Ritiri e miracoli

A 30 anni dal ritiro, Israele si ritrova senza Sinai e senza pace.

Di Hagai Segal

image_3466Centocinquant’anni dopo la rivoluzione francese il leader cinese Zhou Enlai, intervistato su come la valutasse, rispose che era troppo presto per darne un giudizio ponderato. Esagerava, naturalmente. Ma in linea di principio aveva ragione. È sempre pericoloso celebrare troppo in fretta i grandi eventi storici.
Circa trentaquattro anni dopo che Israele ha accettato di ritirarsi dalla penisola del Sinai, e trent’anni dopo che ha completato quel ritiro, tutt’a un tratto si scopre che abbiamo fatto un errore madornale. Due leader, Menachem Begin e Anwar Sadat, vennero premiati con il Nobel per la pace per quella sventatezza, considerata a lungo una delle cose migliori che fossero accadute, qui, dal 1948. E invece, un bel giorno, ci ritroviamo senza il Sinai e senza la pace.
Anche i più accaniti oppositori del ritiro non avevano potuto paventare, all’epoca, uno scenario così catastrofico. Abbarbicati alla cittadina di Yamit (poi fatta sgomberare dalle forze israeliane), mettevano in guardia che un giorno ci saremmo potuti ritrovare con l’esercito egiziano di nuovo schierato nel Sinai in assetto di guerra. Ma non potevano immaginare che la minaccia dell’esercito egiziano potesse risultare un problema minore rispetto alla nuova minaccia che oggi ci troviamo ad affrontare in quella regione che abbandonammo nel 1982-‘85: tutti i peggiori psicopatici del campo islamista jihadista stanno inondando la penisola e hanno iniziato a tormentare le nostre vite. L’Afghanistan è qui. E, a differenza che in passato, non possiamo nemmeno reagire per non trovarci invischiati in uno scontro frontale con il nuovo Egitto, un Egitto in salsa iraniana. Tutto quello che possiamo fare è costruire una barriera difensiva lungo il confine e sperare in un miracolo.
Per la verità, un miracolo è già accaduto. Nonostante tutte le pressioni interne ed esterne, per fortuna non avevamo ancora firmato un trattato “di pace” con la Siria (di Assad) fondato sul modello egiziano, cioè sul ritiro delle forze israeliane fino all’ultimo centimetro.
In questo senso, anche l’impasse nella creazione di uno stato palestinese è una specie di miracolo: significa che, almeno finora, ci siamo risparmiati le salve di razzi Qassam che si abbatterebbero su Tiberiade, Afula ed Herzliya, per non dire su Gerusalemme e Tel Aviv. Che sono, in effetti, l’ultima cosa di cui avremmo bisogno in questo momento.

(Da: YnetNews, 22.6.12)

Nell’immagine in alto: Il ritiro di’Israele dal Sinai (1975-1980-1982)

Si veda anche:

Più di 120 ordigni palestinesi sparati su Israele in 48 ore. Hamas celebra a suo modo la (presunta) vittoria del candidato islamista in Egitto

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Non è più lo stesso Egitto, non è più la frontiera di prima. Israele deve rapidamente adattarsi alla nuova realtà: un mix di pace formale, terrorismo e cartello criminale

https://www.israele.net/articolo,3462.htm

«Se potessero, i siriani ci farebbero quello che oggi fanno alla loro stessa gente». I militari israeliani temono un trasferimento in Libano di missili a lungo raggio con testate chimiche

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Sulla Siria sbagliavo. Una vera pace può essere fatta solo con regimi democratici che rispettano i diritti umani

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Il mito della pace con la Siria. I recenti sviluppi dimostrano che parlare di pace con gli Assad sarebbe stato inutile ed anche pericoloso

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Un’istantanea dal futuro stato palestinese. L’esperienza passata mostra che l’idilliaco sogno palestinese è destinato a schiantarsi

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