Tanti terrorismi, una sola jihad

La lotta contro la jihad non conosce confini e sbaglia chi dice che i fronti sono del tutto separati.

Da un editoriale del Jerusalem Post

image_348E’ nella natura stessa del terrorismo farci pensare ogni volta che i terroristi abbiano raggiunto il limite della bassezza di cui sono capaci, ed essere ogni volta smentiti. Con la presa in ostaggio e la strage degli scolari di Beslan, i terroristi ceceni sono riusciti a toccare un fondo che non si era più visto da quando terroristi palestinesi presero in ostaggi e fecero strage di scolari israeliani a Ma’alot nel 1974.
Noi israeliani, che da quattro anni a questa parte dobbiamo sorvegliare ogni nostra scuola, dagli asili all’università, abbiamo assistito agli eventi in Nord Ossezia con orrore ed empatia. I metodi usati dai russi contro la Cecenia non cancellano in ogni caso la necessità di schiacciare questo terrorismo, che non è isolato come talvolta viene fatto sembrare.
Come ha notato Michael Radu, uno studioso che opera negli Stati Uniti, “si può discutere quanto gli errori e le brutalità dei russi abbiano spinto molti ceceni all’estremismo, così come si può discutere l’assai esagerata pretesa di Mosca che tutta la resistenza cecena sia wahhabita e attribuibile a mercenari non ceceni. Ciò che invece è fuori discussione è il fatto che gli elementi ceceni più efficaci, più violenti e meglio addestrati sono davvero jihadisti islamismi, parte integrante della nebulosa Al Qaeda, i cui metodi sono stati importanti dal Medio Oriente”.
E’ stato ampiamente riportato che diversi terroristi nella scuola di Beslan erano arabi, arrivati da fuori la Cecenia. Un gruppo affiliato ad Al Qaeda chiamato Brigate Islambouli (dal nome dell’assassino del presidente egiziano Anwar Sadat, ucciso nel 1981 per aver firmato la pace con Israele) ha rivendicato la responsabilità per gli attentati agli aerei e alla metropolitana russi dei giorni scorsi. Il fratello di Islambouli, sottolinea Radu, è un operativo di Al Qaeda nonché membro dei quel Gruppo Islamico Egiziano che fu guidato da Ayman al-Zawahiri prima che diventasse il braccio destro di Osama bin Laden.
Tutto questo non significa che ciò che la Russia fa oggi in Cecenia abbia il sigillo della libertà e della democrazia, né che una Cecenia indipendente sia destinata necessariamente a diventare un satellite di Al Qaeda come l’Afghanistan sotto i talebani. Ciò che emerge tuttavia è che la lotta globale contro l’islamismo jihadista non conosce confini e che sbaglia chi pretende che i fronti siano completamente separati fra loro.
Il conflitto arabo-israeliano, ad esempio, ancora oggi viene generalmente considerato come un caso a se stante rispetto alla generale guerra contro la jihad islamica. Tutt’al più, l’unico nesso che viene talvolta stabilito fra i due fenomeni consiste nell’incolpare gli Stati Uniti di appoggiare troppo Israele, scatenando la furia islamica. La verità, come ammettono ogni tanto anche gli arabi, è proprio il contrario.
In un suo recente lavoro su Commentary, Norman Podhoretz cita l’editorialista egiziano Ab’d Al-Mun’im Murad che, poco prima dell’11 settembre, scrisse su Al-Akhbar: “Il conflitto che chiamiamo arabo-israeliano è, in realtà, un conflitto arabo contro l’occidente, e in particolare contro il colonialismo americano”.
Per gli estremisti islamismi, americani israeliani e russi sono tutti infedeli da combattere. A tal fine, può accadere che in alcuni luoghi cavalchino conflitti o torti di carattere locale. Ma, nel perseguire la loro guerra, gli estremisti islamismi mostrano una notevole capacità di trascendere i confini geografici e persino religiosi. I mullah iraniani sono sciiti, Osama bin Laden è sunnita, Saddam Hussein si presentava per lo più come un laico, eppure si considerano tutti, e dovrebbero essere considerati tutti parte della stessa jihad.
La domanda che si pone è se l’occidente saprà mostrare un minimo di solidarietà nel difendersi. Far notare che Israele, da almeno quattro anni sotto un l’attacco di una delle più feroci aggressioni islamiste, non abbia esattamente goduto della piena solidarietà dell’occidente è un evidente eufemismo. Ma lo stesso si può dire degli Stati Uniti, una volta dissolta l’iniziale solidarietà subito dopo l’11 settembre.
Cosa impedisce a Stati Uniti, Francia (che in queste ore si batte per la liberazione dei suoi due ostaggi in Iraq) e Russia di usare la loro forza al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite per imporre misure severe all’Iran?
Si può e si deve continuare a combattere il terrorismo islamista pezzo a pezzo, ma non si può sperare di vincere la guerra nel suo complesso se, come paesi occidentali, non affrontiamo quello che è il più esplicito simbolo nazionale dell’estremismo islamista, la mullahcrazia in Iran. Cosa che va fatta in primo luogo usando gli ampi strumenti economici e diplomatici di cui l’occidente dispone, con l’obiettivo dichiarato di costringere l’Iran ad abbandonare in modo verificabile il suo programma nucleare e il suo sostegno al terrorismo, come ha fatto la Libia. Il rifiuto finora dell’Europa di imporre sanzioni economiche sta rapidamente spingendo verso una scelta obbligata tra inaccettabile atomica iraniana e odiose opzioni militari.

(Da: Jerusalem Post, editoriale, 4.09.04)

Nella foto in alto: 15 maggio 1974, una ragazza viene portata in salvo da un soldato israeliano durante l’attacco palestinese alla scuola Netiv Meir di Ma’alot (27 morti tra cui 21 bambini, 78 feriti).

Si veda anche:
Ma’alot prima di Beslan (da: Il Foglio)

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