Rompere l’assedio

La lotta di Israele per essere accettato nel mondo non è finita, ma i suoi primi 66 anni hanno registrato successi che i fondatori dello stato ebraico nemmeno si sognavano

Di Amotz Asa-El

Amotz Asa-El, autore di questo articolo

Amotz Asa-El, autore di questo articolo

Israele è nato sotto assedio. Oltre ad essere stato salutato dalle pallottole dei suoi vicini,  il neonato stato ebraico dovette affrontare molte altre sfide poste da buona parte del mondo esterno. Il conseguente sforzo di essere accettati finì per caratterizzare il lavoro della diplomazia israeliana. Per quanto fosse una fatica di Sisifo, e tale ancora rimane,  gli sforzi compiuti in questi 66 anni registrano successi che superano i fallimenti ed eccedendo le previsioni più rosee dei suoi pionieri.

Fin dal primo giorno, Israele si è trovato di fronte a tre traguardi diplomatici di vasta portata: pacificare i nemici, coltivare alleanze e convincere gli amici del nemico.

Per quanto oggi possa sembrare strano, nel 1949 molti in Israele pensavano che la pace fosse dietro l’angolo.  La guerra d’indipendenza si era conclusa con accordi  d’armistizio tra Israele e i suoi quattro vicini, accordi che dichiaravano l’intento di sfociare in una pace permanente. L’assassinio di re Abdullah di Giordania, avvenuto nel 1951sul Monte del Tempio di Gerusalemme (allora sotto occupazione giordana)  proprio quando stava per firmare la pace con Israele, rese invece evidente che la pace avrebbe impiegato più tempo ad arrivare, mentre la susseguente violenza lungo i confini fece capire che l’inimicizia non se ne sarebbe andata facilmente. Come se non bastasse,  i nemici dello Stato Ebraico ostacolavano i rapporti commerciali e diplomatici della giovane nazione.  Il boicottaggio arabo ricattava aziende che intendevano fare affari con Israele. Il mondo islamico, con l’eccezione dell’allora laica Turchia, evitava Israele in massa, creando un cordone anti-israeliano che si estendeva da Casablanca a Giacarta. Il Vaticano non intendeva accettare, dal punto di vista teologico, la resurrezione politica degli ebrei. La Spagna del Generalissimo Franco non riconosceva Israele. Il blocco dell’est , eccezion fatta per la Romania, aveva troncato i rapporti con Israele nel 1967, ed altrettanto aveva fatto l’Africa nera nel successivo decennio. La Cina, anche dopo il disgelo con il resto del mondo, non intendeva stabilire rapporti con Israele. L’India permise di aprire un consolato a Bombay, ma non un ambasciata a Nuova Delhi. In breve, Israele, mentre si batteva per conquistare un posto nella propria regione, era anche costretto a lottare per un posto nel mondo e la sua necessità di stringere alleanze era una questione urgente di sopravvivenza.

Festa di Purim presso l’ambasciata israeliana a Teheran nei primi anni ‘70

Festa di Purim presso l’ambasciata israeliana a Teheran nei primi anni ‘70

La ricerca di alleati si dimostrò illusoria già durante la guerra di indipendenza. In occidente gli Stati Uniti si rifiutarono di vendere armi ad Israele e la Gran Bretagna non appoggiò nemmeno la risoluzione Onu del 1947 per la spartizione della Palestina. Il primo ministro David Ben-Gurion tentò, nel 1953, di persuadere il presidente Usa Dwight Eisenhower a considerare apertamente Israele come un bastione occidentale di libertà e di inserirlo nella Nato come fulcro militare, ma la richiesta rimase inascoltata. All’est, inizialmente Israele ottenne forniture d’armi dalla Cecoslovacchia, con l’approvazione dell’Unione Sovietica. Ma ben presto Mosca, sospettando che le vittorie dello stato ebraico avrebbero potuto risvegliare gli ebrei sovietici e rendendosi conto che Israele non sarebbe diventato un paese comunista, decise  di interrompere il flusso d’armi dopo neanche sei mesi. Analizzando questo gelido quadro geopolitico, Israele si illuse per qualche tempo con l’idea della neutralità. Nel 1955, quando 29 nazioni africane e asiatiche si riunirono a Bandung, in Indonesia, per creare il Movimento dei Paesi Non Allineati, Israele cercò di farne parte. Fu uno smacco. Non solo la richiesta di Israele fu respinta, ma il ministro degli esteri cinese Chu En Lai sfrutto quell’occasione per promuovere forniture militari dall’Urss all’Egitto, spianando così la strada a un alleanza strategica tra il blocco sovietico e quello arabo: un rapporto che alimentò le tre maggiori guerre arabo-israeliane.

