Rilascio di detenuti palestinesi: rieccoci da capo

Celebrare assassini come eroi non è il modo migliore per convincere gli israeliani che qualcosa è cambiato davvero

Di Herb Keinon

Il presidente dell’Autorità Palestinese Mahmoud Abbas (Abu Mazen) in compagnia della terrorista Amana Muna, scarcerata nel quadro del ricatto palestinese per la liberazione dell’ostaggio Gilad Shalit. Nel gennaio 2001 Amana Muna, con alcuni complici, sequestrò e uccise a sangue freddo il 16enne israeliano Ofir Rahum attirandolo in una trappola con profferte sessuali via internet.

Il presidente dell’Autorità Palestinese Mahmoud Abbas (Abu Mazen) in compagnia della terrorista Amana Muna, scarcerata nel quadro del ricatto palestinese per la liberazione dell’ostaggio Gilad Shalit. Nel gennaio 2001 Amana Muna, con alcuni complici, sequestrò e uccise a sangue freddo il 16enne israeliano Ofir Rahum attirandolo in una trappola con profferte sessuali via internet.

Conosciamo fin troppo bene questa storia. Alla fine, con tutto il dolore e l’angoscia che la cosa comporta, Israele rilascerà dei terroristi palestinesi che hanno ucciso una quantità di persone innocenti. E questi assassini verranno acclamati come eroi a Hebron, a Ramallah, a Jenin. Si terranno sfilate in loro onore, verranno gettati i fiori verso gli autobus che li portano a casa, verranno scritte poesie sulle loro gesta “gloriose”. È già abbastanza brutto dover rimettere in libertà dei terroristi, ma tutto diventa ancora peggio per l’accoglienza da eroi di cui godranno nell’Autorità Palestinese.

Alcuni dicono: “Che vi importa di come vengono ricevuti? Quelli che per voi sono terroristi, per loro sono combattenti per la libertà”. E invece ci importa eccome, di come vengono accolti. È importante. È ciò che dà il tono e l’atmosfera, e dice molto circa i nostri interlocutori per la pace. Ed erode la nostra fiducia.

La scarcerazione di detenuti palestinesi da parte di Israele sarà strombazzata in giro per il mondo come una misura israeliana volta a “creare fiducia”. E questa è proprio una parte del problema. I palestinesi, sostenuti da tutto il mondo, continuano a chiedere a Israele misure che aiutino a sviluppare la loro fiducia. Ma la fiducia degli israeliani? Che cosa viene fatto per ricostruire la fiducia degli israeliani fatta a pezzi dall’intifada delle stragi suicide e calpestata dalle migliaia di razzi lanciati su Israele dopo il ritiro dalla striscia di Gaza del 2005? Cosa fanno i palestinesi per convincere gli israeliani che qualcosa di fondamentale è cambiato e che adesso vogliono davvero vivere in pace e sicurezza accanto a Israele, e non al posto di Israele? Hanno forse attenuato la retorica revanscista contro l’esistenza di Israele? Hanno forse smesso di scagliare molotov e pietre contro autobus e auto civili israeliane che transitano al di là della ex Linea Verde? È forse comparsa una versione palestinese di Peace Now, magari finanziata dall’Unione Europea, che mobilita le masse spingendo la società palestinese ad accettare Israele e che fa pressione sul governo dell’Autorità Palestinese perché abbandoni le sue pretese massimaliste e torni a negoziare sul serio? Sono forse dilagate manifestazioni palestinesi in tutta la Cisgiordania a favore della pace?

Molti nel mondo trovano ridicola l’idea che si debba aiutare la crescita della fiducia degli israeliani: sostengono che non spetta alla parte più debole, i palestinesi, far crescere la fiducia nella parte più forte, gli israeliani. Ma chi ragiona in questo modo evidentemente non vede o non vuole vedere la realtà d’Israele. La seconda intifada ha rappresentato un punto di svolta per la società israeliana, che ha portato il senso di vulnerabilità fisica fin dentro le case di ogni uomo, donna e bambino israeliano quando prendere un autobus a Gerusalemme, a Tel Aviv o a Haifa era diventato più pericoloso che stare di pattuglia lungo il confine con il Libano. Un trauma durato diversi anni e che non è stato cancellato. Anzi, si è aggravato nel 2005 quando, dopo che Israele aveva ritirato tutti suoi civili e militari dalla striscia di Gaza, un milione di cittadini nel sud del paese hanno dovuto iniziare a convivere con la quotidiana insicurezza di sapere che da un momento all’altro un razzo, rudimentale quanto si vuole, poteva venire a schiantarsi nella finestra del soggiorno di casa o nell’aula della scuola. Questo genere di realtà – il terrorismo da impazzire della seconda intifada, e la costante incertezza di vivere sotto la spada di Damocle dei lanci di razzi da Gaza – può facilmente far perdere tutta la fiducia a chiunque.

Importanti rappresentanti americani coinvolti nel processo diplomatico in corso conoscono bene e capiscono la preoccupazione israeliana per la sicurezza. Anzi, spesso dicono che non solo la capiscono, ma che cercano di aumentare il senso di sicurezza dell’israeliano della strada finanziando il sistema antimissilistico “Cupola di ferro” o l’addestramento degli agenti di sicurezza dell’Autorità Palestinese. Ma la fiducia degli israeliani non può essere costruita sul niente dai soli americani. I loro sforzi possono aiutare, ma non possono bastare. Quella fiducia può essere costruita soltanto dai palestinesi. Solo i palestinesi possono dare agli israeliani la sensazione che qualcosa è cambiato, che questa volta c’è qualcosa di diverso. Esigere la scarcerazione di un centinaio di assassini non va esattamente in questo senso. E la cosa sarà peggiorata dalle scene degli assassini ancora una volta accolti e glorificati dai palestinesi come eroi.

Se i palestinesi intendono davvero impegnarsi seriamente nella prossima tornata di negoziati, devono renderlo evidente all’opinione pubblica israeliana. Un modo per farlo sarebbe quello di non celebrare indecentemente la scarcerazione di terroristi che hanno fatto esplodere autobus in cui sono bruciati uomini, donne e bambini innocenti.

Nella scarcerazione di terroristi impenitenti non c’è né giustizia né diritto. In mancanza di questi, il primo ministro Benjamin Netanyahu afferma che vi sono però importanti vantaggi sul piano della posizione di Israele nel mondo e dei rapporti di Israele con i palestinesi. Ma perché la popolazione israeliana sostenga con convinzione questo processo, sarà necessario che li veda, questi benefici: benefici che saranno invece oscurati dallo spettacolo dei palestinesi che celebrano il rilascio di assassini.

Tutti coloro, a Washington e altrove, che hanno esortato e fatto pressione su Israele perché ingoiasse la pillola amara del rilascio di detenuti al fine di riavviare il processo diplomatico, dovrebbero ora essere altrettanto persuasivi per ottenere che i palestinesi come minimo abbassino i toni della invereconda adorazione con cui sappiamo che saluteranno i detenuti rimessi in libertà.

Chiamatela, se volete, una misura da parte palestinese per contribuire a creare fiducia.

(Da: Jerusalem Post, 28.7.13)