Se fallisce la deterrenza con Hamas e Jihad Islamica

Grazie a Goldstone & Co., i terroristi di Gaza si ritengono ormai al sicuro da un intervento israeliano.

Di Moshe Arens

image_3105Basta Guerra, basta spargimenti di sangue: che ci pensi la deterrenza a fare il lavoro di soldati e armi sul campo di battaglia. Ottima dottrina, quando funziona. Ha funzionato con l’Unione Sovietica e l’America durante la guerra fredda. Ed ha funzionato per Israele a partire dalla guerra di Yom Kippur (1973) finché i nostri vicini hanno avuto di che preoccuparsi. In effetti, fu proprio sulla deterrenza che si fondarono i trattati di pace con l’Egitto (1979) e la Giordania (1994). Quando i leader di una nazione che accarezzano l’idea di un atto d’aggressione si rendono conto che andrebbero incontro a una sconfitta quasi sicura o perlomeno a distruzioni tanto estese da mettere a rischio la loro presa sul potere, generalmente ne sono dissuasi e desistono. Questa è la ragione per cui Anwar Sadat, dopo la sconfitta egiziana nella guerra di Yom Kippur, concluse che era arrivata l’ora di fare la pace con Israele. Ed è la ragione per cui gli Assad, padre e figlio, non hanno più attaccato direttamente Israele nei 38 anni trascorsi dalla guerra del Kippur.
Naturalmente può sempre accadere che un calcolo sbagliato mandi all’aria la deterrenza. Nella seconda guerra mondiale i giapponesi sbagliarono i calcoli e attaccarono Pearl Harbor pensando di poter sconfiggere l’America. In Iraq, Saddam Hussein sbagliò i suoi conti quando si convinse che i Bush, padre e figlio, non sarebbero entrati in guerra contro di lui nonostante le sue provocazioni. Pertanto la possibilità di un errore di calcolo dall’altra parte deve sempre essere tenuta in considerazione nel definire l’equazione della deterrenza.
Tutt’altra storia quando si tratta di terroristi. Normalmente coi terroristi la deterrenza non funziona: sono bersagli difficili, e rispondono solo a se stessi o alla loro organizzazione senza preoccuparsi minimamente se chi sta loro attorno finisce col patire le conseguenze dei loro atti. Essendo indifferenti all’effetto deterrenza, devono essere sconfitti direttamente, come fecero le Forze di Difesa israeliane dopo la strage di pasqua a Netanya del marzo 2002.
Esistono poi dei terroristi che assumono una forma di responsabilità politica nella loro “casa base”, diventando in questo modo meno indifferenti e più esposti alle misure di ritorsione adottare in seguito ai loro attentati. È il caso, oggi, dei terroristi Hezbollah. Inizialmente non avevano una pozione politica in Libano, per cui era difficile identificarli con il governo libanese e considerare quel governo responsabile dei loro atti terroristici. Beirut aveva buon gioco a sostenere che non era in grado di controllare Hezbollah. Questo modello Hezbollah di un’organizzazione terroristica apparentemente incontrollabile da parte del governo nazionale del paese interessato è diventata un paradigma per operazioni terroristiche ben presto imitato altrove. Un tempo, più di dieci anni fa, i siriani controllavano il Libano e anche Hezbollah, e potevano essere ritenuti responsabili per gli atti di terrorismo commessi da Hezbollah. A quel tempo le forze aeree israeliane, in risposta ai lanci di razzi sulle comunità civili israeliane del nord del paese, attaccavano infrastrutture a Beirut e in altre località libanesi e la pressione dei siriani portava a una cessazione seppur temporanea dei lanci di razzi. La situazione è cambiata quando la Siria è uscita dal Libano (2005) e Hezbollah è tornato ad essere un’organizzazione terroristica “incontrollabile”. Ed è cambiata di nuovo nel corso degli anni quando Hezbollah ha acquisito potere politico, diventando l’attore predominante sulla scena politica libanese.
A Gaza c’è un’organizzazione terroristica, Hamas, che governa ed è chiamata a rispondere, ma anche qui vediamo riproporsi lo schema già collaudato da Hezbollah, con la Jihad Islamica palestinese nella parte dell’organizzazione terroristica “incontrollabile”. Come mai l’operazione “piombo fuso” (gennaio 2009) non ha creato un deterrente di lunga durata contro gli attacchi di razzi dalla striscia di Gaza sul sud di Israele? Lasciando da parte la questione del perché alle Forze di Difesa israeliane non venne ordinato di completare l’opera ponendo fine alla capacità tecnica di Hamas di lanciare razzi da Gaza, vi sono buone ragioni per ritenere che Hamas e Jihad Islamica, sulla scorta del rapporto Goldstone e più in generale delle condanne indiscriminate dell’intervento israeliano anti-Hamas, si siano convinte che il governo di Gerusalemme dovrà pensarci mille volte prima di intraprendere altre operazioni di terra contro di loro. Tuttavia i lanci di razzi possono essere fermati solo con un’operazione di terra. Stiamo dunque assistendo a un fallimento della deterrenza, oppure sono Hamas e Jihad Islamica che stanno sbagliano i loro calcoli?

(Da: Ha’aretz, 29.03.11)

Nella foto in alto: Moshe Arens, autore di questo articolo