Sei punti per una rinnovata intesa

L’indefinita agenda mediorientale della nuova amministrazione di Washington offre la possibilità di avviare una nuova fase nei rapporti fra Stati Uniti e Israele

Di Amos Yadlin

Amos Yadlin, autore di questo articolo

Amos Yadlin, autore di questo articolo

Il neo-presidente Usa Donald Trump verosimilmente eserciterà un’influenza notevole sulla politica americana sotto ogni aspetto del sistema internazionale. E’ del tutto naturale, quindi, che politici e osservatori israeliani stiano tentando di capire l’impatto che potrà avere sulla sicurezza nazionale del loro paese.

A differenza delle precedenti amministrazioni che avevano presentato una chiara agenda politica prima di essere elette, Israele si trova oggi ad affrontare un’amministrazione con una politica indefinita per quanto riguarda i problemi del Medio Oriente. Lo stesso comportamento di Israele sarà dunque molto significativo nel determinare la futura politica dell’amministrazione Trump.

Israele e Stati Uniti hanno una solida base di valori e interessi condivisi. Tutti sanno che non esiste alternativa agli Stati Uniti come il più importante alleato mondiale d’Israele. Né la Russia né la Cina contribuiscono alla sicurezza di Israele con miliardi di dollari, o fornendo moderni sistemi d’arma, o fermando con il veto le risoluzioni anti-israeliane al Consiglio di Sicurezza.

Anche se la politica estera non è stata un tema significativo della campagna elettorale americana, Trump ha espresso una posizione sensibile alle ragioni di Israele, nonostante le affermazioni assai più controverse che aveva fatto in passato. A Israele sembra dunque presentarsi la possibilità di voltare pagina, influenzando la formazione della politica estera americana. In questo senso, quando il primo ministro israeliano verrà ricevuto alla Casa Bianca dovrà cercare di raggiungere con il nuovo presidente Usa un buon livello di intesa su almeno sei punti importanti che servano da base per il ripristino del rapporto speciale fra i due paesi, rafforzandone l’alleanza strategica.

Bandiere curda, americana e israeliana

Innanzitutto deve essere ripristinata la fiducia reciproca, che è andata persa durante gli anni di Obama. I due leader dovrebbero mettere sul tappeto i loro interessi e obiettivi prioritari, indicando le rispettive “linee rosse” insuperabili. E’ importante che concordino di non fare mosse che prendano l’altro di sorpresa. Rinnovare questo tipo di rapporto tra il presidente Usa e il primo ministro israeliano è estremamente importante non solo per le relazioni bilaterali, ma per l’insieme della regione.

In secondo luogo, va rilevato che gli Stati Uniti hanno perseguito una politica estera che ha seriamente compromesso i loro rapporti con gli alleati nella regione. Non solo Israele, ma anche Egitto, Arabia Saudita e Turchia sperano in una diversa politica americana. Le buone relazioni che Israele intrattiene con l’Egitto e la Giordania, gli interessi oggettivamente comuni che condivide con l’Arabia Saudita e il rinnovamento dei suoi rapporti con la Turchia potrebbero servire come base per una forte alleanza che sappia meglio far fronte alle sfide della regione.

Il terzo punto ha a che fare con la crisi in Siria. I 500.000 morti, i 2 milioni di feriti, i 10 milioni di profughi e sfollati costituiscono una macchia morale enorme per il mondo intero, compreso il mondo occidentale. Ora bisogna capire come gli Stati Uniti e i loro alleati possano forgiare una strategia diversa nei confronti di russi e iraniani che sostengono il regime assassino di Assad.

Il quarto punto è l’Iran, la minaccia più grave per Israele sul lungo periodo. L’accordo sul nucleare di Teheran è un dato di fatto, e nel breve periodo i suoi rischi sono bassi rispetto alle alternative. E’ improbabile che l’amministrazione Trump lo annulli. Tuttavia, si tratta di un accordo molto problematico sul lungo periodo, quando gli iraniani otterranno la legittimità per un ampio e avanzato programma nucleare e arriveranno a un passo dalla produzione dell’atomica. Israeliani e americani dovrebbero concordare sul principio che un regime che invoca apertamente la distruzione di Israele non debba ottenere quella legittimità, che invece l’accordo attuale conferisce all’Iran nel giro di un decennio. Bisogna ripristinare un pieno coordinamento di intelligence per scoprire in tempo le violazioni iraniane e arrivare a un’intesa in base alla quale  gli Stati Uniti garantiscano a Israele le capacità politiche e operative per agire, una volta che fossero esaurite tutte le possibili alternative.

Esercitazioni congiunte Usa-Israele

Il quinto punto è il processo di pace. Il cambio alla presidenza Usa offre l’occasione per esaminare nuovi paradigmi in base ai quali pensare futuri accordi che coinvolgano il mondo arabo. Le nuove idee dovranno preservare il concetto dei “due stati”, ma riformularlo alla luce dei drammatici sviluppi degli ultimi cinque anni nella regine e prendere atto dell’impossibilità concreta di realizzare un accordo permanete in questo momento e negli stessi termini in cui era stato pensato finora. Un primo passo sarebbe rinnovare le intese sulla base della lettera di George W. Bush dell’aprile 2004 all’allora primo ministro israeliano Sharon, rimasta ignorata negli anni del rapporto Obama-Netanyahu. Costruire nei quartieri ebraici di Gerusalemme non deve essere considerato equivalente a costruire nelle zone destiate a non far parte di Israele. Una rinnovata intesa su questo punto consentirà di ridurre in modo significativo la tensione attorno alla questione degli insediamenti che ha inutilmente avvelenato i rapporti.

Infine, deve essere confermata e rafforzata la sicurezza di Israele come elemento fondamentale delle relazioni. Aiuto pluriennale, mantenimento del vantaggio relativo in fatto di sistemi d’arma, sostegno ai programmi di difesa missilistica, accordi sulle capacità strategiche speciali attribuite a Israele: tutte cose essenziali per rafforzare il rapporto speciale tra i due paesi e servire come base per le necessarie svolte diplomatiche.

(Da: YnetNews, 12.11.16)