Spartizione del Sudan

Un esempio di soluzione che infrange il tabù dell’uniformità arabo-islamica del Medio Oriente.

Commenti dalla stampa israeliana

image_3181YEDIOT AHARONOT scrive che Gerusalemme ha già deciso di riconoscere il nuovo Sud Sudan e ricorda ai lettori che «Israele ha a lungo sostenuto, seppur riservatamente, la lotta del Sudan meridionale per l’indipendenza dal nord.»
(Da: Yediot Aharonot, 10.7.11)

Scrive HA’ARETZ: «Le Nazioni Unite hanno dimostrato la propria capacità, in un raro caso, di risolvere un conflitto sanguinoso. Il piano di spartizione del Sudan, approvato da un referendum democratico e sostenuto dalla comunità internazionale, ha dimostrato che è possibile trovare una soluzione pacifica anche ai conflitti più aspri. Il coinvolgimento delle Nazioni Unite è stato un fattore cruciale per la soluzione del conflitto. Israele dovrebbe apprendere la lezione che arriva dal Sudan. Non solo deve unirsi al previsto riconoscimento generale del nuovo paese; dovrebbe anche capire che la divisione in due paesi sostenuta dalla comunità internazionale è il solo modo per risolvere un sanguinoso conflitto come quello tra israeliani e palestinesi. Mentre combatte una dura e inutile battaglia contro il riconoscimento [unilaterale] all’Onu di uno stato palestinese, Israele dovrebbe guardare al Sudan e trarre la conclusione che un piano diplomatico che si guadagna il sostegno delle Nazioni Unite e della maggior parte del mondo potrebbe essere il piano migliore anche per Israele. Dopo che il Sud Sudan è diventato il 193esimo stato, si può sperare che se la Palestina diventerà il 194esimo, lo farà con il supporto del suo vicino, Israele.»
(Da: Ha’aretz, 10.7.11)

MA’ARIV scrive: «La divisione del Sudan, che era il più esteso paese arabo, in due stati – uno stato arabo e musulmano nel nord e uno cristiano e pagano nel sud – potrebbe rappresentare l’inizio della fine dell’era delle intoccabili suddivisioni politiche stabilite in questa regione dalle grandi potenze coloniali del passato. Dopotutto il Sudan non è il solo paese multi-etnico e artificiale che venne creato dalle potenze europee allo scopo di preservare i loro interessi. La maggior parte dei paesi in Medio Oriente [compreso il concetto stesso di stato palestinese, che storicamente si fonda solo sui trent’anni di Mandato Britannico] devono la loro esistenza alle suddivisioni della regione pianificate per lo più da Gran Bretagna e Francia all’inizio del secolo scorso in occasione della sconfitta e dissoluzione dell’Impero Ottomano [nella prima guerra mondiale]. Le reazioni ostili fra i paesi arabi alla secessione del Sudan meridionale testimoniano della loro grande paura che vada in pezzi la fantasia dell’unità araba. Il Sudan è stato, forse, il primo paese mediorientale a suddividersi. L’indipendenza del Sud Sudan non solo rafforzerà le tensioni interne in altri paesi della regione, ma servirà anche come esempio del riconoscimento del diritto di molti popoli mediorientali ad essere diversi dall’uniformità arabo-islamica e di liberarsi dalle dittature arabo-islamiche che sono state loro imposte tanto tempo fa.»
(Da: Ma’ariv, 10.7.11)

