Solana ne ha abbastanza

Gli arabi sanno che una pace imposta ignorerebbe le esigenze di Israele, e non si può dar loro torto

Da un editoriale del Jerusalem Post

image_2552Javier Solana ne ha avuto abbastanza. Dopo dieci anni trascorsi come capo della politica estera dell’Unione Europea, nonostante tutti i patrimoni e le energie che ha investito nel processo di pace in Medio Oriente, il fisico prestato alla diplomazia si avvia alla pensione con l’Iran che è alla soglia della bomba atomica, Hamas che consolida il suo controllo sulla striscia di Gaza e Mahmoud Abbas (Abu Mazen) recalcitrante come sempre.
Lo scorso 11 luglio Solana ha tenuto un discorso alla Ditchley Foundation di Londra che si è guadagnato i titoli dei giornali.
Come molti diplomatici e intellettuali, Solana sembra convinto lo stato palestinese – la cui creazione in condizioni fattibili, è forse il caso di sottolineare, Israele appoggia – sia una sorta di panacea per tutti i mali della regione. Leggendo tra le righe del suo discorso, sembra convinto che i mullah in Iran cesseranno di agguantare la supremazia in tutta la regione, di scippare elezioni (truccate) e di perseguire armamenti nucleari; che gli autocrati arabi indirizzeranno le loro politiche verso la tolleranza e sistemi di governo democraticamente rappresentativi; che sciiti e sunniti smetteranno di farsi saltare per aria a vicenda; che i curdi , i copti e i baha’i otterranno eguaglianza di diritti; che i talebani in Afghanistan libereranno le donne dai burqa; che gli islamisti del nord Africa deporranno le armi; che al-Qaida si dissolverà; e che in tutta Europa milioni di musulmani agitati e alienati troveranno un senso d’appartenenza, permettendo che prevalga la tranquillità nelle città all’interno del continente… tutto questo non appena i palestinesi avranno il loro stato.
La configurazione cui ha fatto riferimento Solana per lo stato palestinese, nel suo discorso di Londra, contempla i Parametri di Clinton e l’Iniziativa di Ginevra. Vale la pena ricordare che gli israeliani trovano questi riferimenti, pur con le loro imperfezioni, in linea di massima accettabili come punti di partenza per i negoziati.
Era il 7 gennaio 2001 quando l’allora presidente Bill Clinton caldeggiò la creazione di uno stato palestinese contiguo su gran parte della Cisgiordania, l’incorporazione in Israele dei principali blocchi di insediamenti (a ridosso della ex linea armistiziale) e uno scambio di territori nella misura necessaria. I profughi palestinesi (e loro discendenti), disse Clinton, avrebbero potuto “tornare” solo in una Palestina “non militarizzata”.
Analogamente l’Iniziativa di Ginevra del 2003, finanziata dall’Europa, prevedeva l’annessione a Israele dei blocchi di insediamenti e uno stato palestinese smilitarizzato. Ribadiva inoltre che la soluzione alla questione dei profughi venisse trovata all’interno della “Palestina”, e non di Israele.
Significativamente, Solana ha prefinto ignorare il fatto che, alla fine del 2008, Ehud Olmert ha sostanzialmente offerto a Mahmoud Abbas (Abu Mazen) una versione turbo dei Parametri di Clinton. E che Abu Mazen ha risposto no, insistendo che Israele debba ritirarsi sulle linee armistiziali del 1949 e accettare di essere demograficamente soffocato da “profughi” arabi a milioni.
Il discorso di Solana è poi partito per la tangente sugli insediamenti, e su quanti ulteriori ebrei vivono oggi in Giudea e Samaria (Cisgiordania) rispetto a quando vennero firmati gli Accordi di Oslo. Solana sa che, se Israele e palestinesi si accordassero su confini definitivi, gli insediamenti che sorgono sul versate arabo di quei confini verrebbero con ogni probabilità sradicati: è la predilezione dei palestinesi per la violenza e per l’intransigenza ciò che ha privato gli israeliani di qualunque incoraggiamento ad abbandonare il cuore del paese. La fissazione di Solana per gli insediamenti confonde le cose e compiace il suo uditorio, ma non getta alcuna luce sui veri motivi per cui il processo di pace è in stallo.
Poi è passato a parlare di Hamas e ha detto: “Vi piaccia o no, Hamas avrà un ruolo nella soluzione”. Punto e basta. Non una parola sui principi fissati dal Quartetto (Usa, Ue, Russia, Onu: riconoscimento di Israele, fine del terrorismo, rispetto degli impegni già sottoscritti dai palestinesi.
Biosgna dire che Solana si è anche prodotto in una cauta critica del “carattere binario, cioè tutto o nulla” dell’Iniziativa di pace araba, spingendosi sino ad ammettere che andrebbe un po’ “sfumata”.
Ma poi ha fornito la sua formula per avanzare verso la creazione di uno stato palestinese: ci vuole una “vera mediazione”. Col che pare intendere che bisogna imporre una soluzione, e un calendario per la sua attuazione. Se le parti non si adeguano, allora che sia il Consiglio di Sicurezza dell’Onu a ratificare sostanzialmente con il suo imprimatur la “vera mediazione”.
Le discordanti reazioni al discorso di Solana sono assai istruttive.
Secondo la creativa interpretazione di parte palestinese, Solana ha chiesto al Consiglio di Sicurezza di decretare e riconoscere lo stato palestinese in linea con la loro posizione massimalista, entro una certa scadenza, quand’anche Israele non lo facesse. Il negoziatore palestinese Saeb Erekat ha dichiarato: “Non abbiamo obiezioni, è ora che la comunità internazionale smetta di trattare Israele come se fosse al di sopra della legge umana”.
La reazione del ministero degli esteri israeliano è stata che la pace deve essere costruita coi negoziati, e non imposta.
Con tutta evidenza, i palestinesi confidano che la “pace” imposta internazionalmente ignorerebbe quasi completamente le preoccupazioni e le esigenze di Israele, accogliendo invece le loro. E gli israeliani non possono che trovarsi d’accordo.

(Da: Jerusalem Post, 14.07.09)

Nella foto in alto: il responsabile della politica estera Ue Javier Solana con il presidente dell’Autorità Palestinese Mahmoud Abbas (Abu Mazen)

Per il discorso di Solana, vedi:

http://www.consilium.europa.eu/uedocs/cms_data/docs/pressdata/EN/discours/109193.pdf