Se Abu Mazen fa la corte a Hamas

Che la riconciliazione Fatah-Hamas sia così popolare fra i palestinesi è in sé un ostacolo alla pace.

Editoriale del Jerusalem Post

image_3091La dirigenza dell’Autorità Palestinese sta cercando un riavvicinamento con Hamas. La scorsa settimana il presidente dell’Autorità Palestinese Mahmoud Abbas (Abu Mazen) ha dichiarato di essere pronto a recarsi di persona nella striscia di Gaza (per la prima volta da quando Hamas ne ha preso il controllo con la violenza, nel giugno 2007) pur di porre fine alla spaccatura che divide i palestinesi. Abu Mazen ha persino fatto appello ai nuovi leader egiziani perché agevolino tale incontro. Il suo obiettivo dichiarato è quello di creare un governo palestinese di unità nazionale, e preparare nuove elezioni presidenziali e parlamentari.
Per capire meglio che genere di organizzazione è quella che viene corteggiata dalla dirigenza di Fatah, è istruttivo tornare a dare un’occhiata alla Carta di Hamas, il manifesto ideologico e programmatico del più importante gruppo terrorista palestinese. Redatta per la prima volta nel 1988, la Carta è servita tra l’altro da piattaforma programmatica per la vittoria di Hamas nelle elezioni del 2006, inclusa la sua affermazione che il conflitto con Israele è religioso e che può essere risolto soltanto con l’espulsione degli “infedeli” ebrei mediante la jihad (guerra santa) e la lotta armata. Una scorsa alla Carta, che viene tuttora stampata e distribuita nella sua forma originaria ovunque Hamas conta di arruolare nuovi fedeli alla sua rovinosa causa, rivela una sequela da incubo di scomuniche antisemite, calunnie, istigazioni all’odio. Il trattamento dei palestinesi da parte di Israele, soprattutto di donne e bambini, viene paragonato tout-court al nazismo. Vi si dice che le aspirazioni territoriali dei sionisti vanno “dal Nilo all’Eufrate” e che il loro “complotto” per dominare il mondo è fedelmente esposto nei Protocolli dei Savi di Sion. Nel mondo paranoico di Hamas, dove fatti e fantasie malate sono del tutto indistinguibili, gli ebrei sono i responsabili della rivoluzione francese e della rivoluzione comunista, tanto per citarne un paio, nonché di entrambe le guerre mondiali. Ma l’accusa forse più sinistramente strampalata è che gli ebrei eserciterebbero la loro influenza a livello internazionale attraverso organizzazioni come il Rotary e il Lions Club. L’ovvia conclusione di questa montagna di perniciose fandonie è che “abbandonare la jihad contro i sionisti costituisce un atto di alto tradimento che comporta la maledizione su chiunque lo compia”.
Fedele alla sua Carta, Hamas, il cui nome per tutti gli anni ’90 e buona parte dei primi anni Duemila è stato sinonimo di stragi suicide, nei giorni scorsi ha ripreso i lanci sistematici di razzi e obici di mortaio contro i civili israeliani nel sud del paese. Questa nuova ondata di cannoneggiamenti, la più intensa dalla fine dell’operazione anti-Hamas condotta più di due anni fa nella striscia di Gaza dalle Forze di Difesa israeliane, giunge a meno di una settimana dal raid con cui un commando delle forze navali israeliane ha intercettato la nave cargo Victoria. Il letale carico a bordo della Victoria, destinato ai terroristi islamisti di Gaza, contava centinaia di grossi obici da mortaio e migliaia di ordigni minori, due sistemi radar di fabbricazione britannica e decine di migliaia di proiettili per Kalashnikov. Ancora più significativa, la presenza di missili anti-nave C-704 forniti dall’Iran, equipaggiati con radar e capaci di colpire con precisione fino a 35 km di distanza.
Vi sono ragioni pragmatiche per cui l’Autorità Palestinese desidera la riconciliazione con un’organizzazione come Hamas, che Abu Mazen corteggia senza esigere che modifichi nessuno dei suoi “principi”. Crescono infatti le pressioni dal basso, sia a Gaza che in Cisgiordania, perché i due tronconi della dirigenza palestinese mettano finalmente da parte le loro divergenze. Nei giorni scorsi, a migliaia sono scesi nelle strade nel corso di manifestazioni organizzate via Facebook. E Abu Mazen non vuole essere incolpato del protrarsi della spaccatura.
Ma una unità dei palestinesi che comprendesse una Hamas per nulla riformata comporterebbe conseguenze estremamente negative per le prospettive della soluzione a due Stati. Nessun governo israeliano potrebbe prendere in considerazione l’avvio di negoziati con una coalizione di governo palestinese che comprendesse questa Hamas. Di più. Il fatto stesso che l’Autorità Palestinese si dimostri disponibile a cooperare politicamente con Hamas senza porre alcuna condizione – come, ad esempio, la richiesta che abbandoni l’impegno per la lotta armata contro Israele – e che questa posizione dell’Autorità Palestinese sia così popolare fra i palestinesi, non fa che evidenziatore i formidabili ostacoli che Israele si trova di fronte nella sua ricerca di una pace coi vicini palestinesi.
Resta comunque il fatto che Hamas – o per lo meno la sua ala militare e la sua dirigenza con sede a Damasco – non ha alcun reale interesse per un riavvicinamento con Fatah. Come ha scritto domenica il corrispondente del Jerusalem Post per gli affari palestinesi Khaled Abu Toameh, la decisione di Hamas di imprimere una nuova escalation al fuoco di mortai su Israele è motivata dal desiderio di distogliere l’attenzione dalla sua declinante popolarità nella striscia di Gaza. Temendo che una campagna popolare per l’unità, guidata dall’Autorità Palestinese, possa erodere la sua presa su Gaza, Hamas ha ripreso gli attacchi coi mortai nella speranza di trascinare Israele in una nuova controffensiva militare: le vittime civili inevitabili, sebbene non intenzionali, che ne risulterebbero – calcolano gli islamisti – galvanizzerebbero il sostegno per Hamas.
La dinamica innescata a Gaza potrebbe segnare la fine dei tentativi di Abu Mazen di progettare un riavvicinamento fra Fatah e Hamas. Tragicamente, però, espone gli israeliani che vivono nell’area attorno alla striscia di Gaza allo stesso genere di attacchi che precedettero l’Operazione “Piombo Fuso” del gennaio 2009.