Scrive AYMENN JAWAD, sul Jerusalem Post: «A proposito della guerra infuriata fra nord e sud del Sudan, convenzionalmente la si descrive come un conflitto “etnico” o “tribale”. Ma questi eufemismi ignorano i tentativi aggressivi di imporre la legge religiosa islamica (shari’a) su tutto il Sudan, un processo che è apparso particolarmente evidente a partire dal 1983. In realtà, numerose dichiarazioni di ex e attuali esponenti sudanesi confermano la jihad (guerra santa) come dottrina prevalente nei circoli governativi e militari di Khartoum. Ad esempio, in una lettera indirizzata all’Alto Commissario dell’Onu per i Diritti Umani il 24 marzo 1999, Sadiq al- Mahdi, un ex primo ministro sudanese oggi alla testa degli oppositori del presidente Omra al-Bashir, giustificava la guerra di aggressione e di schiavizzazione del sud cristiano e animista con queste parole: “Il tradizionale concetto di jihad … si basa sulla divisione del mondo in due zone: una è la zona della pace, l’altra la zona della guerra. Ciò richiede l’avvio di ostilità per scopi religiosi … e il concetto tradizionale di jihad prevede la schiavitù come conseguenza collaterale”. L’applicazione di queste idee perniciose non rimase limitata alla guerra contro il sud. Essa si estese alla regione del Darfour: un conflitto che ebbe inizio quando gli abitanti indigeni sedentari denunciarono le discriminazioni del governo a vantaggio dei nomadi arabi, e la parola passò alle armi. Nell’agosto 2004 si ebbe una risoluzione dell’Onu che dava trenta giorni al governo di Khartoum per disarmare le milizie nomadi arabo-islamiche definitesi janjawid che avevano commesso estese atrocità contro i non-arabi del Darfur. Per tutta risposta, l’allora portavoce delle forze armate sudanesi Mohamed Beshir Suleiman affermò: “La porta della jihad è ancora aperta e se è stata chiusa nel sud, sarà aperta nel Darfur”. La chiusura della jihad di cui parlava si riferiva all’allora all’imminente accordo di pace con il sud. Gli stessi capi delle milizie janjawid, che ricevevano ordini, armi e addestramento da Khartoum, definivano le loro aggressioni come “jihad”. Ad esempio, nel 2004 lo sceicco Musa Hilal scriveva una lettera al governo nella quale dichiarava che avrebbe continuato “sulla via della jihad” nel Darfour. In breve, per dirla con le parole dello stesso Sadiq al-Mahdi, “la catastrofe che ha afflitto il nostro paese è iniziata con la presa del controllo da parte di una minoranza che ha imposto un’identità arabo-islamica su un paese di diverse religioni e culture, trattando chiunque non fosse d’accordo come un rinnegato da combattere con la jihad”. Sicché, sebbene vi sia certamente una dimensione etnica nelle guerre che hanno devastato il Sudan, nel senso della volontà di imporre una supremazia araba, essa va di pari passo con i tradizionali insegnamenti religiosi sulla guerra della jihad, il che che non è certo un’esclusiva del Sudan.»
(Da: Jerusalem Post, 11.7.11)

Scrive MA’ARIV in un secondo editoriale: «Domenica Israele ha riconosciuto l’indipendenza del Sud Sudan. Il primo ministro Benjamin Netanyahu ha detto che “il Sud Sudan è un paese che desidera la pace e noi saremo lieti di cooperare con esso per garantire che possa prosperare”. Il Sudan meridionale cristiano ha sempre accettato ciò che veniva offerto. Nel 1962 accettò una parziale autonomia (che venne annullata nel 1983). Nel 2004 i cristiani sud-sudanesi accettarono un accordo di pace che prometteva loro uno stato. Nel 2011 accettarono un referendum che prospettava una sparizione dal Sudan e la creazione di uno stato. Più o meno tutte queste stesse fasi le hanno sperimentate anche i palestinesi. Se avessero accettato la proposta di autonomia di Menachem Begin del 1981, è ragionevole supporre che, dopo fasi di lotta politica e referendum, avrebbero ottenuto un prospero stato palestinese entro i confini del 1967 molto tempo prima che acquistasse impeto l’impresa degli insediamenti. L’autonomia si sarebbe evoluta in indipendenza secondo un processo inevitabile, con il sostegno del resto del mondo. Ma i palestinesi, come è loro solito, respinsero un’idea che invece è giusta praticamente in ogni situazione: se ti viene dato qualcosa, prendilo.»
(Da: Ma’ariv, 11.7.11)

Nella foto in alto: Festeggiamenti a Tel Aviv di rifugiati sud-sudanesi

Si veda anche:

Chi ha fretta di dividere la terra?

https://www.israele.net/sezione,,2833.htm

La nazionalità palestinese e le dure repliche della storia

https://www.israele.net/sezione,,1763.htm