Ritiro in segreto: l’esperienza in Libano

Sia Hezbollah che i giornalisti furono presi alla sprovvista.

image_710Paradossalmente, proprio mentre Israele ricorda il quinto anniversario del ritiro unilaterale dalla Libano meridionale (24 maggio 2000), secondo fonti giornalistiche alcuni alti ufficiali starebbero cercando di modificare il calendario previsto per il disimpegno dalla striscia di Gaza. I calendari non sono sacri, specie quando si tratta di delicate operazioni militari. Nonostante le nette dichiarazioni secondo cui il ritiro procederà secondo i tempi fissati, se la storia insegna qualcosa la data prevista del 15 agosto potrebbe anche passare senza che accada nulla.
Gli israeliani di oggi non sono gli stessi che mandavano i loro figli a combattere in Libano cinque anni fa. A posteriori, si può dire che Israele ha dimostrato quanto fosse falsa la tanto citata affermazione del leader di Hezbollah, Hassan Nasrallah, secondo cui Israele era “più fragile di una tela di ragno”, incapace di battersi e di sacrificarsi per i propri vitali interessi nazionali. A dispetto di quanto sostiene la propaganda, le violenze palestinesi, esplose solo quattro mesi dopo che l’ultimo soldato delle Forze di Difesa israeliane aveva lasciato il territorio libanese, erano nell’aria ben prima che Israele decidesse di abbandonare la fascia di sicurezza.
Il compito di difenderci dalle stragi del terrorismo suicida non poteva essere assolto semplicemente andandosene, come in Libano. Messe con le spalle al muro, le forze di sicurezza israeliane hanno seriamente smorzato il terrorismo palestinese. È stato solo grazie alla superiorità tecnologica, alla dedizione dei combattenti e alle doti di resistenza della popolazione civile che Israele oggi può godere di un senso di sicurezza che non si sognava da anni.
Benché il mondo etichetti spesso e volentieri le nostre azioni militari come barbare e guerrafondaie, noi israeliani sappiamo bene quanti rischi ci assumiamo per cercare di evitare un uso irragionevole della forza.
Le popolazioni sono definite dai confini delle loro nazioni. Ciò che prese le mosse col ritiro dal Libano, cinque anni fa, fu la nazione che tendeva ai suoi confini ideali. Lungo questo percorso, il governo ha deliberato la costruzione della barriera difensiva in Cisgiordania per tenere fuori terroristi e criminali palestinesi, e ora progetta di uscire dalla striscia di Gaza.
Una volta che il governo aveva deciso di uscire dal Libano, non v’erano più ragioni tattiche per restare. Si può dire lo stesso per Gaza? Nessuno pensò mai sul serio di creare insediamenti civili nella fascia di sicurezza in Libano, anche se storicamente faceva parte della Terra d’Israele.
Le Forze di Difesa israeliane non dissero la verità, cinque anni fa, quando si prepararono al ritiro unilaterale dal Libano. L’esercito non sapeva la verità perché non la sapeva neanche lo Stato d’Israele. Il primo ministro Ehud Barak aveva dato disposizione alle Forze di Difesa di prepararsi per un ritiro nel luglio 2000. L’idea originaria era che il ritiro avvenisse in base a un accordo, e che il mondo verificasse l’applicazione della risoluzione 425 del Consiglio di Sicurezza dell’Onu. Ma quando, nel marzo 2000, il presidente degli Stati Uniti Bill Clinton non riuscì ad arrivare a un accordo a Ginevra col presidente siriano Hafez Assad, il dado fu tratto. A quel punto le Forze di Difesa israeliane dovevano muoversi per conto loro. Quello steso mese avviarono discretamente la rimozione degli equipaggiamenti accumulati nella fascia di sicurezza nei diciotto anni precedenti. Ci vollero cinquecento camion, fatti passare a poco a poco. Intanto portavano esplosivi per far saltare le postazioni che sarebbero state abbandonate, portandosi via tutto ciò che non fosse cementato per terra. I soldati andavano avanti con le razioni alimentari da combattimento. Le forze vennero ritirate dagli avamposti più avanzati di Kantara e Rotem ufficialmente “per rafforzare la linea”. Verso il 20 maggio, mentre la milizia dell’Esercito del Libano Meridionale era virtualmente allo sbando, le Forze di Difesa israeliane premevano su Barak perché approvasse il completamento immediato del ritiro. Barak temporeggiava, volendo aspettare fino a giugno nella speranza che l’Onu o il governo libanese accettassero di subentrare… Alla fine Barak si decise e diede l’ordine, ma subito dopo si presentò ai giornalisti per dire che il ritiro non sarebbe avvenuto prima di “alcune settimane”. In questo modo sia Hezbollah che i giornalisti furono presi alla sprovvista. Quando capirono che cosa stava avvenendo, le presenza delle Forze di Difesa israeliane in Libano era già storia passata.
La segretezza attorno all’operazione fu la chiave per un ritiro senza spargimento di sangue. Ma gli osservatori non credono che lo stesso tipo di espediente possa essere ripetuto nella striscia di Gaza o in Cisgiordania settentrionale. Nel caso del Libano, era il governo che puntava i piedi mentre i militari spingevano perché prendesse la decisione definitiva e desse l’ordine. Oggi le parti sembrerebbero invertite, con l’esercito che vorrebbe riconsiderare il calendario. “Nel caso del Libano – spiega Haim Tal, qualificato autore di un documentario storico su quel periodo – non venne detta la verità ai giornalisti, e forse la cosa era abbastanza legittima allo scopo di evitare perdite. Ma nella striscia di Gaza si tratta di un processo che coinvolge civili. È difficile immaginare come la Difesa possa fuorviarli. Penso che questa opzione oggi non esista”. Alti ufficiali israeliani hanno affermato ripetutamente che lo sgombero sarà trasparente, che non avverrà improvvisamente nel cuore di una notte. Sarà interessante vedere se effettivamente le Forze di Difesa israeliane non potranno fare tesoro, in questo caso, dell’esperienza libanese.

(Arieh O’Sullivan su Jerusalem Post, 23.05.05)

Nella foto in alto: 24 maggio 2000, soldati israeliani si rallegrano al rientro dal Libano.