Rampe daccesso, palloncini e altri pretesti

La campagna anti-israeliana ha fatto il miracolo: d'un tratto le fazioni palestinesi hanno ritrovato il nemico comune

M. Paganoni per NES n. 2, anno 19 - febbraio 2007

image_1587L’ennesimo pretesto. Appeso, ancora una volta, ad uno slogan formidabile: “difendiamo la moschea di al-Aqsa dall’aggressione degli ebrei”. Un pretesto spudorato, ancora più pallido – se possibile – dei precedenti. Esiste una passerella pedonale in legno che connette l’area del Muro Occidentale alla Porta Mughrabi e dà accesso alla spianata sul Monte del Tempio. Non è sicura e va sostituita con una struttura in metallo. Per procedere è necessario, a norma di legge, controllare che sotto non vi siano reperti archeologici importanti. Il tutto, rigorosamente all’esterno del Monte del Tempio, a decine di metri dalla moschea. Ma tanto è bastato per lanciare una nuova, paranoica campagna di istigazione e minacce.
La posizione israeliana è del tutto regolare. I lavori sono esterni al complesso del Tempio e rientrano nella consolidata divisione dei ruoli stabilita dallo status quo in vigore da 40 anni; lo scopo è sostituire una struttura già esistente con una migliore e più sicura; il Waqf (autorità del patrimonio islamico) è stato debitamente informato, così come tutti gli organismi competenti, Onu compresa; tutta la stampa ha libero accesso alla zona. Inoltre le proteste islamiche, dentro e fuori Israele, quand’anche avessero qualche giustificazione, non hanno nemmeno tentato di esprimersi con le modalità di un dialogo costruttivo, abbandonandosi piuttosto a una retorica bellicosa e incendiaria tutta giocata sulla surreale accusa secondo cui i lavori di scavo e di restauro farebbero parte dell’eterno complotto ebraico per minare le fondamenta della moschea.
La campagna anti-israeliana ha fatto il miracolo: d’un tratto le fazioni palestinesi da Fatah a Hamas, da mesi contrapposte in una sanguinosa lotta per il potere, hanno ritrovato l’agognato nemico comune, insieme al Movimento Islamico israeliano del Nord, che da tempo si è ritagliato il ruolo di “difensore dei luoghi santi musulmani”, utile per scrollarsi di dosso a buon mercato la scomoda immagine di “palestinesi che se ne stanno comodamente dentro Israele”. A ruota, si sono accodati governi arabi e musulmani, compreso il re hashemita Abdullah che, date le storiche ambizioni della casata sulle moschee di Gerusalemme, non può permettersi di passare per un loro difensore meno zelante dei palestinesi.
È storia vecchia. Per restare anche solo all’ultimo decennio, già nel settembre 1996 la decisione puramente tecnica di aprire, a quasi 300 metri dalle moschee, una seconda uscita del tunnel archeologico che corre lungo un tratto del perimetro esterno del Monte diede la stura a un’ondata di violenze palestinesi costata la vita a un’ottantina di persone (sul “Bollettino della Comunità Ebraica di Milano” ce ne occupammo nel novembre 1996 con l’articolo “Crisi del tunnel e ripresa del negoziato”, ora in: M. Paganoni, Ad rivum eundem. Cronache da Israele, Proedi, Milano).
Nel settembre 2000, poi, la visita al Monte del Tempio dell’allora leader dell’opposizione israeliana Ariel Sharon, concordata con le autorità sia israeliane che palestinesi, limitata agli spazi esterni alle moschee e perfettamente conforme alle regole dello status quo, venne usata come pretesto per scatenare la più sanguinosa campagna di violenze palestinesi che dura ormai da più di sei anni.
Ma subito in Israele e fuori – e anche questa è storia vecchia – si sono levate le solite voci che, come un riflesso condizionato, pur riconoscendo la legittimità della posizione israeliana e la pretestuosità di quella avversaria, si danno a deprecare “la cattiva scelta del momento”, e il “fallimento di immagine”, e la necessità di “non fare il gioco degli estremisti”, e di essere “sensibili e accorti” su temi così delicati.
Ma un pretesto è pur sempre un pretesto, cioè un motivo falso per giustificare uno scontro che si vuole comunque. Quando si ha di fonte un preciso interesse e una chiara volontà di rilanciare lo scontro, è non solo impossibile ma anche patetico proporsi di non “offrire pretesti”, o battersi il petto per averlo fatto. I pretesti, per loro natura, se non ci sono vengono inventati. E basterebbe, a ricordarlo, la grottesca vicenda dei palloncini pubblicitari del giornale Ha-Ir, finiti per un colpo di vento sul Libano meridionale ai primi di febbraio e denunciati a gran voce dalla tv di Hezbollah come una congiura israeliana per avvelenare gli abitanti di Tiro e Nabatiyeh, con tanto di malori e ricoveri.
Che dovranno fare, dunque, gli israeliani per non offrire pretesti? Non usare più palloncini da fiera? E lasciare in uso alla Porta Mughrabi una passerella pericolante, fino a quando qualche malaugurato incidente non scatenerà l’accusa opposta di non essere intervenuti in tempo attentando alla vita dei visitatori alla spianata delle moschee? La corsa a scusarsi dei pretesti ostili è una corsa persa in partenza.

Nell’immagine in alto: Il progetto della nuova passerella pedonale alla Porta Mughrabi (Gerusalemme)