Tra l’incubo dello stato unico (non ebraico) e la cecità di chi non vede intransigenza e minacce dei nemici d’Israele

Riflessioni di un israeliano moderato di fronte al voto

Di Ben-Dror Yemini

Ben-Dror Yemini, autore di questo articolo

Ben-Dror Yemini, autore di questo articolo

La divisione fra sinistra e destra ostacola il dibattito pubblico: è una dicotomia che taglia fuori molti elettori, circa il 20% dei quali secondo i sondaggi è ancora indeciso. Sono quelli che decideranno queste elezioni, e io sono uno di loro: incerto e pieno di dubbi. Dunque, chi posso votare?

Cominciamo da Benjamin Netanyahu. E’ ben lungi dall’essere il mostro che viene dipinto dalla propaganda elettorale. Non ha trascinato Israele in un disastro economico, al contrario. Non ha allargato i gap socio-economici, anche se non ha neppure fatto grandi sforzi per ridurli. Non è certo l’unico responsabile per l’aumento del costo delle abitazioni. Ha fatto anche alcune cose ottime, come una battaglia contro il terrorismo misurata ed efficace, grandi investimenti in infrastrutture, un significativo aumento del budget dell’istruzione. E se vogliamo essere onesti, dobbiamo ammettere che in molti campi non c’è poi questa grande differenza tra Netanyahu e i suoi rivali. Ma quando si tratta di un campo specifico e assai importante, Netanyahu diventa problematico anche per molti di quelli che potrebbero considerarsi suoi sostenitori: parlo della sua capitolazione sin da subito di fronte agli ultra-ortodossi. Lo ha già dichiarato, e questo significa: ripartizione meno equa degli oneri, nessuna possibilità di porre fine al controllo ultra-ortodosso sui meccanismi della conversione, soprattutto più fondi alle istituzioni ultra-ortodosse che vedranno una ripresa del movimento di religiosi e osservanti verso il sistema di istruzione ultra-ortodosso.

Operazioni di voto in una base delle Forze di Difesa israeliane

Passiamo alla sfera politica. Una settimana fa il giornalista Nahum Barnea ha pubblicato un documento che rivela le concessioni di ampia portata che Netanyahu aveva sottoposto ai palestinesi. Due giorni dopo, il giornalista Raviv Drucker ha rivelato un documento firmato da Ron Dermer, il più importante consulente diplomatico di Netanyahu, che presentava posizioni simili. Anche in passato c’erano state notizie di compromessi di vasta portata a cui Netanyahu avrebbe dato luce verde. Nessuno spiraglio di pace è mai scaturito da queste posizioni. In un incontro alla Casa Bianca esattamente un anno fa, il 17 marzo 2014, il presidente Barack Obama sottopose al presidente dell’Autorità Palestinese Mahmoud Abbas (Abu Mazen) e alla sua squadra un progetto di proposta per un accordo di pace che comprendeva, oltre ai punti che Netanyahu aveva accettato, anche una divisione di Gerusalemme che Netanyahu non aveva avallato. Abu Mazen respinse il progetto esattamente come aveva fatto sei anni prima, quando Condoleezza Rice e George W. Bush gli avevano presentato un piano di pace simile, proposto da Ehud Olmert.

Il problema è che Netanyahu soffre di doppia personalità. C’è il sobrio Netanyahu, consapevole che senza un accordo di pace ci ritroveremmo con un unico stato; e c’è il politico Netanyahu, che ci sta trascinando proprio verso lo stato unico bi-nazionale (in realtà, arabo). Finché Yair Lapid e Tzipi Livni facevano parte della sua coalizione, prevaleva il Netanyahu sobrio. E’ lo stesso Netanyahu che Tzipi Livni un paio di settimane fa ha detto che non può essere biasimato per il fallimento dei negoziati con i palestinesi. E lei sa di cosa sta parlando (era a capo della squadra negoziale israeliana). Ma dal momento in cui Netanyahu è rimasto con un governo di destra, è entrato in competizione con il Bayit Yehudi di Naftali Bennett nella folle gara a sostegno dell’unico grande stato.

Un arabo israeliano ad una manifestazione a sostegno del Likud di Netanyahu

Un arabo israeliano ad una manifestazione a sostegno del Likud di Netanyahu

Questo è esattamente ciò che vuole l’estrema sinistra, la sinistra anti-sionista. Ed è ciò che un governo di destra più gli ultra-ortodossi finirebbe per realizzare. Dunque l’incubo di uno stato bi-nazionale (che diventerebbe arabo o antidemocratico) potrebbe trasformarsi in realtà. A quel punto potremo decretare la fine della visione sionista. Quindi, sì: a mio modo di vedere un voto per il Likud è un voto che rischia di porre termine all’impresa sionista.

