Sentenza della Corte Suprema sui ricongiungimenti famigliari

Il difficile equilibrio fra tutela dei diritti e difesa del paese

Alcuni commenti dalla stampa israeliana

image_1221Scrive Ha’aretz: Ciò che conta, nella sentenza di domenica della Corte Suprema sui ricongiungimenti famigliari, sono le conclusioni. Alla luce di questo grave danno inferto ai diritti di eguaglianza dei cittadini arabi d’Israele, non importa quello che la sentenza dice o quanto fosse interessante la posizione dei giudici di minoranza guidati dal presidente della Corte stessa Aharon Barak. Né importa che la decisione di privare i cittadini arabi d’Israele del diritto di sposare la persona che vogliono, e di vivere con quella persona in Israele, sia passata con sei soli voti contro cinque. È vero, non c’è paese in tutto l’occidente che non ponga limiti all’immigrazione e che non stabilisca priorità, secondo le sue necessità, in ogni dato momento. Tutte le leggi sull’immigrazione rendono difficoltoso il conferimento della cittadinanza agli stranieri spostati con un proprio cittadino, e combattono il fenomeno dei matrimoni fittizi. Ma nessun paese occidentale opera una discriminazione ai danni di alcuni dei propri cittadini, approvando leggi che valgono solo per essi e che impongono limiti solo alla loro scelta del coniuge con cui vogliono vivere nel proprio paese… I fatti presentati dall’establishment della sicurezza non giustificano questa legge giacché, su decine di migliaia di persone diventate cittadini israeliani dal 1967 nel quadro dei ricongiungimenti famigliari, solo 26 sono state indagate per sospetto favoreggiamento del terrorismo… I giudici hanno effettivamente convenuto che la legge viola i diritti di eguaglianza dei cittadini arabi d’Israele, ma hanno valutato che questo fatto passasse in second’ordine rispetto al rischio terrorismo. Difficile convincersi della bontà di queste motivazioni di sicurezza quando si ricordi che, dai circa 250mila arabi di Gerusalemme est che sono stati annessi come cittadini israeliani magari contro la loro volontà, sono scaturiti più terroristi e complici di terroristi di quanti ne siano scaturiti da coloro che sono entrati in Israele grazie al matrimonio.

Scrive il Jerusalem Post: Sebbene per il filo del rasoio, la Corte Suprema ha confermato domenica il diritto di Israele di decidere chi può entrare e chi può risiedere al suo interno. Per adesso l’opinione prevalsa è quella del giudice Mishael Cheshin, secondo il quale “Israele non è obbligato ad aprire le porte ai cittadini di un’entità statale con la quale è impegnato in un conflitto armato”. Cheshin accoglie l’opinione secondo cui l’ascesa di Hamas al potere ha trasformato l’Autorità Palestinese in un soggetto nemico a tutti gli effetti. È chiaro che, in queste circostanze, dei piani di ricongiungimento famigliare grazie ai quali arabi israeliani possano portare dentro Israele i loro coniugi dai territori palestinesi “cozza contro il comune senso di auto-conservazione”… E’ curioso come l’opinione di minoranza della Corte non abbia considerato che Israele ha lo stesso diritto di preservare il proprio carattere che hanno paesi assai meno in pericolo, come ad esempio la Danimarca. Infatti, avendo considerato che, lasciando senza restrizioni gli attuali trend di immigrazione, nel giro di due decenni Copenhagen diventerebbe una città a maggioranza musulmana, il piccolo stato liberale scandinavo ha varato severe limitazioni all’ingresso di coniugi stranieri spostati con cittadini danesi. Legislazioni altrettanto severe sono state adottate anche da altri paesi europei, come l’Olanda. Eppure non c’è paragone tra la profonda vulnerabilità di Israele e la situazione dei paesi europei. Israele è esplicitamente minacciato di distruzione, non solo fisicamente dalla potenziale capacità nucleare iraniana, ma anche demograficamente dalla pretesa palestinese di esercitare un “diritto al ritorno” (che sarebbe di fatto un diritto all’invasione). D’altra parte, le disposizioni di legge provvisorie del luglio2003 su Cittadinanza ed Ingressi, che la minoranze della Corte avrebbe voluto bocciare, non sono nulla di sostanzialmente nuovo. Esse non fanno che ripristinare lo status quo in vigore prima degli accordi di Oslo. È stato durante il decennio del processo di Oslo che le condizioni richiese per l’acquisizione della cittadinanza israeliana sono state allentate, tanto che circa 140mila nuovi residenti arabi se ne sono avvalsi. Molti hanno visto in questo fenomeno una sorta di “diritto al ritorno esercitato dalla porta di servizio”. Il governo tende a giustificare il ripristino dei limiti pre-Oslo sulla base di motivi di sicurezza, come il fatto che alcuni terroristi o loro complici siano riusciti a diventare cittadini israeliani. Questo, concordiamo col giudice Barak, è un argomento debole… Nel caso (purtroppo assai remoto) che il terrorismo palestinese cessasse, ciò significherebbe che Israele non avrebbe più preoccupazioni di tipo demografico, o che il suo diritto di preservarsi come paese a maggioranza ebraica sarebbe meno fondamentale e inalienabile di quello dei danesi che temono di perdere il carattere fondamentale del loro paese? Israele non impedisce agli arabi israeliani di sposare chi vogliono. Gli arabi israeliani che vogliono sposare palestinesi possono metter su casa al di là della Linea Verde o in uno qualunque dei 23 stati arabi, alcuni dei quali, sebbene in prima linea nel denunciare Israele come stato razzista, proibiscono espressamente a qualunque ebreo di abitare da loro e talvolta persino di mettervi piede, e impediscono ai loro stessi cittadini di mettere piede in Israele.
Detto questo, è vero che le disposizioni provvisorie contestate vennero mal congegnate e più volte aggiustate con altrettanta imperizia. Lo stesso ministro degli interni Roni Bar-On le ha definite un “patchwork”. Come dimostrano le divisioni all’interno della Corte, l’obiettivo di bilanciare i diritti civili degli israeliani, ebrei e arabi, con la salvaguardia del futuro della nazione pone dilemmi difficili. Come hanno detto anche i giudici, la legge deve essere senz’altro rivista, ma senza smarrire il presupposto fondamentale per cui Israele mantiene il diritto a proteggere se stesso e le sue future generazioni.

(Da: Ha’aretz, Jerusalem Post, 15.05.06)

Nella foto in alto: La Corte Suprema d’Israele