Se ne discute in Israele

Alcuni commenti dagli editoriali della stampa israeliana di lunedì 10 agosto

Yediot Aharonot osserva che il numero di operai palestinesi che lavorano legalmente in Israele è aumentato del 100% negli ultimi anni. L’editoriale sostiene che i vantaggi economici per l’economia palestinese sono chiari, ma ritiene anche che i vantaggi per Israele siano altrettanto evidenti. Il giornale ricorda ai suoi lettori che, “diversamente dagli operai europei, africani o asiatici, l’operaio palestinese va a casa alla fine della giornata lavorativa e non ha problemi sociali concomitanti. Egli e la sua famiglia non costituiscono un peso sui sistemi israeliani di istruzione, alloggiamento e sanità”. Il giornale cita uno studio privato e dei dati ISA che mostrano che, a parte le dispute personali e criminali, dall’inizio della seconda intifada nessun operaio palestinese legale ha compiuto attentati terroristici. Quindi, conclude l’editoriale, “possiamo e dobbiamo rendere più efficienti le procedure di attraversamento e l’ottenimento dei permessi di lavoro, migliorare il coordinamento di sicurezza e impedire fenomeni di costosa intermediazione e di ricatto. Il punto di vista israeliano deve essere che lavorare in Israele rappresenti un vantaggio sia per i palestinesi che per Israele”.

Ma’ariv discute la controversia sulla lettera del console generale d’Israele a Boston, Nadav Tamir, che biasima l’attuale governo per lo stato delle relazioni con gli USA. L’editoriale asserisce: “Il difetto principale nelle rivendicazini del console a Boston Nadav Tamir, il diplomatico che è stato convocato per ‘chiarificazioni’, sta nell’apertura del documento analitico che ha inviato. ‘Negli ultimi 16 anni’, scrive, ‘l’approccio israeliano è stato correttamente caratterizzato dall’enfatizzazione dei valori e interessi comuni tra i due paesi’. La rivendicazione è corretta e contiene la spiegazione del cambiamento: gli ultimi 16 anni sono stati quelli delle amministrazioni Bush e Clinton. Ora a Washington c’è un presidente diverso, Barack Obama, il cui approccio è diverso”. Tuttavia il giornale dice che le osservazioni di Tamir “sono ragionate e meritevoli di una discussione, non di una chiarificazione amministrativa, se si tiene conto del fatto che queste sono le sue vedute e che ce ne sono anche altre”. L’editoriale dichiara che “Nadav Tamir non dovrebbe essere rimproverato per aver mandato un rapporto accurato. E’ quello che un diplomatico deve fare. I suoi superiori possono accettare o non accettare le sue raccomandazioni”.

Yisrael Hayom dice che “è vero, la vita nelle città e nei villaggi arabi di Giudea e Samaria (Cisgiordania) è migliore, più piacevole e più sicura di quanto sia stata da lungo tempo”, ma sostiene che “questo risultato è principalmente merito delle Forze di difesa israeliane”. L’editoriale asserisce che “senza le forze israeliane, il regime di Abu Mazen sarebbe durato da tre mesi a un anno “nonostante gli sforzi di Fatah per imparare da quello che è successo a Gaza”. Il giornale ritiene che la “cooperazione” tra le Forze di difesa isrealiane e le forze dell’Autorità Palestinese “è efficace finché le forze israeliane sono libere di agire secondo le proprie decisioni”. L’editoriale ammonisce che “senza le Forze di difesa israeliane, Hamas farebbe vicino a Gerusalemme e a Tel Aviv quello che ha fatto, e sta facendo, a Gaza”.

Il Jerusalem Post discute l’assemblea generale di Fatah, cominciata il 4 agosto a Betlemme, e afferma che “l’assemblea ha generato abbastanza prevaricazione e dissimulazione per perpetuare la pretesa che Fatah sia un’alternativa veramente ‘moderata’ a Hamas.” L’editoriale aggiunge che “in tempi come questi, sembra che ‘aiutare Abu Mazen’ sia diventato un fine in se stesso”.

Haaretz valuta l’attuale carenza di medici in Israele alla luce dell’intenzione del ministero della sanità di importare medici dalla Georgia per migliorare la situazione, e dichiara che “le soluzioni sono evidenti, ed essenziali, nonostante il costo: espandere e riorganizzare le scuole di medicina esistenti, facilitare i criteri di ammissione, incoraggiare i giovani medici ad entrare nei campi della medicina meno popolari, sovvenzionare i medici nelle zone remote, e porre fine alla discriminazione verso i medici immigramti e gli studenti di medicina arabi”.