Se fallisce il terrorismo, crescono le possibilità di negoziato

Sondaggi: gli israeliani non si piegano al terrorismo, e prende piede la formula due popoli-due stati

Quasi quattro anni di incessante terrorismo non hanno spezzato il morale né minato le capacità di recupero (resilienza) della popolazione israeliana. E’ quanto emerge da un’ampia ricerca condotta dal National Security Studies Center dell’Università di Haifa nel quadro del progetto sull’Indice di Resilienza Nazionale avviato nell’ottobre 2000, subito dopo lo scoppio della cosiddetta seconda intifada di Al-Aqsa.
“La gente ha imparato a convivere con il terrorismo come una minaccia affrontabile, almeno finché non supera un certo livello di frequenza di attentati e di vittime”, ha spiegato il direttore del centro, prof. Gabriel Ben-Dor.
Il centro ha condotto otto diversi sondaggi, l’ultimo nello scorso aprile, ciascuno su campioni rappresentativi di più di duemila adulti intervistati (margine d’errore 2%), concentrando le domande su quattro questioni: livello di paura e ansia fra la gente, livello di sentimenti patriottici, livello di fiducia nelle istituzioni, atteggiamento verso posizioni militanti. Lo studio dell’Indice venne avviato sulla base dell’assunto che la resilienza nazionale della popolazione è un fattore determinante per la capacità d’Israele di affrontare e resistere alle sfide che deve fronteggiare.
I risultati del sondaggio d’aprile rivelano che il livello di paura fra gli ebrei israeliani che il terrorismo colpisca loro stessi o i loro familiari è ancora molto elevato (tocca il 75%, contro l’80% dell’ottobre 2000). Il sondaggio rivela inoltre che l’85% degli israeliani è convinto che il terrorismo palestinese costituisca una minaccia strategica per lo Stato. “Un numero crescente di persone ritiene che una protratta guerra d’attrito con l’uso continuo di metodi terroristici, comporti oggi una minaccia esistenziale per la sicurezza nazionale”, spiega Ben-Dor. D’altra parte, anche il livello dei sentimenti patriottici fra gli ebrei d’Israele si è mantenuto elevato, con l’87% degli intervistati in aprile che afferma di amare ed essere fieri del proprio paese (erano l’89% tre anni e mezzo fa). Inoltre, più del 90% degli ebrei israeliani esprime un altro livello di fiducia nelle Forze di Difesa israeliane, anche questo un dato che si è mantenuto pressoché invariato dal 2000 a oggi. L’88% degli intervistati afferma di considerare Israele come la propria casa e di non avere alcuna intenzione di andarsene.
Secondo Ben-Dor i dati mostrano che, nonostante la paura e la condizione di stress indotte dal terrorismo, la grande maggioranza della popolazione ebraica d’Israele esprime forti sentimenti patriottici: l’obiettivo dei terroristi di minare il morale degli israeliani e spingerli a lasciare il paese è fallito.
Parallelamente alla fiducia nelle Forze di Difesa israeliane, va sottolineato che il 78% degli israeliani (compresi gli arabi israeliani) esprime grande fiducia nel sistema giudiziario del paese, soprattutto nella Corte Suprema. Solo il 40% esprime altrettanta fiducia nei partiti politici. “Il fatto che gli ebrei israeliani abbiano fiducia nelle misure adottate dalle forze armate e, contemporaneamente, nella Corte Suprema indica un buon grado di tenuta della democrazia israeliana, nonostante gli evidenti problemi di sicurezza”, conclude Ben-Dor.
(Da: Jerusalem Post, 27.05.04)

Secondo un sondaggio condotto su 40.000 intervistati, sia israeliani che palestinesi, il 76% di entrambe le popolazioni si dice favorevole alla formula “due popoli-due stati” come soluzione del conflitto che li divide.
Benché non ancora elaborati del tutto, i risultati del sondaggio, commissionato dall’organizzazione “One Voice” che milita per la promozione della pace fra le popolazioni prima che fra statisti e diplomatici, sono stati recentemente illustrati alla stampa a New York.
Dal sondaggio risulta inoltre che la grande maggioranza dei palestinesi è contraria alla presenza di insediamenti israeliani nei territori, mentre la grande maggioranza degli israeliani è contraria al cosiddetto diritto al ritorno (dei profughi palestinesi e dei loro discendenti all’interno di Israele).
(Da: Ma’ariv, 27.05.04)