Solo in Israele: le parole di una dottoressa araba

Dirige la terapia intensiva e, dice, “non vivrei mai in un altro posto”

Di Gheula Canarutto Nemni

Gheula Canarutto Nemni, autrice di questo articolo

Gheula Canarutto Nemni, autrice di questo articolo

Ci siamo incontrate una settimana fa, mentre ero lì per assistere un mio parente. Faiza è a capo del reparto di terapia intensiva, e corre da un paziente all’altro offrendo sempre un sorriso dolce e cure molto professionali.

Faiza vive a Shuafat, un quartiere arabo di Gerusalemme teatro di frequenti disordini. Proviene da una famiglia di undici figli, per la maggior parte laureati nelle università israeliane. Tra un paziente e l’altro, ci scambiamo opinioni sulla vita.

“Amo la mia vita – dice – Mi piace vivere in Israele. Ringrazio ogni giorno Allah per avermi dato l’opportunità di crescere qui. So che se non fosse stato per questo paese, non sarei mai diventata quello che sono. Qui si può scegliere – aggiunge, mentre finisce il caffè della pausa e accenna col capo a medici e infermieri arabi – Israele ti dà la possibilità di esprimere il tuo potenziale umano”.

Vengo a sapere che in tutte le università e luoghi di lavoro israeliani ci sono posti garantiti per i cittadini arabi del paese.

La dottoressa arabo-israeliana Suheir Assady (a destra), primaria di Nefrologia all’ospedale Rambam di Haifa, parla con un suo paziente in dialisi

La dottoressa arabo-israeliana Suheir Assady (a destra), primaria di Nefrologia all’ospedale Rambam di Haifa, parla con un suo paziente in dialisi

Nei suoi occhi c’è qualcosa di speciale, si può sentire il suo amore per l’umanità. “L’ho imparato qui, in Israele – dice – che ogni essere umano ha la sua propria dignità, oltre alla sua fede e al suo credo. Hai visto i soldati israeliani che aiutano i siriani? Hai visto come rischiano la vita attraversando il confine per portare i feriti siriani negli ospedali israeliani? Quando vado a casa e incontro la mia famiglia – continua – devo stare zitta. Mia madre mi ha detto che difendo troppo Israele davanti ai miei fratelli e alle loro famiglie. Non voglio far correre rischi ai miei figli”.

Ma…

“Vuoi sentire una storia buffa?” mi chiede, mentre getta il bicchierino di carta e si avvia verso l’unità intensiva. Da giovane viaggiava molto. Per un anno di scambio universitario si ritrovò a Londra. “Avrei potuto andare a vivere in un quartiere arabo, ma scelsi di affittare un piccolo appartamento in una zona ebraica. Là, tra le kippà e il silenzio dello Shabbat, mi sentivo protetta. Sapevo che se qualcuno avesse cercato di farmi del male, qualunque ebreo sarebbe intervenuto per difendermi. Non avrei mai cresciuto i miei figli in un posto diverso. Qui posso insegnare loro a credere in se stessi e nei loro sogni. Mio figlio ha undici anni e sogna di diventare ingegnere. Mia figlia ne ha sedici anni e vuole fare l’avvocato. E non credere che io abbia smesso di sognare. Ho divorziato da mio marito e ora sto conseguendo il dottorato di ricerca”.

Torno alla mia sedia, dolorosamente travolta dall’immagine di Israele che i mass-media cercano di trasmettere in tutto il mondo, le campagne BDS, i boicottaggi universitari.

Da sinistra, Ahmed Eid, primario di chirurgia, ed Elchanan Fried, responsabile del reparto di terapia intensiva, presso l’ospedale Hadassah dell’Università di Gerusalemme

Da sinistra, Ahmed Eid, primario di chirurgia, ed Elchanan Fried, responsabile del reparto di terapia intensiva, presso l’ospedale Hadassah dell’Università di Gerusalemme

Innumerevoli bugie sono state dette sul conto degli ebrei, nel corso della storia. Calunnie del sangue, avvelenamento di pozzi. Dimenticando che agli ebrei non è permesso mangiare neanche un uovo se vi è una piccola macchia di sangue all’interno. Ignorando il fatto che gli angeli fermarono i canti di lode al Signore sulle sponde del Mar Rosso perché tanti egiziani, i nazisti di quel tempo, erano morti.

Nonostante tutte le menzogne, non abbiamo mai smesso di lottare per una vita migliore, per il mondo intero. I fautori del boicottaggio, gli odiatori di ebrei che abitano il nostro pianeta dovrebbero essere costretti a vivere per un mese intero in Israele.

Qui esiste la convivenza. Gli arabi, qui, sono gli arabi più sereni di tutto il Medio Oriente. Jamal, l’aiutante di Faiza nell’unità di terapia intensiva, ci sorride: “Lei è speciale” dice. “Siamo tutti speciali – risponde lei – perché viviamo in un posto speciale”.

Ci abbracciamo. “In quale altro luogo una musulmana potrebbe parlare in questo modo con una ebrea osservante?”.

(Da: Times of Israel, 1.3.16)