Se solo Tzipi spiccasse il volo

Dopo scandali e delusioni, gli israeliani vedrebbero con favore una nuova premiership caratterizzata da onestà e sobrietà

M. Paganoni per NES n. 6, anno 20 - giugno 2008

image_2155“Barak e Netanyahu – ha scritto B. Michael su Yediot Aharonot (06.14.089) – sono già stati primi ministri e hanno deluso. Il terzo concorrente, Tzipi Livni, è ancora in gran parte un mistero”. In effetti, la figura di Tzipi Livni, ministro degli esteri israeliano dal maggio 2006, seconda donna in Israele a ricoprire questa carica dopo Golda Meir, resta un po’ un rebus. Nota Attila Somfalvi (YnetNews, 31.5.08): “Tanti aspettano il momento in cui darà prova di vera leadership, il momento in cui Tzipora [uccello, in ebraico] dispiegherà le ali e spiccherà il volo. Quel momento non sembra ancora arrivato. Il ministro degli esteri si apre la strada con cautela. Chiede a Kadima di prepararsi alle primarie, critica lo standard morale di Ehud Olmert, aspira a diventare primo ministro, ma ha paura a dirlo ad alta voce. Sa che prima o poi Olmert andrà sostituito, ma non vuole tagliarsi i ponti alle spalle. Perlomeno non prima che sia emerso un fronte abbastanza forte da mandare a casa il primo ministro. Ed è qui che la vedremo alla sua prima vera prova da leader”.
Dopo la deposizione di Morris Talansky, l’uomo d’affari americano sospettato d’aver versato bustarelle per coprire spese elettorali e voluttuarie di Olmert, l’arena politica a Gerusalemme è in subbuglio. Il principale partito d’opposizione, il Likud di Bibi Netanyahu, favorito nei sondaggi, chiede le elezioni anticipate. Il ministro della difesa e leader del partito laburista Ehud Barak minaccia di fare altrettanto se Olmert non si dimette. Il vice premier Haim Ramon lo redarguisce: “Le elezioni vanno evitate – esclama il 14 giugno a Canale 2 – Non ci possiamo permettere il ritorno di Netanyahu”.
Solo le primarie del partito Kadima (che Olmert vorrebbe trascinare fino a metà luglio, dopo il contro-interrogatorio di Talansky da parte dei suoi avvocati) potrebbero offrire un leader alternativo, evitando crisi di governo e scioglimento della Knesset. A quel punto, scrive Ma’ariv (11.06.08), “lo screditato primo ministro non potrebbe che farsi da parte, Tzipi Livni si infilerebbe al suo posto e il paese tirerebbe un sospiro di sollievo: senza elezioni anticipate”.
Perché infatti la Livni piace. Secondo un sondaggio pubblicato da Yediot Aharonot a metà maggio, se dovesse prendere il posto di Olmert alla guida di Kadima, il partito potrebbe vincere le elezioni con 27 seggi contro 23 del Likud e 15 laburisti. “Il paradosso – scrive Herb Keinon (Jerusalem Post, 31.05.08) – è che il paese la ama forse proprio perché sa così poco di lei”.
A favore della 50enne figlia di due famosi combattenti dell’Irgun, oggi convertita alla ricetta “due popoli-due stati”, gioca l’immagine di persona nuova e pulita. In una delle sue poche interviste personali, l’anno scorso disse al New York Times Magazine: “Preferisco i jeans agli abiti, le scarpe da tennis ai tacchi alti, i mercatini ai centri commerciali. Non mi piacciono le formalità, fanno solo parte del mio lavoro. Da giovane andai nel Sinai a fare la cameriera”. Una scelta di sobrietà che tocca le corde giuste del paese. Dopo anni di scandali – dal figlio di Sharon, al presidente Katsav, al ministro Hirschson, allo stesso Olmert – gli israeliani sono ossessionati dal tema della corruzione e la Livni viene vista come l’unico candidato che potrebbe ricucire la fiducia fra pubblico e politica. “Qui non si tratta soltanto d’un affare giudiziario del primo ministro – ha detto alla stampa a fine maggio, all’indomani delle sconcertanti rivelazioni sul caso Olmert – Qui è in gioco il sistema di norme e di valori a cui siamo vincolati come cittadini e come leader di questo stato”.
