Riconoscimento dello stato ebraico: una richiesta respinta da cento anni

Abu Mazen e Lega Araba sono in malafede quando sostengono che la richiesta d’Israele d’essere riconosciuto come "stato ebraico" è una inaspettata novità

Dall'editoriale del Jerusalem Post

Un dettaglio della mappa della spartizione del Mandato Britannico, allegata alla Risoluzione Onu n. 181 (1947): nella legenda, come nel testo della risoluzione, la locuzione “Jewish State” “Etat juif” (stato ebraico)

Ora è (di nuovo) ufficiale. La Lega Araba ha coronato il suo summit di due giorni in Kuwait con la seguente affermazione: “Esprimiamo il nostro totale rifiuto della richiesta di considerare Israele uno stato ebraico”. In pratica, una ripetizione del secondo dei tre famosi “no” proclamati della Lega Araba nel vertice di Khartoum nel 1967 (“no alla pace, no al riconoscimento, no al negoziato con Israele”).

Ora il presidente dell’Autorità Palestinese Mahmoud Abbas (Abu Mazen) ha il pieno appoggio di cui aveva bisogno per continuare a respingere la richiesta israeliana che lo stato di Israele venga riconosciuto come la patria del popolo ebraico. Abu Mazen si è sempre opposto a tale riconoscimento, presentandolo come una condizione israeliana completamente nuova, di cui non si era mai fatta menzione prima d’ora.

La verità, invece, è che la definizione di Israele come “stato ebraico” – se non altro per differenziarlo dallo stato arabo o palestinese e per garantire che almeno un paese al mondo sia destinato al popolo ebraico come suo stato nazionale – risale alla nascita stessa di Israele. E il rifiuto arabo-palestinese di questo termine è, guarda caso, altrettanto antico. Il piano di spartizione approvato dalle Nazioni Unite nel 1947, quello che i palestinesi e gli stati arabi rifiutarono mentre veniva sottoscritto dalla maggior parte della comunità mondiale e dai rappresentanti della comunità ebraica in Palestina, prevedeva appunto la creazione di due stati: uno “arabo” e uno “ebraico”.

Trent’anni prima, la Dichiarazione di Balfour del 1917 impegnava la Gran Bretagna alla “istituzione in Palestina di una sede nazionale per il popolo ebraico”.

La Dichiarazione Balfour del 1917, poi incorporata nel mandato della Società delle Nazioni sulla Palestina

Il Mandato creato nel 1922 dalla Società delle Nazioni per dare applicazione alla Dichiarazione Balfour, divise il territorio originario della Palestina per introdurvi la patria nazionale del popolo ebraico sotto provvisorio dominio britannico, mentre creava la Transgiordania (poi Giordania) sotto il dominio della famiglia hashemita.

Nel 2009 il capo negoziatore dei palestinesi, Saeb Erekat, ha tentato di falsare la storia esibendo una lettera del 14 maggio 1948 in cui il presidente degli Stati Uniti Harry S. Truman riconosceva il governo provvisorio del nuovo stato ebraico e dove le parole dattiloscritte “stato ebraico” erano state cancellate e sostituite con la scritta a mano “stato di Israele”. Ma Erekat ha accuratamente omesso di spiegare che la correzione venne fatta dal consigliere di Truman, Clark M. Clifford, non per negare il carattere ebraico dello stato (che nella prima riga della stessa lettera rimaneva indicato esattamente in questo modo), ma semplicemente per citare in modo esatto il nuovo paese con il nome ufficiale reso noto solo in quel momento.

Negli anni scorsi, il riconoscimento di Israele come stato ebraico è sempre stata una richiesta presente negli sforzi diplomatici dei governi israeliani sia di destra che di sinistra. Lo stesso Accordo informale di Ginevra del 2003, promosso dalle maggiori figure della sinistra israeliana, affermava “il riconoscimento del diritto del popolo ebraico alla propria indipendenza statale e il riconoscimento del diritto del popolo palestinese a uno stato, senza pregiudizio per gli eguali diritti dei cittadini delle rispettive parti”.

«Questo Governo è stato informato che in Palestina è stato proclamato uno stato ebraico e che ne è stato richiesto il riconoscimento dal suo governo provvisorio. Gli Stati Uniti riconoscono il governo provvisorio come l’autorità de facto del nuovo [stato ebraico] Stato di Israele. Firmato: Harry Truman, 14 maggio 1948»

Una delle 14 riserve che Israele allegò nel 2003 alla Road Map americana diceva che “nell’accordo definitivo dovranno essere fatti espliciti riferimenti al diritto di Israele di esistere come stato ebraico”.

Dai documenti palestinesi trapelati e diffusi nel 2011 dalla tv al-Jazeera e dal britannico Guardian (noti anche come la WikiLeaks palestinese), relativi a un decennio di negoziati israelo-palestinesi, è emerso che nel 2007 l’allora ministro degli esteri Tzipi Livni (oggi capo negoziatore israeliano) sollevò la questione del riconoscimento palestinese di Israele come “stato ebraico”.

Dunque Abu Mazen e gli altri dirigenti palestinesi sono in malafede quando sostengono che la richiesta israeliana di riconoscere Israele come “stato ebraico” è una inopinata novità. In realtà è un concetto che risale almeno a cento anni fa, e proprio il suo rifiuto è alla radice del conflitto. Nel corso di tutto il processo di pace, i governi israeliani che si sono succeduti hanno sempre avuto ben chiara l’importanza di ottenere tale riconoscimento da parte palestinese, come parte integrante della soluzione di un conflitto tra due movimenti nazionali con distinte aspirazioni all’autodeterminazione sulla stessa porzione di terra. […]

Resta la questione se la Lega Araba e la dirigenza dell’Autorità Palestinese siano o meno disposte a dichiarare di riconoscere Israele perlomeno come uno stato che ha il diritto di preservare la propria maggioranza ebraica. Se lo sono, forse l’attuale situazione di stallo nei negoziati potrà essere superata. Se non lo sono, la loro intransigenza svelerà la nefasta intenzione di perpetuare la lotta contro l’esistenza di uno stato ebraico in quanto tale,  all’interno di qualunque confine.

(Da: Jerusalem Post, 26.3.14)