Un Mirage IIIC di produzione francese utilizzato dale forze aeree israeliane negli anni ’60 e ’70, oggi esposto al Museo dell’aviazione di Hatzerim

Un Mirage IIIC di produzione francese utilizzato dale forze aeree israeliane negli anni ’60 e ’70, oggi esposto al Museo dell’aviazione di Hatzerim

E’ stato in questo scoraggiante contesto che Israele imparò che, nell’ambito delle mura diplomatiche entro le quali era costretto a vivere, era pur sempre possibile trovare delle crepe da sfruttare. Negli anni ’50 del secolo scorso, Israele si infilò attraverso due di queste crepe, una economica e l’altra militare. La prima fu l’accordo con la Germania Occidentale per le riparazioni della seconda guerra mondiale in seguito alla Shoà. Questo accordo permise al paese di ottenere i tanto agognati finanziamenti e le materie prime durante il suo primo decennio di esistenza. La seconda crepa che si presentò fu in Francia, offesa e demonizzata alla conferenza di Bandung.  Fu cosi che Israele finì per firmare il primo accordo militare su vasta scala con la Francia, e non con gli Stati Uniti, accordo che prevedeva la fornitura di carri armati e persino di aerei da combattimento.  Le alleanze con la Francia e la Germania, accoppiate a una modesta ma costante assistenza economica degli Stati Uniti, fecero capire a Israele che il suo posto naturale  nel mondo del dopo guerra era nella sfera occidentale. Questa posizione è stata da allora notevolmente consolidata.

Gli Stati Uniti abbandonarono l’embargo d’armi nel 1964 e, in seguito alla guerra dei sei giorni del ’67, avviarono un’alleanza strategica multi-miliardaria destinata a diventare un pilastro geo-politico per più di una generazione. L’Unione Europea, nel frattempo, accettò Israele come membro associato e diventò il maggiore partner commerciale dello stato ebraico.

Per ironia della sorte, poco dopo che gli Usa ebbero tolto l’embargo, la Francia lanciò il proprio embargo contro Israele proprio alla vigilia della guerra dei sei giorni. La diplomazia israeliana, in seguito a queste vicende, giunse alla conclusione che quello che sembra a prima vista un assedio non è mai interamente tale: quando una porta si chiude, un’altra può schiudersi. Inoltre, non solo le mura del nemico contenevano crepe, ma oltre le mura si celavano i nemici del nemico, che potevano essere trasformati in amici. Nel 1958, Ben Gurion intuì la possibilità di andare oltre i nemici di Israele. Questa mossa non avrebbe potuto scalfire l’assedio arabo allo stato ebraico, né avrebbe potuto abbassarne le mura. Avrebbe, però, garantito a Israele ciò che chiunque sotto assedio desidera oltre al cibo, le armi e la vittoria: la sensazione di non essere soli.  L’opportunità si presentò sull’Eufrate, dove un colpo di stato destabilizzò la barriera anti-sovietica approntata dagli Usa tra la Turchia e l’Iran. Nelle mani di generali anti-occidentali, Bagdad era improvvisamente entrata nel campo filo-sovietico capeggiato dall’Egitto di Nasser. Ben Gurion allora contattò la Turchia non-araba e anti-sovietica,  l’Iran e l’Etiopia le quali, a loro volta circondate dal mondo arabo su tre lati, condividevano l’allarme occidentale per gli sviluppi sull’Eufrate. Israele trovò orecchio attento ad Ankara, Tehran e Addis Abeba. Anche se ciascun rapporto si è poi evoluto in maniera differente, emersero silenziosi ma estesi rapporti di collaborazione. Quella che poisarebbe divenuta nota come “l’alleanza periferica” si espanse presto a livello locale, a cominciare dall’appoggio israeliano ai ribelli curdi in Iraq. Il progetto era quello di coltivare un anello di stati mediorientali e di minoranze non-arabe oppure non-islamiche, dai copti egiziani e i cristiani maroniti libanesi fino ai berberi marocchini e ai drusi siriani. Alcuni aspetti di questo  progetto risultarono impraticabili, e a volte pericolosi, ed esso più tardi inspirò l’avventurismo della infausta campagna condotta da Israele in Libano nel 1982. Tuttavia, come nel caso delle alleanze in Europa e America, la strategia periferica israeliana dimostrò nel tempo che quello che sembrava inizialmente un assedio ermetico era in realtà elastico, poroso e vulnerabile. Ovviamente, questa strategia funzionava come trattamento sintomatico: era un rimedio per l’atteggiamento del mondo arabo che considerava Israele come uno stato paria. Gli eventi che iniziarono nel 1979 (l’accordo israelo-egiziano Begin-Sadat) e culminarono nel 1989 (con il crollo del Muro di Berlino) la resero anacronistica.

