Tener fuori l’Iran dal “club arabo”

È ciò che vorrebbero Egitto e Arabia Saudita, ma la loro politica è incoerente

Da un articolo di Zvi Bar'el

image_2066Le preoccupazioni del presidente egiziano Hosni Mubarak per il coinvolgimento dell’Iran a Gaza non sono legate solo alle crescenti capacità militari di Hamas. In realtà, il suo principale timore è che il controllo sulla “politica araba” – tradizionalmente guidata da Egitto e Arabia Saudita – passi nelle mani dell’Iran. Mubarak è particolarmente irritato per il fatto che la Siria, i cui stretti legami con l’Iran egli ultimamente ha evitato di criticare, continui a mandare a monte gli sforzi della Lega Araba, e quelli personali suoi e del re saudita Abdullah, volti a risolvere la crisi in Libano.
Ma non è soltanto nella crisi libanese che si vedono i segni dell’ingerenza iraniana: anche l’Iraq è sotto influenza iraniana, mentre Egitto e Arabia Saudita non hanno laggiù praticamente alcuna leva sui cui agire. Intanto anche il Sudan intrattiene stretti rapporti con Teheran.
La paura del Cairo è che l’Iran stia creando una rete di influenze diplomatiche nei paesi vicini all’Egitto, proponendosi come un polo rivale per il “club arabo”, soprattutto nei confronti di paesi che sono membri di quello che normalmente viene indicato come l’asse dei moderati.
D’altra parte, lo stesso “club arabo” non sta conducendo una politica coerentemente anti-iraniana. A gennaio, Mubarak ha ospitato il presidente del parlamento iraniano Gholam Ali Hadad Adel. Periodicamente si registrano dichiarazioni egiziane su progetti di rilancio dei rapporti diplomatici con Teheran. L’Arabia Saudita, da parte sua, mantiene legami politici e commerciali con l’Iran (Abdullah ha invitato il presidente iraniano Mahmoud Ahmadinejad a fare il pellegrinaggio alla Mecca, impegnandosi ad ospitarlo). La Giordania, viceversa, mantiene una linea dura verso l’Iran. Ma, a differenza dell’Arabia Saudita, ha recentemente migliorato i suoi rapporti con la Siria.
L’aiuto iraniano a Hamas, unito alla dipendenza dalla Siria sia di Hamas che della Jihad Islamica palestinese i cui leader sono “ospiti” fissi a Damasco, mette l’Egitto di fronte a un ulteriore difficile dilemma, giacché la perdurante chiusura fra Israele e Gaza trasforma di fatto l’Egitto nella sola sponda possibile per gli abitanti della striscia di Gaza. Ufficialmente Mubarak continua a ritenere Israele responsabile della situazione a Gaza, ma in realtà sa bene di non poter ignorare ciò che vi accade, specialmente dopo lo sfondamento della barriera di confine fatto da Hamas nel gennaio scorso.
Dal punto di vista di Mubarak, la soluzione più logica sarebbe la creazione di un governo unitario palestinese a cui partecipasse anche Hamas. Ciò permetterebbe di trattare di nuovo striscia di Gaza e Cisgiordania come una singola unità, svincolando l’Egitto dalle sue più immediate preoccupazioni su Gaza. Di conseguenza il Cairo si è dato molto da fare per portare avanti il dialogo fra Hamas e Fatah, dando anche la propria benedizione all’iniziativa in questo senso dello Yemen. Mubarak spera che un accordo di quel genere possa far rientrare Hamas nel “club arabo”, sottraendola all’influenza di “elementi stranieri”, cioè dell’Iran.
Tuttavia, per promuovere il processo di riconciliazione Hamas-Fatah ci vuole il sostegno di Siria e Iran: ma questi due paesi cercano di ottenere un pacchetto d’accordo che comprenda anche una soluzione alla crisi libanese in linea con quanto voluto da Damasco.
Per il momento si tratta di un evidente circolo vizioso, e tutto ciò che l’Egitto può fare per condizionarlo è boicottare parzialmente il summit della Lega Araba di Damasco e accusare Hamas e Siria di essere agli ordini di Teheran, cercando in questo modo di minare sia la legittimità nazionalista di Hamas, sia la legittimità araba della Siria.

(Da: Ha’atez, 26.03.08)

Nella foto in alto: Il presidente iraniano Mahmoud Ahmadinejad con il capo del Politburo di Hamas Khaled Meshal