Se i palestinesi inquinano aria e acqua: da loro e dai vicini

Un grave danno ambientale, un governo che finalmente interviene, e i Verdi che se ne stanno zitti

Di Stephen M. Flatow

Stephen M. Flatow, autore di questo articolo

Stephen M. Flatow, autore di questo articolo

Un’importante azione di governo è stata intrapresa la scorsa settimana per proteggere l’ambiente in Medio Oriente. Ma non aspettatevi che al governo in questione venga riconosciuto alcun merito perché si tratta del governo israeliano, mentre gli inquinatori sono arabi palestinesi. E i palestinesi, come tutti sappiamo, sono esenti da qualunque critica internazionale.

Le autorità israeliane avevano più volte allertato l’Autorità Palestinese, nel corso di diversi anni, a proposito di una fabbrica di carbone nella città di Ya’bad, in una zona sotto governo dell’Autorità Palestinese, che stava causando un grave inquinamento atmosferico in tutta l’area. Gli israeliani avevano messo in chiaro che se l’Autorità Palestinese non avesse agito, Israele si sarebbe trovato costretto a intervenire direttamente.

Le vittime principali dell’inquinamento di Ya’bad sono, naturalmente, i residenti palestinesi della stessa Ya’bad e dei villaggi circostanti. I rappresentanti israeliani avevano anche segnalato all’Autorità Palestinese che i residenti della zona, arabi ed ebrei, soffrono di un tasso sproporzionatamente alto di malattie respiratore a causa dei fumi emessi dalla fabbrica. Si poteva dunque supporre che l’Autorità Palestinese avrebbe preso provvedimenti anche solo per questo motivo. Ma all’Autorità Palestinese non interessa per nulla proteggere l’ambiente e la salute dei suoi abitanti, e così ha totalmente ignorato gli avvertimenti israeliani.

L’intervento delle autorità israeliane nell’impianto inquinante di Ya'bad

L’intervento delle autorità israeliane nell’impianto inquinante di Ya’bad

Evidentemente i funzionari dell’Autorità Palestinese davano per scontato – sulla base di una serie di precedenti – che se Israele avesse agito, il Dipartimento di stato americano, le ong e i mass-media a partire dal New York Times lo avrebbero automaticamente accusato di condurre una “indebita intrusione in territorio palestinese” e una guerra commerciale “contro gli imprenditori palestinesi”. Probabilmente l’Autorità Palestinese contava anche sul fatto che i vari partiti Verdi in tutto il mondo sono talmente chiusi in una visione del mondo estremista filo-palestinese che non avrebbero mai levato la voce contro l’inquinamento palestinese. E finora, a quanto pare, è andata proprio così.

Settimana scorsa la pazienza di Israele con gli avvelenatori dell’aria di Ya’bad si è infine esaurita. La polizia israeliana è intervenuta, ha fatto spegnere i forni della fabbrica e ha confiscato gli impianti. Invece di ringraziare gli israeliani per l’intervento a difesa dell’ambiente e contro il cancro ai polmoni che colpisce sia gli arabi che gli ebrei della zona, i funzionari dell’Autorità Palestinese hanno immediatamente denunciato l’azione israeliana. Il governatore palestinese del distretto di Jenin ha detto che l’azione rappresenta un ulteriore esempio di “politiche israeliane volte a confiscare le terre e imporre misure restrittive contro il popolo palestinese”.

Morìa di pesci nel fiume Alexander

Morìa di pesci nel fiume Alexander

A suo dire, il fatto che Israele sia intervenuto per salvare i palestinesi da un inquinamento tossico “non farà che rafforzare la nostra determinazione a difendere le nostre terre e conseguire i nostri obiettivi nazionali”. L’agenzia di stampa palestinese Ma’an ha riferito che “i palestinesi il cui sostentamento dipendeva dalla fabbrica di carbone hanno fatto appello alle organizzazioni per i diritti umani affinché intervengano per fermare il blocco di Israele delle loro attività produttive”. Non ci sarebbe da sorprendersi se anche medici e amministratori d’ospedale palestinesi aderissero alle proteste visto che i miasmi dalla fabbrica procuravano loro parecchio lavoro.

Non si pensi che quello di Ya’bad sia un caso isolato. Solo due settimane prima YnetNews aveva riferito di un pesante tasso di inquinamento riscontrato nel fiume Alexander, che ha causato una grave morìa di pesci dovuta molto probabilmente agli scarti della lavorazione delle olive palestinesi indiscriminatamente riversati nel corso d’acqua, che nasce in Samaria (Cisgiordania) per poi sfociare in Israele. Segni analoghi di inquinamento erano stati registrati anche lo scorso anno. YnetNews sottolineava che il governo israeliano ha investito ingenti risorse nel risanamento del fiume Alexander, un fiume che ospita importanti popolazioni di pesci, tartarughe e altre creature acquatiche. Ma ogni anno i rifiuti della lavorazione stagionale delle olive in Cisgiordania finiscono nel fiume, causando la morte degli animali e danni alla vegetazione lungo le sponde.

Il fiume Alexander nel trattao israeliano

Il fiume Alexander nel tratto israeliano

Prima o poi il governo israeliano sarà sicuramente costretto ad agire nei confronti dei palestinesi inquinatori del fiume così come ha dovuto agire a Ya’bad. E i palestinesi potranno di nuovo gridare che vengono “perseguitati”. C’è solo da sperare che gli israeliani ignorino completamente le reprimende e continuino a fare quello che è necessario per proteggere l’ambiente.

Ma si immagini per un momento se al posto dell’Autorità Palestinese vi fosse già uno stato palestinese pienamente sovrano. Qualsiasi tentativo da parte di Israele di intervenire contro l’inquinamento proveniente dal versante palestinese del confine costituirebbe una violazione della sovranità nazionale di un altro paese: gli israeliani si troverebbero con le mani legate. La loro aria potrebbe riempirsi dei fumi tossici dalle fabbriche di carbone palestinesi, i loro fiumi diverrebbero le discariche dei veleni dei coltivatori di olive palestinesi, e Israele non potrebbe farci nulla. È davvero questo il futuro che auguriamo agli abitanti della regione?

(Da: Times of Israel, 20.11.16)