Sicuri che abbia vinto la destra israeliana?

Il “Blocco di destra” non è un blocco e non è nemmeno di destra, in senso tradizionale

Da un articolo di Bradley Burston

image_2412A giudicare unicamente dai festeggiamenti, la destra ha decisamente vinto le ultime elezioni in Israele. Politici e opinionisti “falchi” si sono infiammati nel decretare la fine della sinistra, il fallimento del compromesso, la follia dell’autocontrollo militare e la morte del processo di pace. Dal loro punto di vista, Israele è finalmente diventato adulto e ha aperto gli occhi.
Se così stanno le cose Benjamin Netanyahu non dovrebbe incontrare alcun problema a mettersi rapidamente alla testa di una chiara coalizione di maggioranza basata sul concetto che la sola prospettiva più atta della destra a governare sarebbe l’estrema destra.
Dunque come mai l’autoproclamatosi “campo nazionalista” non prende semplicemente il suo posto al governo senza problema?
In realtà, un più attento esame del tanto celebrato Gush HaYamin, o Blocco della destra, indica che esso non è né un vero blocco né poi tanto di destra, in senso stretto. Più quelli che sarebbero i soci naturali di Netanyahu avanzano pretese e condizioni, più emergono con evidenza le differenze ideologiche che esistono fra quei partiti, e la distanza che esiste fra quelle fazioni e la destra israeliana tradizionale.
Inoltre, più le pretese del Blocco di destra confliggono fra loro, più diventa probabile che Netanyahu si trovi costretto a volgersi, per mancanza di alternative migliori, verso opzioni solo fino a pochi giorni fa ritenute impossibili: una condivisione del potere con il Kadima di Tzipi Livni o addirittura una qualche resurrezione dell’alleanza con i laburisti di Ehud Barak.
In effetti, se c’è qualcosa che le elezioni del 2009 hanno dimostrato in modo definitivo è una netta maggioranza della società israeliana attraverso lo spettro politico converge nel respingere quello che era il principio basilare della destra storica israeliana: quello dell’integrità della Terra d’Israele (la “Grande Israele”) che comporterebbe l’annessione di Cisgiordania e striscia di Gaza.
Paradossalmente l’elettorato israeliano ha votato per la destra non perché la destra respinga l’idea di un accordo di pace con compromesso territoriale e spartizione della terra in due stati, ma perché ritiene che la destra sia la parte meglio qualificata per trovare il modo di attuare questo processo innegabilmente difficile e doloroso. “Il risultato delle elezioni indica che gli israeliani vedono il processo di pace con i palestinesi come un divorzio – scrive l’analista economico Elah Alkalai – E come l’indesiderato abbraccio fra i due popoli venne combinato da forze globali esterne, così sarà anche, a quanto pare, la loro separazione. Bisogna pensare alla cosa come allo scioglimento di un matrimonio combinato, e il voto che gli israeliani hanno dato la scorsa settimana è andato alla parte che percepiscono come l’avvocato divorzista più duro e più tosto che sia disponibile”.
Avigdor Lieberman, uno dei veri vincitori di queste elezioni, in passato ha ripetutamente scandalizzato l’estrema destra suggerendo che alcuni campi palestinesi e alcuni quartieri densamente popolati da arabi a Gerusalemme est possano essere ceduti all’eventuale futuro stato palestinese di Cisgiordania e Gaza (insieme ad altre aree d’Israele abitate da arabi come Umm el-Fahm nel cosiddetto Triangolo). E si è coerentemente alienato gli ambienti ortodossi, mattone essenziale di qualunque vagheggiata coalizione di destra, inserendo nel suo programma la legislazione sul matrimonio civile e la riforma delle norme sulla conversione all’ebraismo, due punti che stanno molto a cuore alla sua base elettorale decisamente laica.
Il Likud di Netanyahu, chiave di volta di una potenziale coalizione di destra, da anni si pronuncia a favore di un eventuale stato palestinese nei territori a condizione vengano assicurate rigorose garanzie di sicurezza per Israele. Il Likud è anche l’unioco partito israeliano che abbia mai guidato un governo che ha smantellato interi insediamenti (Gaza, 2005).
A ben vedere, ci sono solo due partiti nella 18esima Knesset, per un totale di 7 seggi su 120, che sostengono ancora l’integrità della Terra d’Israele. Neanche l’Unione Nazionale di estrema destra, con la sua ala francamente kahanista, osa più esprimersi in pubblico a favore di un ritorno permanente dell’occupazione israeliana nella striscia di Gaza, tanto che nel suo programma si limita ad affermare che “un futuro governo guidato dal questo partito non procederà a nessun ulteriore sradicamento di comunità ebraiche né ulteriori cessioni di parti della Terra d’Israele”.
“In altri termini – conclude Alkalai – il voto della maggioranza è andato a una leadership di destra che l’elettorato ritiene essere quella che potrebbe porre fine all’unione coniugale garantendo a Israele le condizioni migliori e possibilmente senza dover pagare alimenti al coniuge separato”.

(Da: Ha’aretz, 16.02.09)

Nella foto in alto: Avigdor Lieberman, leader di Israel Beiteinu