Scordatevi il Medio Oriente conosciuto finora

Se cade il regime siriano, si chiude la parabola fallimentare del nazional-socialismo arabo.

Di Seth J. Frantzman

image_3219Il crollo del regime in Tunisia, la rivolta in Libia (che sembra tutt’altro che conclusa) e la presa del potere in Egitto da parte dei militari rappresentano eventi di profondo significato storico, ma non una “primavera”. Tutti i paesi le cui fondamenta vennero gettate dal nazionalismo arabo stanno entrando in una nuova fase. Per certi versi, una fase iniziata con la rivoluzione islamica in Iran (1979) e la fine della Guerra Fredda (1989), che aveva giocato il nazionalismo arabo contro i regimi monarchici sostenuti dall’occidente.
Il primo regime nazionalista a cadere è stato l’Iraq di Saddam Hussein, nel 2003, seguito dalla vittoria di Hamas nelle elezioni palestinesi (2006) e dall’ascesa di Hezbollah al ruolo di kingmaker nel parlamento libanese. Successivamente, la demolizione del regime laico in Tunisia, le ribellioni in Libia e nello Yemen e la sconfitta di Hosni Mubarak hanno spostato la palla ancora più avanti. La rivolta attualmente in corso in Siria chiude il cerchio. Il Ba’athismo (nazional-socialismo arabo), così come venne elaborato da Michel Aflaq, un siriano arabo-cristiano, nacque in Siria negli anni ’40 e in Siria morirà.
Socialismo arabo, nazionalismo, pan-arabismo: tutte queste ideologie laiche che un tempo sembravano tanto forti stanno morendo. È l’effetto a lungo termine dell’innesto di idee e valori occidentali in Medio Oriente prima della Guerra Fredda. I nazionalisti arabi avevano abbracciato il moderno concetto europeo di nazionalità. Molti di loro erano arabi cristiani che usavano il nazionalismo come strumento per trascendere la religione, proprio come molti ebrei avevano abbracciato il comunismo in Russia per migliorare il loro status sociale. Per un decennio sembrò che questi nazionalismi arabi fossero piuttosto potenti. Gamal Abdel Nasser invase lo Yemen e bombardò l’Arabia Saudita (1962-67), mentre esportava le sue idee in Siria, Giordana, Libano e Libia. Ma il nazionalismo portò stagnazione, e in quasi tutti i paesi nazionalisti i figli dei dittatori vennero allevati nel ruolo di successori dei padri (Bashar Assad, Gamal Mubarak, Saif al-Islam Gheddafi).
Siccome in vari casi (Egitto, Tunisia) i nazionalisti sono stati riluttanti a massacrare in massa i loro concittadini, siccome la loro ideologia era ossificata e siccome le loro forze armate non si sono rivelate particolarmente riconoscenti, hanno perso nella solitudine. Monarchie e islamisti si sono dimostrati ben più risoluti.
Un altro cambiamento che il Medio Oriente ha subito è il riallineamento delle relazioni con gli Stati Uniti. All’indomani della Guerra Fredda, gli Stati Uniti imposero la loro volontà sulla regione giacché i paesi non avevano altra potenza a cui rivolgersi per avere appoggio. Quelli che non erano amici dell’America, come la Siria, l’Iran e l’Iraq, divennero dei reietti. Ma dopo l’11 settembre gli esperti americani si resero conto che il rapporto Stati Uniti-Arabia Saudita, uno dei cardini della strategia americana, soffriva di schizofrenia. I sauditi erano vicini agli americani e allo stesso tempo sostenevano, direttamente o per interposta persona, il terrorismo islamista contro l’occidente. Un saudita aveva fondato al-Qaeda, e cittadini sauditi erano la maggior parte dei terroristi dell’11 settembre. Per svezzarsi dal petrolio saudita e dal matrimonio avvelenato coi suoi governanti, gli Stati Uniti lanciarono una guerra all’Iraq, uno dei corollari della quale era quello di democratizzare l’Iraq e creare un nuovo amico americano in Medio Oriente, preferibilmente laico. Ma la guerra ha finito per costare miliardi e ha prodotto un Iraq debole e caotico. L’Iran si è infilato nella breccia, incoraggiato dalla indebolita potenza dell’America. Nel giro di pochi anni la piovra iraniana ha allungato i suoi tentacoli attraverso la Siria fino agli Hezbollah libanesi, architettando guerre per procura contro Israele e minando i regimi del Golfo.
La primavera araba è stata soltanto una piccola appendice di questo processo, una resa dei conti finale fra regimi arabi indeboliti e le loro masse addormentate.
Per giustificare la debolezza interna, molti commentatori arabi descrivono il mondo arabo come una vittima calpestata e umiliata. Ciò è particolarmente vero quando si tratta degli effetti del colonialismo. Gli intellettuali parlano spesso delle supposte regressioni patite dai loro paesi sotto il colonialismo, senza grande considerazione per il fatto che nella maggior parte dei casi i paesi occidentali colonizzarono il Medio Oriente per poco più di vent’anni contro i quattrocento anni di dominio turco ottomano. Gli studiosi occidentali accolgono questa rappresentazione sotto la parvenza dell’“orientalismo”. L’occidente incolpa gli Stati Uniti per la debolezza dei regimi arabi e giustifica disgustose dittature per via di Israele. Ma la realtà è che negli ultimi settant’anni i regimi arabi avevano avuto grandi prerogative, che dilapidarono nell’acquistare armamenti, costruire palazzi, scalzarsi a vicenda e diffondere islamismo.
Se il regime siriano cadrà, sarà il colpo di grazia al nazionalismo arabo. I mass-media amano focalizzarsi sul minuscolo gruppo di élite intellettuali arabe che hanno appoggiato le rivolte della scorsa primavera, ma tutti iniziano a capire che i grandi vincitori, se si terranno elezioni, saranno i partiti islamici. Quello che pochi avevano previsto è fino a che punto l’era post-11 settembre, in Medio Oriente, sarà dominata da non-leader. Dopo tutto, chi sono oggi i leader in Tunisia, Egitto, Libia e Iraq? Anche in democrazia c’è bisogno, di tanto in tanto, di un leader visibile. Stiamo entrando nell’era della noia mediorientale, una noia sostenuta da caos e attori non-statali come Hamas e Hezbollah, che desiderano insinuarsi fra le linee dello stato senza assumersi le responsabilità dello stato stesso.
Nazionalismo e monarchia arabi, islamismo, ascesa dell’Iran, indebolimento dell’influenza americana e attribuzione all’occidente di ogni colpa per gli abusi interni: questi sono i cinque pilastri fallimentari su cui verrà edificata la prossima era del Medio Oriente.

(Da: Jerusalem Post, 30.8.11)

Nella foto in alto: Seth J. Frantzman, autore di questo articolo