Tanti freni, ma senza motore

E’ tempo di soffermarsi di nuovo sul nostro obsoleto sistema elettorale

Di Amnon Rubinstein

image_2424Mentre le trattative per la formazione del nuovo governo entrano nella consueta fase disperante e l’elettorato si rende conto sempre più che non è praticamente concepibile un governo israeliano che sia efficiente e stabile, è tempo di soffermarsi di nuovo sul nostro obsoleto sistema elettorale.
In pratica, il risultato delle ultime elezioni ha confermato i timori dell’attesa: Israele ha perduto la capacità di produrre parlamenti durevoli e governi funzionanti. Ecco allora alcuni punti su cui riflettere.
1) Durante gli anni (1996-2001) in cui il primo ministro veniva eletto a suffragio diretto, quel metodo venne accusato d’aver causato la frammentazione della Knesset e d’aver ridotto drasticamente le dimensioni dei due maggiori partiti. Ora, dopo essere tornati completamente al vecchio sistema puramente parlamentare, vediamo che il declino di entrambi i partiti è un processo che prosegue, e che ha radici profonde nella società israeliana.
2) Israele non ha un vero ramo esecutivo: ha tutte le trappole di una democrazia parlamentare, ma non ha un vero governo. Molti leader, opinionisti e giuristi hanno dimenticato la regola elementare che primo compito del governo è quello di governare, e che senza governo non c’è governo della legge (stato di diritto). Sì, abbiamo un sistema di “checks and balances”, di controlli e contrappesi – consulenti legali a fiumi, commissioni d’inchiesta, controllori di stato, ricorsi alla Corte Suprema, controllo da parte della stampa – ma non abbiamo un vero governo da controllare e controbilanciare. Abbiamo un sacco i freni senza avere il motore. Il test è semplice: può un qualunque concepibile governo israeliano attuare veramente le sue decisioni? Può un qualunque governo adempiere l’impegno di sgomberare gli insediamenti illegali? Può un qualunque governo israeliano attuare un grande progetto nazionale come quello del canale che fa affluire acqua dal Kinneret al Negev? La risposta è un chiaro no.
3) Se il sistema non viene cambiato, non possiamo che aspettarci in futuro sempre la stessa storia: i veri governanti della Knesset non saranno i partiti rappresentanti la maggioranza, ma i piccoli partiti fluttuanti, senza i quali non c’è coalizione possibile.
Infine, un’altra considerazione. Viviamo in due mondi completamente diversi: quello dei mass-media e dell’accademia e quello delle urne. Il primo è un mondo quasi esclusivamente di sinistra nel quale la voce della destra è udibile a malapena. È il mondo dove il regna il Meretz, il mondo delle facoltà di scienze sociali dove il sionismo è diventato qualcosa di semiclandestino. L’altro, quello che esce dalle urne, è un mondo tutto all’opposto. Esiste nei fatti una relazione inversa fra questi due mondi: più forti e acute risuonano le voci dei mass-media e dell’accademia, più diventa forte la destra alle elezioni.
Il Meretz, il partito di cui ho fatto parte per anni, paga il prezzo dell’illusione che tutto andasse bene finché era così popolare nel suo mondo. È lo specchietto per allodole i cui cadono tanti politici israeliani: confondono l’illusione ottica della forza che ha la sinistra nell’accademia e fra gli opinionisti dei mass-media, con il sostegno popolare.
Che fare, dunque? L’unico cosa concreta è che tutti i partiti medio-grandi – Likud, Kadima, Israel Beitenu, laburisti – lavorino insieme per concordare una riforma elettorale che salvi Israele da una serie di governi senza sbocchi che ricordano la Terza Repubblica francese alla vigilia della seconda guerra mondiale. I leader di questi partiti dovrebbero capire che ogni democrazia deve trovare un compromesso fra rappresentanza ed efficienza, e che il peculiare sistema israeliano puramente parlamentare non garantisce né l’una né l’altra.
La mia proposta di riforma prevede:
1) elevare la soglia d’ingresso al parlamento dal 2 al 4%, il quorum minimo in vigore nella maggior parte delle democrazie parlamentari;
2) il leader del partito con più voti venga automaticamente nominato primo ministro, naturalmente con la possibilità che venga sostituito ad opera della maggioranza della Knesset;
3) introdurre collegi elettorali a più membri, in cui venga eletta una certa percentuale dei deputati (ad esempio, un terzo dei membri della Knesset in circoscrizioni a quattro eletti), che in questo modo risponderebbero al loro elettorato, incoraggiando anche i piccoli partirti a unirsi fra loro o confluire in quelli maggiori per poter essere eletti nei collegi;
4) evitare il sistema delle primarie che conferisce troppo potere agli attivisti radicali di partito, sostituendolo con il sistema olandese che permette all’elettore di depennare i nomi dei candidati dandogli la possibilità di esprimersi direttamente sulla composizione della lista del suo partito.
Non si tratta di cambiamenti drammatici, ma secondo me imprimerebbero un netto cambiamento al futuro della politica israeliana. D’altra parte, se non mettiamo fine a questo sistema attuale, questo sistema rischia di mettere fine alla nostra democrazia.

(Da: Jerusalem Post, 18.02.09)