati”, giacché Israele non potrà permettersi il rischio che Hamas prenda il controllo della Cisgiordania, che si trova a ridosso dell’aeroporto e del cuore economico e demografico di Israele. “La nuova realtà creata da Hamas quando ha provocato la chiusura dei voli internazionali da e per Israele – ha scritto Dershowitz – giustificherà con tutta evidenza la richiesta israeliana di mantenere un controllo militare sulla Cisgiordania nel quadro di qualsiasi futuro accordo per una soluzione a due stati”. (Da: Times of Israel, 10.8.14)

In altre parole, qui si tratta di bande armate, alcune delle quali si travestono da entità politiche, che cercano di imporre il loro dominio criminale. Possono riuscire a ingannare una parte dell’ingenuo Occidente, che peraltro sta affrontando la stessa minaccia, ma certo non inganna noi.

Quello che resta, a queste bande, è la bega per la spartizione del trofeo: i miliardi per la “ricostruzione”. Non un solo “profugo” è stato riabilitato, ad oggi, né in Cisgiordania né a Gaza, nonostante i circa 15 miliardi di dollari – e forse anche di più – donati dal 1992. Allora, dove è andato tutto quel denaro? Il grosso dei fondi è stato rubato dai capi-banda, che sono diventati milionari. Da quando l’Europa ha ridotto gli aiuti finanziari alla striscia di Gaza e il reddito “indipendente” di Hamas è stato decurtato dalla rottura con Assad (e con l’Iran) e dalla chiusura dell’approvvigionamento proveniente dall’Egitto, i capi-banda hanno lanciato una guerra allo scopo di far ripartire l’afflusso di fondi. Infatti i fondi potranno tornare non appena gli stati del Golfo e gli europei, terrorizzati da ciò che sta accadendo, riapriranno i cordoni della borsa. Ma cosa ci guadagnerà il palestinese della strada? Assolutamente nulla.

E’ ora che il mondo si renda conto che abbiamo a che fare con un soggetto distruttivo divora-budget, totalmente incapace di produrre sviluppo, che vivrà sempre a spese degli altri e che ha fatto del conflitto la sua fonte di reddito. Se non c’è “conflitto”, non arrivano i soldi.

Qualunque somma donata alla “ricostruzione” attraverso gli apparati di Hamas, Fatah, Jihad Islamica e delle altre bande contribuirà direttamente a perpetuare il conflitto e l’ostilità, nella tradizione dello scontro perenne. Il grosso del denaro non andrà alla popolazione per la “ricostruzione”, ma verrà utilizzato per preparare i prossimi round del conflitto; non andrà ai “palestinesi”, ma al “problema palestinese”; non finanzierà la calma e la coesistenza, ma l’istigazione e l’indottrinamento. Per cui non ci resta che dire ai palestinesi: arrivederci al vostro prossimo suicidio.

(Da: YnetNews, 16.8.14)