Teorie del complotto ebraico

Un documentario dimostra quanto sono in auge dopo l11 settembre.

image_925Nelle settimane e nei mesi successivi all’11 settembre, gli ebrei in America, Europa e Israele hanno dovuto affrontare domande e affermazioni inquietanti circa una presunta cospirazione ebraica volta a distruggere il World Trade Center.
Per il regista ebreo americano Mark Levin, autore del recente documentario “I Protocolli di Sion”, l’ispirazione per questo suo ultimo film è nata dall’incontro che fece in un taxi di New York poco dopo l’11 settembre. Il taxista, immigrato dall’Egitto, sosteneva in tutta serietà che la mattina dell’attentato gli ebrei erano stati avvertiti di non andare al lavoro al World Trade Center. Diceva poi che “è già tutto scritto nel libro”, intendendo “I Protocolli dei Savi Anziani di Sion”: un noto falso creato cento anni fa, che pretende di spacciarsi come il piano generale degli ebrei per dominare il mondo. Come Levin ebbe a scoprire nel corso della lavorazione per il documentario, quel celebre falso antisemita ha goduto di un vasto revival dopo l’11 settembre.
Combinando materiali d’archivio a interviste a militanti afro-americani, supremacist (razzisti) bianchi, palestinesi americani e altri, Levin svela sia la storia sia l’attuale ritorno della falsificazione e distribuzione dei Protocolli. Nei 90 minuti del film, Levin incontra il direttore di Arab Voice, un quotidiano edito nel New Jersey che recentemente a ripubblicato a puntate i Protocolli, e mostra sequenze tratte dal “Cavaliere senza cavallo”, una trasposizione televisiva dei Protocolli mandata in onda in Egitto nel 2002. Levin fa ascoltare agli spettatori anche lo show radiofonico curato da Frankie Welmer, creatore del sito antisemita Jew Watch, e incontra un giovane detenuto ex suprematista bianco, ora cristiano “rinato”. Il carcerato racconta come si fosse convinto, e poi ricreduto, delle teorie sulla cospirazione ebraica mondiale. Levin parla inoltre con rabbini americani, con sopravvissuti alla Shoà e con rappresentanti di organizzazioni che si battono contro l’antisemitismo. Per avere un’ulteriore prospettiva, ferma anche degli ebrei ortodossi per la strada e domanda loro cosa abbiano mai sentito circa i Protocolli.
“Non volevo fare un film accademico – dice Levin al Jerusalem Post da Los Angeles – Volevo che fosse accessibile ai giovani, volevo parlare in modo aperto di fede e fanatismo”. L’anteprima del film, all’inizio di ottobre a New York, si è trasformata in un evento controverso, spiega, dopo che aveva concordato di invitare alla proiezione un certo numero di esponenti afro-americani, compresi rappresentanti di Nation of Islam. Tra costoro anche Malik Zulu Shabazz, uno degli organizzatori dell’imminente decimo anniversario della “Marcia di Un Milione di Uomini”, un esplicito antisemita che ha anche pubblicamente negato che sia morto alcun ebreo nell’attentato alle Torri Gemelle. Al termine della proiezione “c’era una tensione tremenda, che si è tuttavia trasformata in un’affascinante e composta sessione di domande e risposte”, racconta Levin. Ragionare con coloro che credono nelle teorie cospirative, ammette, non è stato facile. “La mentalità cospirativa può essere del tutto impermeabile – spiega – In definitiva è impossibile discutere con loro perché diventa un ragionamento a circolo vizioso”.
Il ragionamento alla base del film, conclude invece Levin, era che fosse comunque necessario svelare come agiscono le teorie cospirative, sia vecchie che nuove. “Il mio obiettivo era di portare tutto alla luce. La luce è il miglior disinfettante”.

(Talya Halkin su Jerusalem Post, 10.10.05)

Nella foto in alto: Shaun Walzer (a destra), leader del gruppo supremicist (razzista) bianco National Alliance, intervistato da Mark Levin.