«Si sono resi complici del pregiudizio più antico e duraturo»

La domanda è: sopravviverà l'American Studies Association alla doppia morale che ha deciso di applicare a danno delle università israeliane?

Due terzi dei 1.252 membri della American Studies Association (su 3.853 aventi diritto di voto), che hanno partecipato a una votazione on-line conclusa domenica sera, hanno approvato una risoluzione a favore del boicottaggio delle università israeliane. L’American Studies Association, un ente che si definisce “dedicato allo studio interdisciplinare della cultura e della storia americana”, diventa così il più grande gruppo accademico degli Stati Uniti schierato a sostegno del boicottaggio anti-israeliano. Si tratta in ogni caso di un voto simbolico, poiché il gruppo non ha la facoltà di costringere i suoi membri o qualsiasi istituto americano ad attenervisi.

Elliot Abrams

Elliot Abrams

Scrive Elliot Abrams, su Israel HaYom: «Il commento migliore è arrivato dall’ex presidente di Harvard, Lawrence Summers, che ha criticato “l’idea che di tutti i paesi del mondo in cui si può pensare che vi siano violazioni dei diritti umani, di cui si può pensare che abbiano una politica estera discutibile, di cui si può pensare che facciano cose sbagliate, solo uno sia degno di boicottaggio e cioè Israele”. In Siria si contano ormai quasi 200mila morti e milioni di profughi, in Cina la libertà accademica è pari a zero… ma perché andare avanti? Nessuno di questi casi sembra degno dell’attenzione dell’American Studies Association. È illuminante il fatto che uno dei testimonial di questa decisione (in effetti, la seconda firma che appare sul sito web dell’Associazione) è Angela Davis, già candidata del Partito Comunista a cariche nazionali, ora illustre professoressa emerita di studi femministi presso l’Università di California, Santa Cruz: una che è stata così a lungo cieca, come la stessa American Studies Association, rispetto alle violazioni dei diritti umani ad eccezione di Israele. La decisione dell’American Studies Association non danneggerà Israele. Darà invece utili informazioni, a chiunque abbia dei figli che frequentano o intendono frequentare un college, sullo straordinario pregiudizio che alberga in questo gruppo di accademici. La ben più grande American Association of University Professors (47.000 accademici, più di 500 campus, 39 organizzazioni statali) si è schierata contro questo e ogni altro boicottaggio accademico. Ma è una consolazione solo parziale. Infatti l’opposizione dell’American Association of University Professors significa che i membri dell’American Studies Association avevano a disposizione una solida base di principio e accademicamente difendibile per bocciare il boicottaggio di Israele, e invece l’hanno approvato. Quei voti esprimono non solo un pregiudizio anti-israeliano per le ragioni sottolineate da Lawrence Summers, ma anche un pregiudizio contro lo spirito del libero pensiero e della libera ricerca cui dovrebbe improntarsi il mondo accademico americano. Vale la pena citare la posizione dell’American Association of University Professors, che si dichiara “impegnata a preservare e promuovere il libero scambio di idee tra gli accademici a prescindere delle politiche dei governi, per quanto sgradevoli tali politiche possano essere considerate”, e rifiuta “le proposte che limitano la libertà dei docenti e dei ricercatori di impegnarsi in attività con colleghi accademici”, e ribadisce “l’importanza fondamentale della libertà di movimento internazionale più ampia possibile per gli studiosi e le idee”. Non si potrebbe dire meglio». (Da: Israel HaYom, 17.12.13)

Alan M. Dershowitz

Alan M. Dershowitz

Scrive Alan M. Dershowitz, su Ha’aretz: «L’American Studies Association ha pubblicato il suo primo appello per un boicottaggio accademico. No, non contro la Cina che imprigiona gli accademici dissenzienti. Né contro l’Iran, che condanna a morte gli accademici dissenzienti. Né contro la Russia, le cui università licenziano gli accademici dissenzienti. Né contro Cuba, le cui università non hanno accademici dissenzienti. Né contro l’Arabia Saudita, le cui istituzioni accademiche si rifiutano di assumere donne, gay o accademici cristiani. E non è contro l’Autorità Palestinese, la cui università non permettono un dibattito libero e aperto sul conflitto israelo-palestinese. No: il boicottaggio è contro le istituzioni accademiche nello Stato ebraico d’Israele, quello le cui università attuano programmi di affirmative action (contro-discriminazione) per gli studenti palestinesi e che vantano uno dei più alti livelli di libertà accademica del mondo.