In blu: i paesi che hanno rapporti diplomatici d’Israele. In arancione: i paesi che non hanno mai riconosciuto Israele. In giallo: i paesi che hanno stabilito e poi interroto i rapporti diplomatici con Israele (clicca per ingrandire)

Superfluo dire che l’accordo di pace con l’Egitto ha rivoluzionato la situazione di Israele. In verità, passati 35 anni, molti in Israele lo guardano con delusione in quanto non ha prodotto molto commercio e dialogo, e i mass-media egiziani non hanno mai cessato la loro virulenta campagna contro Israele che spesso sfocia nell’antisemitismo. Ciò nonostante , il tabù è stato rotto e l’assedio infranto. Inoltre, per pura coincidenza, l’arrivo dell’ambasciatore egiziano a Tel Aviv capitò due mesi dopo che l’ayatollah Komeini aveva cacciato lo scià dell’Iran. La strategia periferica di Israele venne così  invertita: il suo nuovo alleato nella regione era arabo, mentre il suo più potente nemico non lo era.

Lo smacco iraniano fu difficile da digerire, ma l’acquisto egiziano fu seguito da una lenta, strisciante legittimazione dello stato ebraico nel mondo arabo sottolineata dall’accordo di pace con la Giordania, dagli accordi di Oslo con i palestinesi e dall’accettazione, anche se momentanea, di inviati israeliani nelle capitali del Magreb e del Golfo Persico. La dissonanza con il mondo arabo in generale, e coi palestinesi in particolare, continua ad alimentare una sfida globale all’accettazione di Israele, ma la sua posizione attuale nel mondo arabo è notevolmente migliore di quanto non fosse nel 1949. Questo vale anche per la posizione di Israele altrove. La caduta del comunismo ha portato un  beneficio diplomatico, duramente guadagnato, con l’instaurazione di rapporti diplomatici completi da parte dell’intero blocco dell’est con lo stato ebraico, la cui sfida nei confronti dell’Unione Sovietica negli anni precedenti era stata di ispirazione per tutti i dissidenti dell’Europa orientale. Nel frattempo, Cina e Vietnam stabilirono pieni rapporti diplomatici con Israele, l’India elevò le proprie relazioni allo status di ambasciate, e anche il Vaticano procedette allo scambio di ambasciatori con lo stato ebraico.

Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu incontra la ministra degli affari esteri indiana Sushma Swaraj lo scorso 28 settembre a New York. Tra loro, il primo ministro indiano Narendra Modi

Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu incontra la ministra degli affari esteri indiana Sushma Swaraj lo scorso 28 settembre a New York. Tra loro, il primo ministro indiano Narendra Modi

Certo, molto resta ancora da fare. Ufficialmente la diplomazia israeliana resta esclusa da diversi paesi importanti come l’Indonesia, la Malesia, l’Arabia Saudita e l’Iran. Inoltre, lo sforzo di diffamare e demonizzare Israele, sia nei paesi sviluppati che nel mondo in via di sviluppo, continua senza tregua e, nell’opinione di chi scrive, rappresenta una minaccia strategica allo stato ebraico.

Parlando con i giornalisti al suo arrivo a Gerusalemme, quando vi giunse per ristabilire rapporti diplomatici con Israele, il ministro degli esteri dell’Unione Sovietica (ormai in procinto di disgregarsi) Boris Pankin, dichiarò che l’atteggiamento dell’Urss verso lo stato ebraico era stato un “errore storico”. Una simile confessione impiegherà probabilmente generazioni a farsi strada anche negli ultimi bastioni dell’assedio contro Israele. Tuttavia, se Ben Gurion fosse vissuto abbastanza per vedere la legittimazione diplomatica attuale e i risultati ottenuti, anche lui, che era un indomabile sognatore, sarebbe rimasto stupefatto. Con ambasciatori israeliani a Mosca, Pechino, Vaticano, Cairo e Amman, e con Israele che acquista petrolio dall’Azerbaijan e fornisce acqua alla Giordania mentre le navi israeliane passano attraverso il Canale di Suez, con medicine, ortaggi e tecnologie israeliane che raggiungono Cina, Armenia e Albania, l’assedio contro il quale i padri fondatori di Israele dedicarono le proprie energie di fatto si può dire che non esiste più.

(Da: Jerusalem Post, 8.12.14)