Se ne discute in Israele

Alcuni commenti dagli editoriali della stampa israeliana di martedì 4 agosto

Yediot Aharonot osserva che “secondo i sondaggi d’opinione, la Knesset ed altri parlamenti di paesi democratici stanno piuttosto male in termini di fiducia pubblica”. L’editoriale colloca il presidente della Knesset Reuven Rivlin, il primo ministro Benjamin Netanyahu, il ministro della difesa Ehud Barak, la presidente del Kadima Tzipi Livni, il parlamentare del Kadima Shaul Mofaz e il ministro Michael Eitan su una scala da 1 a 10, e dà una media di 4.66.

Ma’ariv si indigna per la scarsità di proteste efficaci e prolungate per i delitti di sabato notte al club per giovani omosessuali, a Tel Aviv.

Yisrael Hayom esamina la richiesta del primo ministro Benjamin Netanyahu che i palestinesi riconoscano Israele come lo stato nazionale del popolo ebraico, nel contesto dell’attuale congresso del Fatah. Mentre l’editoriale riconosce che l’esistenza di Israele non è basata su questo riconoscimento, asserisce che, “se vogliamo la pace, allora questo riconoscimento è sia necessario che urgente”. Il giornale suggerisce che “il rifiuto di principio da parte dei palestinesi, dal momento che significa rinunciare sia alla pace che alla costituzione del loro stato, attesta che la loro opposizione è sostanziale”, e smentisce il loro desiderio dichiarato di pace con Israele. L’editoriale sostiene che “la sostanza del conflitto è la questione del diritto del popolo ebraico ad uno stato indipendente e sovrano in terra d’Israele” e aggiune che “gli arabi in generale, e i palestinesi in particolare, non vogliono riconoscere questo diritto”. Il giornale ammonisce, tuttavia, che tale riconoscimento deve essere sostanziale, e non solo a parole, e dichiara che “il significato sostanziale di riconoscere lo stato d’Israele come lo stato del popolo ebraico significa rinunciare alla rivendicazione di un ‘diritto al ritorno’ per i nipoti e i pronipoti dei profughi”. L’autore chiede al governo di “annunciare che il problema dei profughi, cioè la richiesta del ‘diritto al ritorno’ non fa parte di alcun negoziato”, e aggiunge che “solo quando i palestinesi accetteranno questo, vi sarà finalmente il segno che abbiamo un interlocutore per la pace. Aspetteremo di sentire che cosa decide il congresso del Fatah”.

The Jerusalem Post dice che, mentre lo sfratto delle famiglie arabe dalle loro case nel quartiere Sheikh Jarrah di Gerusalemme nord-orientale non è stato molto lusinghiero, e la copertura dei media è stata pesantemente in sostegno della posizione palestinese, il problema ha un altro aspetto. LO sfratto è stato fatto in base a una decisione della Corte Suprema, che ha dimostrato che le case erano originariamente una proprietà ebraica che era stata confiscata dai giordani dopo la guerra d’indipendenza ed occupate illegalmente dagli attuali residenti. L’autore dice che “ebrei ed arabi sono destinati a condividere questa città. Entrambi i popoli farebbero bene a evitare azioni che possono esacerbare le tensioni”.

Haaretz afferma che non c’è ragione per aspettare un’incriminazione dalla raccomandazione della squadra antifrodi della polizia israeliana ai danni del ministro degli esteri Avigdor Lieberman per una lunga serie di imputazioni, e sostiene che è diventato assurdo che egli continui ad essere il ministro degli esteri di Israele, e uno dei sei ministri che prendono le decisioni sui problemi esteri e di sicurezza. L’autore conclude dicendo che “Israele, che è sulla difensiva sulla scena mondiale ed affronta la possibilità di rinnovati negoziati di pace con i palestinesi, ha bisogno di un ministro degli esteri di statura internazionale e con un sostegno politico, non un potenziale imputato”.