«Questo aiuto è il nostro modo di dire: mai più»

Volontari israeliani in soccorso delle vittime della guerra civile siriana

Di Danny Spektor

“Anat”, al centro (col volto offuscato), in compagnia di piccoli profughi siriani

“Anat”, accovacciata al centro (col volto offuscato), in compagnia di piccoli profughi siriani

Circa un mese e mezzo dopo lo scoppio dei combattimenti in Siria, Anat (non è il suo vero nome) decise che era tempo di agire. E così, radunata la sua organizzazione – un gruppo israeliano specializzato in aiuti a paesi bisognosi che non intrattengono rapporti diplomatici con Israele – è partita. Ora sono quasi tre anni che è via.

“Siamo qui per dare voce a chi non ha voce e per offrire qualche prospettiva al mondo – spiega – Israele è un paese che è stato fondato da una nazione quasi sterminata dalla Shoà, e questo aiuto è il nostro modo di dire: mai più. Non possiamo rimanere in silenzio quando sono coinvolte altre persone”.

L’organizzazione ha operato in Iraq, Indonesia, Pakistan e molti altri paesi. “Per noi è importante rompere gli stereotipi – dice – Non siamo espressione delle solite ingenue anime pie umanitarie. Fra noi ci sono sia persone di sinistra che di destra, ebrei e musulmani: tutti israeliani che condividono questo impegno. E gran parte dell’organizzazione è costituita da veterani delle unità d’élite delle Forze di Difesa israeliane, gente con una solida conoscenza della sicurezza. Il nostro denominatore comune è che siamo certi della assoluta superiorità istituzionale e strategica di Israele rispetto ai suoi vicini, e dall’interno di questa sicurezza possiamo aiutare i bambini anche dei nostri peggiori nemici. E con altrettanta determinazione un giorno, se necessario, potremmo guardare quei nostri nemici attraverso il mirino di un fucile”.

Combattimenti tra forze pro e anti regime siriano nei pressi del valico di confine di Quneitra, visti dalla parte israeliana delle alture del Golan (giugno 2013)

Secondo recenti reportage dell’Economist, Anat e decine di altri israeliani non a lei collegati sono attivi all’interno della Siria nell’opera di soccorso ai profughi civili. “Il nostro aiuto arriva secondo diverse modalità – spiega Anat – Ci sono attrezzature per i campi profughi, ci sono stabilimenti che garantiscono forniture di massa di cibi non deperibili: di recente abbiamo distribuito 300.000 pasti. Quando possiamo, diamo loro telecamere per documentare le loro condizioni di vita, farmaci e altri mezzi di soccorso e sostentamento. Non diamo mai armi, anche se a volte ce le chiedono in modo un po’ tortuoso. Una volta uno dei loro capi mi fece capire che avevano bisogno di armi, ma ho messo subito in chiaro che la nostra organizzazione fornisce solo aiuti umanitari e nient’altro”.

Alcuni dei siriani non sanno nemmeno di essere aiutati da israeliani; altri lo sanno, e gli sta bene così. “La dirigenza lo sa – dice Anat – e sono loro che ci indicano dove andare per aiutare i più. Alcuni in un primo momento sono rimasti scioccati quando hanno saputo che siamo israeliani; altri hanno detto che lo sapevano che, se mai qualcuno li avrebbe aiutati, sarebbero stati degli ebrei; alcuni si chiedono addirittura come mai ci abbiamo messo tanto ad arrivare”. E continua: “Parliamo spesso di quel che sarebbe accaduto se avessimo dato loro il Golan. A volte porto loro del vino del Golan e scherzo sul fatto che starei portando loro del vino siriano”.

L’organizzazione ha anche volontari del posto siriani. Uno di loro è morto in un raid aereo. “E’ terribile – dice Anat – Noi tutti abbiamo la nostra vita e le nostre famiglie a casa. Ma sarebbe ancora più terribile annegare nella palude di indifferenza che ha conquistato il mondo”.

(Da: YnetNews, 8.9.13)