Quando l’associazione iniziò a prendere in considerazione questo boicottaggio, ho pubblicamente sfidato i suoi membri, molti dei quali sono storici, a citare un solo paese nella storia del mondo che, messo di fronte a minacce paragonabili a quelle che Israele affronta sin dalla sua nascita, potesse vantare un migliore curriculum sui diritti umani, un più alto grado di rispetto dello stato di diritto, un sistema giudiziario più rigoroso, una maggiore preoccupazione per la vita dei civili nel campo nemico, e più libertà di criticare il governo di quanta ne abbia lo Stato d’Israele. Nessun membro dell’associazione si è fatto avanti con il nome di un solo paese. E questo per il semplice motivo che non ce ne sono. Israele non è perfetto. D’altra parte nessun paese lo è. Ma Israele è di gran lunga migliore rispetto alla maggior parte degli altri paesi. Se un gruppo accademico decide di impegnarsi nell’esercizio anti-accademico di boicottare le istituzioni accademiche di un altro paese, può farlo solo di fronte a violazioni dei diritti umani della massima gravità e all’incapacità di coloro che sono all’interno di quel paese di tentare di correggere tali violazioni. In base a questi standard, le istituzioni accademiche israeliane sono le ultime che dovrebbero essere boicottate.

Personalmente sono contrario alla politica di insediamenti di Israele e da tempo esorto alla fine dell’occupazione. Ma Israele ha offerto di porre fine all’occupazione due volte negli ultimi 13 anni. Lo ha fatto nel 2000-2001, quando l’allora primo ministro Ehud Barak offrì ai palestinesi uno stato su circa il 95% dei territori occupati. E lo ha fatto di nuovo nel 2008 quando l’allora primo ministro Ehud Olmert offrì un accordo ancora più prodigo. I palestinesi non hanno accettato nessuna delle due offerte e dunque è un dato di fatto che condividono la responsabilità della perdurante occupazione. A quanto è dato sapere, con i colloqui di pace in corso sono in atto ulteriori sforzi per cercare di porre fine all’occupazione. E lo stesso presidente dell’Autorità Palestinese Mahmoud Abbas (Abu Mazen) si è dichiarato contrario al boicottaggio delle istituzioni israeliane (“Boicottiamo i prodotti degli insediamenti – ha dichiarato parlando ai giornalisti in Sudafrica – ma non chiediamo a nessuno di boicottare Israele in quanto tale: noi abbiamo rapporti con Israele”). La Cina occupa il Tibet, la Russia occupa la Cecenia, diversi paesi occupano le terre curde. In tutti questi casi non è stata avanzata nessuna offerta per porre fine all’occupazione. Eppure non è stato lanciato nessun boicottaggio contro le istituzioni accademiche di quei paesi occupanti.

Curtis Marez

Curtis Marez

Quando il presidente dell’American Studies Association, Curtis Marez, professore associato di studi etnici presso l’Università della California, è stato informato del fatto che moltissimi paesi, tra cui tutti i vicini di Israele, si comportano molto peggio di Israele, la sua risposta è stata: “Da qualche parte si deve cominciare…”. Ma è chiaro che questo boicottaggio, che inizia con Israele, si fermerà a Israele. L’ineffabile dichiarazione di Marez mi ricorda la risposta intollerante che diede il noto antisemita A. Laurence Lowell, presidente di Harvard, quando agli inizi del XX secolo impose quote anti-ebraiche. Alla domanda perché con le sue quote avesse preso di mira solo gli ebrei, rispose: “Gli ebrei imbrogliano”. Quando il grande giudice Learned Hand gli replicò che anche i cristiani imbrogliano, Lowell risposte: “Lei cambia argomento: stiamo parlando degli ebrei”. Si vorrebbe pensare che gli storici e gli altri studiosi affiliati all’American Studies Association fossero in grado di capire, alla luce della storia delle discriminazioni contro gli ebrei, che non si può prendere di mira lo Stato ebraico e le università ebraiche come il luogo dove “avviare”, e fermare, un boicottaggio.

Alcuni anni fa, quando venne proposto un analogo boicottaggio, un gruppo di studiosi americani lanciò una contro-petizione, redatta dal Premio Nobel per la fisica Steven Weinberg e dal sottoscritto, in cui si legge: “Siamo accademici, studiosi, ricercatori e professionisti con diverse visioni religiose e politiche. Siamo tutti d’accordo che prendere di mira gli israeliani per un boicottaggio accademico è sbagliato. Come segno di solidarietà verso i nostri colleghi israeliani, noi ci dichiariamo accademici israeliani ai fini di qualunque boicottaggio accademico. Ci considereremo accademici israeliani e come tali eviteremo di partecipare a qualsiasi attività dalla quale fossero esclusi per boicottaggio gli accademici israeliani”. Più di 10.000 docenti universitari firmarono questa petizione, tra cui molti Premi Nobel, presidenti di università e importanti studiosi di tutto il mondo.

Che si vergognino, i membri dell’American Studies Association che hanno preso di mira l’Ebreo tra le nazioni. Che si vergognino per l’ipocrita doppia morale che hanno applicato a danno delle università ebraiche. Le istituzioni accademiche israeliane sono abbastanza forti per sopravvivere a questo esercizio di fanatismo. La vera domanda è: sopravvivrà questa associazione al fatto di essersi resa complice del pregiudizio più antico e duraturo?» (Da: Ha’aretz, 17.12.13)