Se l’atomica è fungibile

Ci sono momenti in cui è meglio agire che parlare

Da un editoriale del Jerusalem Post

image_1833Non siamo in grado di dire con certezza se Israele abbia condotto o meno un’operazione militare in Siria una decina di giorni fa, quale fosse l’obiettivo e se l’obiettivo sia stato raggiunto. Quello che possiamo dire è che le maggiori testate della stampa estera parlano di un obiettivo costituito da impianti militari non-convenzionali, forse nucleari, e che l’intervento israeliano sarebbe avvenuto pochi giorni dopo l’arrivo in Siria di una “fornitura di materiale critico” dalla Corea del Nord.
Come ha detto al Jerusalem Post John Bolton, ex ambasciatore Usa all’Onu, è del tutto plausibile che la Siria abbia accettato di mettere il suo territorio a disposizione per “impianti di arricchimento dell’uranio” dell’Iran e della Corea del Nord, due suoi alleati i cui programmi nucleari sono sotto stretta osservazione.
Va riconosciuto al governo israeliano il merito d’essersi attenuto al più stretto riserbo su tutta la faccenda. Vi sono momenti in cui è meglio agire che parlare, e questo ha tutta l’aria di essere uno di quei momenti.
Possiamo presupporre che le Forze di Difesa israeliane non avrebbero raccomandato, né il livello politico avrebbe autorizzato un’operazione rischiosa in un paese nemico se la minaccia da affrontare non fosse stata molto grave e immediata. E possiamo supporre che il contributo che i siriani stanno dando alla cortina fumogena intorno a tutta faccenda sia la prova che hanno parecchio da nascondere.
In ogni caso, l’incidente serve a rimarcare un aspetto dell’attuale realtà che viene spesso largamente ignorato, e cioè la natura globale della minaccia posta dai regimi delinquenti e la “fungibilità” delle armi di distruzione di massa.
Finora la denuncia del presidente George Bush di un “asse del male” – comprendente all’epoca Iran, Iraq e Corea del Nord – è stata considerata da molti critici come qualcosa di esagerato e poco plausibile. Molti si domandano cosa abbiano mai a che fare l’uno con l’altro paesi così diversi, per non dire di una loro eventuale significativa alleanza. E invece vediamo ogni giorno di più che, così come le nazioni libere possono operare insieme, e spesso in effetti lo fanno, contro minacce comuni, lo stesso fanno gli stati delinquenti e le organizzazioni terroristiche, superando spesso e volentieri barriere regionali, culturali e religiose.
Dopo che per anni gli esperti hanno respinto qualunque possibilità di cooperazione fra estremisti sciiti e sunniti, oggi è fuori dubbio che l’Iran sciita aiuta i palestinesi sunniti di Hamas, che entrambi collaborano strettamente con gli sciiti libanesi di Hezbollah, e che la sunnita al-Qaeda è intrecciata, probabilmente in modo assai stretto, con tutto questo mix jihadista. E appare chiaro che poco importa la mancanza di connessioni ideologiche fra Corea del Nord e jihadisti islamisti, quando entrambi sono nemici giurati dell’occidente e la Corea dispone di tecnologia che fa gola ai jihadisti. La lezione da trarre è che l’occidente deve smettere di guardare allo scenario globale senza mai unire i puntini: come se Iraq, Iran, Siria, Libano, Corea de Nord e conflitto arabo-israeliano non avessero nulla a che vedere l’uno con l’altro.
Il presidente John F. Kennedy parlava di economia quando disse che “la marea che sale solleva tutte le imbarcazioni”. Ma lo stesso si può dire della situazione strategica globale. C’è la squadra delle nazioni libere e c’è la squadra dei regimi delinquenti con i loro fiduciari terroristi. O sta vincendo la tua squadra, o sta vincendo la loro. Ed è impossibile per noi vincere su tutta la linea, o anche solo su un posto per lungo tempo, se intanto perdiamo su altri importanti fronti dello scontro globale.
Inoltre dovrebbe essere evidente che l’arena israelo-palestinese non è quella cruciale. Cruciale è piuttosto se i regimi delinquenti come Siria e Iran potranno continuare a permettersi la loro corsa alle armi non convenzionali più devastanti e il loro sfrenato sostegno al terrorismo internazionale. Questa è la partita che determinerà la risolvibilità dell’altra, e non viceversa. Come ha scritto Barry Rubin, un messaggio importante nella deposizione del generale David Petraeus a Washington è che il precedente rapporto Baker-Hamilton ha visto le cose a rovescio: non è vero, come sosteneva quel rapporto bipartisan, che i regimi di Teheran e Damasco sono interessati ad un Iraq stabilizzato, né che progressi nei rapporti israelo-palestinesi li renderebbero più cooperativi. “Petraeus – scrive Rubin – ha detto la dura verità: l’imperialismo iraniano è in guerra con l’America e non è interessato ad alcuna soluzione di compromesso”.
L’amorfo incidente israelo-siriano sottolinea qual è la sfida più urgente del giorno: impedire a Siria e Iran di ottenere armi nucleare. Speriamo che l’incidente serva a rimarcare che Israele è pronto a usare tutta la forza necessaria per farlo, e che supremo interesse della comunità internazionale è risolvere il problema nel suo complesso ben prima dell’estrema risorsa dell’intervento, e che è ancora possibile farlo se solo se ne ha la volontà.

(Da: Jerusalem Post, 17.09.07)