“Scusate se abbiamo vinto, ma l’unica alternativa era l’annientamento”

Nel 1967 la distruzione di Israele non era solo una minaccia a parole: erano piani precisi e ordini esecutivi

Di Ben-Dror Yemini

Ben-Dror Yemini, autore di questo articolo

Più di ogni altra cosa, la guerra dei sei giorni si è trasformata in una guerra riscritta. L’Egitto di Gamal Abdel Nasser, affermano i revisionisti, non aveva la capacità di combattere Israele e, comunque, non aveva intenzione di farlo. È vero che fece minacce. È vero che inviò sempre più divisioni nel Sinai. È vero che espulse i caschi blu delle Nazioni Unite. È vero che aizzava le masse nei paesi arabi. È vero che i regimi arabi gonfiavano i muscoli e si preparavano alla guerra. È vero che Nasser impose il blocco degli stretti di Tiran. È vero che Israele era assediato e preso alla gola. È vero che si trattava di una grave violazione del diritto internazionale, anzi è vero che si trattava di un casus belli (un atto di guerra secondo il diritto internazionale).

Ma tutto questo non conta, perché esiste una mega-narrazione che obbliga le forze progressiste ad esentare gli arabi da qualunque responsabilità e puntare il dito contro Israele. E quando c’è una narrazione, chi ha bisogno di fatti? Dopo tutto, secondo la mega-narrazione Israele coltivava piani di espansione, quindi non fece altro che “cogliere l’occasione”. Insomma, ci sono parecchi studiosi che stanno attivamente distorcendo i fatti in modo da trasformare gli arabi in vittime e Israele in aggressore.

Ero bambino, scolaro alle elementari. Ricordo perfettamente la paura, tanta paura. Non c’erano rifugi, nella casa in cui vivevo. Era chiaro che ci sarebbero stati bombardamenti, quindi avevamo scavato delle buche nel cortile. Ogni tanto qualcuno si ricorda delle tonanti minacce di distruzione che giungevano dal Cairo. In realtà, le cose erano molto più gravi. Sia la Lega Araba che i capi di tutti gli stati confinanti annunciavano in modo inequivocabile che il loro piano prevedeva il nostro annientamento. Ripeto: annientamento.

Maggio 1967: si scavano trincee nel kibbutz Gan Shmuel, fra Haifa e Tel Aviv (10 km dalla linea armistiziale con la Giordania da una parte, 6 km dal mar Mediterraneo dall’altra)

Solo sbruffonate? Considerando il fatto che il mondo arabo e musulmano era impegnato in un interminabile massacro di se stesso, era abbastanza evidente che ciò che stavano facendo a se stessi – e che continuano a fare ancora oggi – l’avrebbero fatto anche a Israele.

Una cosa, quindi, non si deve mai dimenticare: l’unica alternativa alla vittoria sarebbe stato l’annientamento. Dunque, scusate se abbiamo vinto: giacché un’occupazione senza annientamento è comunque preferibile a un annientamento senza occupazione.

Gli stati arabi non avevano mai accettato nemmeno per un attimo l’esistenza dello stato di Israele. Non c’era “l’occupazione” dal 1949 al 1967, eppure uno stato palestinese non venne istituito: perché i capi del mondo arabo non volevano affatto un altro stato. Volevano Israele. E non nascondevano per nulla le loro intenzioni.

Il nuovo round era iniziato nel 1964. Sullo sfondo di un conflitto per le fonti idriche, la Lega Araba si era riunita al Cairo e aveva annunciato: “I preparativi militari arabi collettivi, quando saranno completati, costituiranno il concreto strumento definitivo per la liquidazione finale di Israele”. Erano passati due anni, e l’allora ministro della difesa di Damasco Hafez Assad, che poi sarebbe diventato il presidente siriano, proclamò: “Colpire gli insediamenti nemici, ridurli in polvere, pavimentare le strade arabe con i teschi degli ebrei”. E per cancellare qualsiasi dubbio aggiunse: “Siamo determinati a saturare questa terra con il vostro sangue, e buttarvi in mare”.