Certo, pesa il precedente di un anno fa quando, il 2 maggio 2007, all’indomani della pubblicazione del Rapporto Winograd sulle gravi carenze nella gestione della seconda guerra in Libano, la Livni si sbilanciò molto (“Ho detto a Olmert che dimettersi è la cosa giusta che deve fare”), salvo poi restare al governo come se niente fosse. Fu allora che le venne incollata l’etichetta di donna volubile e senza polso. Una critica dietro alla quale Emmanuel Rosen (YnetNews, 26.05.08) intravede un improvviso riflesso maschilista: “Semplicemente – scrive – sembra che una donna non possa condurre uno stato che affronta minacce esistenziali come Israele”. E spiega: “Naturalmente nessuno osa dirlo così apertamente, la versione politically correct è che la Livni è debole, che non regge la pressione, che è troppo sensibile”. Presto, aggiunge Rosen, qualcuno tirerà fuori Golda Meir e la guerra di Yom Kippur, come se i celebrati guerrieri alla Barak e alla Sharon possano vantare chissà quali successi a fronte di Hezbollah, Hamas, Iran… “Oggi Tzipi Livni emerge non tanto per le sue capacità, quanto per le carenze degli uomini che ha attorno. È vero, deve ancora dimostrare di essere all’altezza, ma questo non è buon motivo per pretendere che cambi sesso. Il mondo oggi è un po’ più articolato di quando era governato da uomini che partivano lancia in resta per la guerra. Può darsi che l’ex capo dei servizi di sicurezza Avi Dichter o l’ex capo di stato maggiore Shaul Mofaz non siano meno qualificati di lei per guidare il paese – conclude Rosen – ma allora lo dimostrino come uomini del XXI secolo e non del Medio Evo”.
Pesa quella che viene percepita come una sua lacuna in fatto di esperienza militare, un fattore che l’avrebbe fortemente penalizzata durante la guerra sui due fronti – Gaza e Libano – dell’estate 2006. Forse non è un caso se, nelle scorse settimane, sono circolate sulla stampa notizie avvincenti (e rassicuranti) sugli anni trascorsi dalla giovane Tzipi al servizio del Mossad, “e non dietro a una scrivania”. Tanto da suscitare l’impietosa ironia di Uri Orbach (YnetNews, 6.06.08): “E’ il solito vecchio trucco del curriculum: la semplice segretaria scriverà d’essere stata responsabile per la corrispondenza esterna ed interna, lo scaricatore di porto d’essere stato manager di un cargo-team. È iniziato il processo di upgrading del passato militare della Livni”.
Sul piano politico, coloro che guardano con speranza al suo pedigree famigliare resteranno probabilmente delusi. La Livni crede veramente al negoziato con l’Autorità Palestinese di Mahmoud Abbas (Abu Mazen) e da tempo sostiene, nell’interesse di Israele, la soluzione “due stati”, pur con le dovute avvertenze su confini, sicurezza, Gerusalemme. Forse, più di altri insiste sull’abbandono del concetto di “diritto al ritorno”. “Con la creazione di uno stato palestinese a fianco di Israele vogliamo vedere la fine del conflitto – ha dichiarato il 15 maggio scorso – Ma i palestinesi celebreranno la loro giornata dell’indipendenza solo quando cancelleranno dal vocabolario la parola Naqba” (catastrofe), con cui indicano la nascita di Israele. Ed è nello stato palestinese e solo in quello, ha ribadito più volte (anche a costo di suscitare le ire di esponenti arabi israeliani), che “troverà soluzione la questione nazionale dei palestinesi”.
Un’area dove Tizpi Livni potrebbe distinguersi da Olmert è l’Europa. Da ministro degli esteri ha impegnato ore e ore in lunghe conversazioni con gli europei, mostrando d’apprezzarne l’importanza. Certamente non trascurerebbe il rapporto con gli Stati Uniti, ma nemmeno quello con l’Europa. “A questo proposito – dice Keinon – la Livni sarebbe un po’ come Shimon Peres rispetto a Yitzhak Rabin: Rabin era orientato sull’America al cento per cento; Peres capiva l’America, ma il suo cuore rimaneva in Europa”.
“Dovremmo dunque inaugurare una nuova era – conclude Yigal Sarna (Yediot Aharonot, 16.05.08) – dove il lusso sia un po’ più discreto e un po’ più lontano dalla politica. Non sono ingenuo, so che non ne sarà mai molto distante. Ma almeno vi sia un certo senso del pudore, un certo distacco. Fosse per me, eleggerei una figura relativamente nuova. Forse non esemplare in fatto di decisionismo, di coraggio e di originalità, ma una persona onesta, staccata dal lusso, senza stravaganze, senza avidità, senza un passato da commando o da parà. E poi una donna al governo potrebbe creare una nuova immagine di Israele come nessuna campagna di stampa saprebbe fare, e forse susciterebbe anche una voglia di cambiamento. Se siamo destinati a votare ogni due o tre anni, tentiamo almeno tutte le opzioni. In fondo, è da 34 anni che Israele non ha una donna come primo ministro”.