(Da: Jerusalem Post, 20.3.11)

Nella foto in alto: 6 marzo – Il capo del politburo di Hamas con sede a Damasco, Khaled Meshaal, accolto a a Khartoum dal presidente sudanese Omar Hassan al-Bashir (ricercato dalla Corte Penale Internazionale per genocidio, crimini contro l’umanità e crimini di guerra nel Darfur).

Si veda anche:

La Carta di Hamas

https://www.israele.net/articolo,2360.htm

Un bastimento carico di armi per i terroristi di Gaza

https://www.israele.net/articolo,3087.htm

Hamas ammette: “I morti a Gaza erano nostri combattenti”

https://www.israele.net/articolo,2975.htm

Ministro di Hamas: “Ci prenderemo Haifa e Acco”

https://www.israele.net/articolo,2971.htm

Hamas: Ebrei destinati alla distruzione

https://www.israele.net/articolo,2776.htm

I primi ventidue anni di Hamas

https://www.israele.net/articolo,2697.htm

Sotto le scuole dell’Onu Hamas scava tunnel per il traffico di armi

https://www.israele.net/articolo,2564.htm

I palestinesi vogliono la pace con Hamas, non con Israele

https://www.israele.net/articolo,2474.htm

Va bene parlare con Hamas, ma di cosa?

https://www.israele.net/articolo,2473.htm