Se e come aiutare gli abitanti di Gaza

La vittoria di Hamas rischia di rovesciare sulla popolazione palestinese una grave crisi umanitaria.

Da un editoriale di Ha'aretz

image_1152La vittoria di Hamas alle elezioni per il Consiglio Legislativo Palestinese non solo ha cambiato la mappa diplomatica dei rapporti israelo-palestinesi, ma rischia anche di abbattere sulla popolazione palestinese, giovani e vecchi, una grave crisi umanitaria. L’Autorità Palestinese dipende dagli aiuti dall’esterno per coprire il gap fra entrate e uscite. Alcuni di questi finanziamenti vanno direttamente a infrastrutture e progetti di sviluppo, ma per la maggior parte passano attraverso la burocrazia dell’Autorità Palestinese. Dal momento che questo apparato è stato consegnato nelle mani di un’organizzazione terroristica che non ha mai cessato i preparativi per altre stragi in Israele, e che non muove un dito per fermare i lanci di missili e gli attentati suicidi realizzati da altre fazioni (come Fatah e Jihad Islamica), trasferire quei fondi al governo di Hamas costituirebbe a tutti gli effetti un’approvazione del perdurante terrorismo. Tale trasferimento di fondi inoltre andrebbe a contrastare la politica di Gerusalemme, di Washington e di Ramallah – dove ha sede il presidente dell’Autorità Palestinese Mahmoud Abbas (Abu Mazen) – che punta a indebolire il governo di Hamas e incoraggiare i palestinesi a sostituirlo alle prossime elezioni.
D’altra parte, le crescenti pene di centinaia di migliaia di abitanti della striscia di Gaza incombono minacciosamente. (…) La crisi fiscale palestinese ha retroscena assai problematici. I fondi che erano sotto il controllo diretto e corrotto di Yasser Arafat potevano garantire risorse più che sufficienti per riequilibrare il bilancio dell’Autorità Palestinese. Ma Abu Mazen e Hamas si stanno contendendo la chiave di quella cassaforte. Allo stato attuale non si può immaginare che quel tesoro possa essere usato per aiutare la popolazione palestinese.
In linea di principio la politica di Israele esclude qualunque contatto con il governo palestinese guidato da Hamas. Questa posizione prevede tuttavia alcuni margini di manovra riguardo ai contatti da mantenere con Abu Mazen e con alcuni funzionari o sindaci locali. Anche le Forze di Difesa israeliane interpretano in questo modo la direttiva, quando ad esempio la sospensione dei contatti fra ufficiali di collegamento potrebbe intralciare un’operazione per districare un cittadino israeliano rimasto intrappolato in territorio palestinese. L’imperativo di salvare una vita umana fa premio sull’embargo diplomatico, una regola che potrebbe trovare applicazione anche riguardo a palestinesi innocenti. Aiuti all’Autorità Palestinese controllata da Hamas no di certo. Ma non si deve neanche restare inerti di fronte a una crisi umanitaria che colpisce una popolazione incolpevole. Tenendo presente anche i vantaggi diplomatici: Israele non desidera un coinvolgimento internazionale in un momento di crisi, altre risoluzioni delle Nazioni Unite, o una iniezione forzata di aiuti da parte dell’Onu e di organizzazioni non governative. È meglio per Israele se la guerra a Hamas non danneggia la gente palestinese. La battaglia è contro un’organizzazione e un governo, non contro una popolazione o singoli individui.

(Da: Ha’aretz, 5.04.06)