Nove giorni prima dello scoppio della guerra, Nasser afferma: “I popoli arabi vogliono combattere. Il nostro obiettivo principale è la distruzione dello stato di Israele”. Passano due giorni e il presidente iracheno Abdul Rahman Arif si unisce al coro di minacce: “Questa è la nostra occasione. Il nostro obiettivo è chiaro: spazzare via Israele dalla carta geografica”. Due giorni prima dello scoppio della guerra, il fondatore e capo dell’Olp, Ahmad Shukieri, dichiara: “Chi sopravvivrà rimarrà in Palestina, ma a mio parere non rimarrà vivo nessuno”.

Sì, questa era l’atmosfera. C’è ancora qualcuno che pensa seriamente che si trattasse solo di vuoti proclami? Qualcuno pensa che la loro intenzione fosse quella di instaurare un’occupazione illuminata? Qualcuno pensa che non ci sarebbe stato un massacro come quello che l’Egitto aveva fatto nello Yemen e più tardi nel Biafra?

30 maggio 1967: re Hussein e il presidente Nasser firmano il patto militare che di fatto mette le forze armate giordane sotto comando egiziano

Per capire che non si trattava solo di parole, si può ricordare che in un incontro tenuto dopo la guerra con il ministro degli esteri britannico George Brown, l’ambasciatore d’Israele a Londra Aharon Remez rivelò che Israele era venuto in possesso dei documenti dell’esercito giordano con gli ordini operativi del 25 e 26 maggio, cioè un paio di settimane prima dello scoppio della guerra, e tra questi c’era l’ordine di sterminare la popolazione civile nelle comunità che si prevedeva di occupare. Hanno creduto fino all’ultimo che le cose sarebbero andate in quel modo. Non è chiaro, disse all’epoca Remez, se re Hussein fosse personalmente a conoscenza di questi ordini, ma sta di fatto che erano molto simili agli ordini di annientamento diramati dall’esercito egiziano (e dal 30 maggio le forze giordane erano agli ordini del generale egiziano Abdul Munim Riad). Questi fatti sono riportati sia nello studio di Michael Oren sulla guerra di sei giorni, sia in quello di Miriam Joyce sui rapporti fra Hussein, Stati Uniti e Gran Bretagna, nonché nel libro di Moshe Elad sulle “Questioni fondamentali nel conflitto israelo-palestinese”. A tutta prima Hussein negò l’esistenza degli ordini di annientamento, ma poi aggiunse: “Per quanto ne so”.

I giorni passavano. Le minacce aumentavano. Sempre più forze venivano inviate nel Sinai. Altri paesi arabi aderivano alla coalizione bellica. Non è chiaro se Nasser volesse veramente la guerra, ha scritto Oren nel suo libro. Ma è un fatto che lui e i paesi arabi fecero tutto il possibile per deteriorare al massimo la situazione. L’appetito di Nasser continuava a crescere, e subito dopo aver bloccato gli stretti dichiarò: “Se riusciamo a ripristinare le condizioni esistenti prima del ‘56 (blocco degli stretti ), Dio sicuramente ci aiuterà e ci spingerà a ripristinare la situazione esistente prima del ‘48″.

Il compianto Yitzhak Rabin, che allora era capo di stato maggiore delle Forze di Difesa israeliane, disse al governo che sarebbe stata “una guerra difficile, con molte perdite”. Stimava che sarebbero rimaste uccise non meno di 50.000 persone. E Oren, che ha letto praticamente tutti i documenti disponibili, conclude: “La documentazione dimostra che Israele voleva evitare con tutte le forze una guerra e che fino all’ultimo momento prima degli scontri cercò di fermare la guerra in ogni modo possibile, anche a costo di un pesante prezzo strategico ed economico per lo stato”.

Questi sono i fatti. Ma coloro che riscrivono la storia stanno prevalendo. Il dibattito politico sul controllo israeliano dei territori ha creato una situazione in cui le opinioni politiche di oggi alterano lo studio dei fatti di allora. Il dibattito politico è certamente legittimo e importante. Ma non si può riscrivere la storia per giustificare le posizioni politiche di oggi. E’ vero il contrario: i fatti dovrebbero influenzare le opinioni politiche. E i fatti sono chiari e semplici: i capi degli stati arabi non si accontentarono affatto di vuoti proclami sull’auspicato annientamento di Israele. L’annientamento lo prepararono, diedero ordini operativi e fecero di tutto per scatenarlo.

(Da: YnetNews, 29.5.17)

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