Se “l’eredità di Peres” verrà usata per randellare Israele

I tanti amici accorsi ai funerali dell’ex presidente israeliano saranno pronti a schierarsi a fianco di Israele anche nei tempi di crisi?

Di David M. Weinberg

David M. Weinberg, autore di questo articolo

David M. Weinberg, autore di questo articolo

Ahimè, il grande affetto espresso a Israele da decine di re, principi, presidenti, ministri e primi ministri accorsi a Gerusalemme lo scorso 30 settembre per i funerali di Shimon Peres è in gran parte un affetto condizionato, limitato com’è all’Israele di Oslo, vale a dire all’Israele che fa ampie concessioni e si assume enormi rischi in cambio di vaghe promesse e impegni non mantenuti. E’ un po’ come se Israele possa essere giustificato e sostenuto solo e unicamente se segue le orme dell’ultimo Peres. Se invece Israele opta per una strada diversa, come ha evidentemente fatto dopo 23 anni di fallimenti del processo di Oslo, allora non è degno della comprensione e dell’affetto del mondo. A ben vedere, purtroppo, questo era il tono che caratterizzava come una corrente sotterranea gran parte dei discorsi e dei commenti sui mass-media internazionali in occasione della morte di Peres.

Ed era anche il non-poi-così-sottile messaggio diplomatico sotteso alla maggior parte dei (peraltro meritatissimi) necrologi dedicati a Peres. Un po’ come dire: “Oh che leader sofisticati, aperti e di ampia visione che aveva un tempo Israele, e che leader cocciuti, gretti, tetri e deprimenti che ha oggi!” (ed è appena il caso di ricordare che in questi stessi termini venivano descritti, quando erano vivi e attivi, i leader israeliani di ieri, compresi Peres e Yitzhak Rabin per non dire di Menachem Begin, Golda Meir e Ben Gurion).

Sicché, pur profondamente grato del fatto che tanti statisti, duchi, dame e duchesse si siano precipitati in Israele da ogni angolo del mondo per partecipare al grande funerale di Peres, sento comunque il bisogno di chiedermi se lo straordinario evento non possa tradursi in un boomerang contro Israele, ed essere utilizzato come un randello contro le attuali politiche del suo governo.

Gerusalemme, 30 settembre: il presidente Usa Barack Obama ai funerali di Shimon Peres

Mi domando: i tanti amici di Israele animati dal “retaggio di Peres” saranno pronti a schierarsi a fianco del popolo e dello stato di Israele non solo al momento dei funerali e in tempo di relativa pace, ma anche nei tempi di crisi? Saranno capaci di schierarsi a fianco di Israele anche quando Israele verrà trascinato per l’ennesima volta in un conflitto e avrà bisogno del loro sostegno politico concreto, e non solo di buoni sentimenti?

Dopo tutto, quella in cui vive Israele è una realtà hobbesiana, una giungla a causa della quale il conflitto e il ricorso all’hard power sono caratteristiche destinate prevedibilmente a persistere nel futuro politico di questo paese. Tanto più che un significativo ritiro di Israele, civile e militare, dalle regioni di Giudea e Samaria non è alle viste, almeno finché durano gli attuali frangenti, indipendentemente dai pii desideri di Peres.

Così, la prossima volta che le Forze di Difesa israeliane dovranno muoversi per sgominare le truppe di Hamas e Hezbollah sostenute dall’Iran, dispiegate rispettivamente ai nostri confini meridionali e settentrionali – armate come sono di centinaia di migliaia di missili puntati contro il nostro piccolo stato – i leader del mondo saranno pronti a sostenere Israele o si precipiteranno a condannarlo? Saranno al nostro fianco come lo sono stati ai funerali di Peres o si affretteranno ad accusarci davanti al tribunale dell’opinione pubblica globale come hanno fatto tante volte in passato?

Quando le Forze di Difesa israeliane saranno costrette a interdire i terroristi palestinesi che progettano di far saltare autobus e caffè israeliani eseguendo i necessari arresti preventivi e i necessari raid nella casbah di Hebron, mostreranno un minimo di comprensione e affetto per Israele come hanno mostrato per Peres? Oppure i vari presidenti americani e primi ministri europei ci gratificheranno di quello che amano chiamare “il severo affetto dei veri amici”, fatto soltanto di ingiuste ramanzine e condanne disoneste, mettendoci in guardia dal nostro “sempre più grave isolamento” (generato dalle loro stesse condanne) e additando le nostre politiche come “prova” che Israele è cattivo e guerrafondaio?

(Da: Jerusalem Post, 8.10.16)