La sinistra anti-sionista, quella che si oppone all’esistenza di uno stato ebraico e che proprio per questo invoca un unico stato, non è degna di discussione. Il problema è che anche la sinistra sionista è cieca. Crede che sorridendo un po’ e comportandosi bene tutto andrà per il meglio. Questa sinistra si rifiuta di capire che Abu Mazen non è disposto ad accettare nessun compromesso, anche se gli venisse offerto da un governo a guida Meretz. In realtà, ci siamo già passati. Dopo tutto, alla fine del 2000 Yasser Arafat respinse proprio una proposta del genere benché la squadra negoziale che aveva davanti fosse la squadra dei sogni della sinistra pacifista: Yossi Sarid, Yossi Beilin, Shlomo Ben-Ami. Come cercare di resuscitare un morto con l’aspirina. I palestinesi non fecero altro che aumentare le fiamme. Finché la sinistra sionista si rifiuta di capire questo dato basilare, finché rimane intrappolata in un mondo di sogni, non può essere una valida alternativa.

Ma non vale per tutta quella parte. Amos Yadlin, l’uomo della sicurezza dell’Unione Sionista, lo scorso anno ha presentato un approccio molto più sobrio: un accomodamento anziché un accordo. Sono due cose diverse. Yadlin propone un accomodamento unilaterale che prevede una riduzione degli attriti, una separazione anziché un disimpegno, e naturalmente la fine della crescita degli insediamenti, pur conservando tutte le esigenze di sicurezza per Israele, come è necessario alla luce del sostegno popolare di cui gode Hamas e degli sviluppi regionali, a cominciare dal rafforzarsi dei movimenti jihadisti globali. Il fatto che Yadlin faccia parte dell’Unione Sionista fa ben sperare.

Il leader di Unione Sionista, Isaac Herzog, al Muro Occidentale (del Pianto) di Gerusalemme

Il leader di Unione Sionista, Isaac Herzog, domenica al Muro Occidentale (del pianto) di Gerusalemme

Ciononostante, si deve ammettere che in buona parte gli argomenti della destra circa la realtà regionale sono molto più realistici e convincenti. E’ il caso, ad esempio, del pericolo iraniano, della jihad globale e di Hamas. La destra ha ragione quando sostiene che un ritiro dalla Cisgiordania si tradurrebbe in raffiche di razzi lanciati da Qalqiliya (cittadina di Cisgiordania a soli 12 km dal mare). Ma quando si tratta di avanzare soluzioni, la destra ha un problema serio. L’argomento – giusto – che Hamas potrebbe prendere il controllo di Qalqiliya e paralizzare l’aeroporto internazionale Ben-Gurion non porta a concludere che dobbiamo optare per uno stato unico. Dopo tutto, l’intransigenza di Hamas e anche quella di Abu Mazen hanno proprio lo scopo di spingere Israele verso lo stato unico. Di nuovo, non si capisce perché la destra israeliana si muova verso la realizzazione di una prospettiva che contraddice il progetto sionista.

Non esiste un partito che offra un mix dei giusti argomenti della destra e dei giusti argomenti della sinistra sionista. Non esiste un partito che sia riuscito a liberarsi dei soliti vecchi slogan obsoleti. Non esiste un partito che presenti una visione sobria che sia al contempo sionista, ebraica e democratica. Questo non permette all’elettore di scegliere il partito migliore, perché quel partito non esiste. La scelta si riduce al meno peggio. E’ così che funziona la democrazia.

Per me, Likud e Bayit Yehudi non sono un’opzione perché molti dei loro esponenti invocano o si adoperano per la creazione di un unico stato. Avigdor Lieberman (che è per due stati demograficamente omogenei da creare ridisegnando drasticamente i confini) a volte sembra avere buon senso, ma è così imprevedibile che è difficile sapere per cosa si vota se si vota Lieberman. Una coalizione di governo composta da destra più gli ultra-ortodossi sarebbe un invito a nozze per gli odiatori di Israele. Si potrebbe, come suggeriscono alcuni nella destra, mandare al diavolo il resto del mondo. Ma Israele dipende dal mondo. E certamente ha bisogno degli Stati Uniti, che sono un alleato strategico, mentre Netanyahu insiste a tirarsi addosso, e a volte addosso a Israele, un fuoco di fila di critiche da un numero crescente di alti esponenti americani. Quelli del Meretz, poi, sono completamente intrappolati nell’illusione dell’appeasement.

Così ci restano i partiti di centro, da Yair Lapid (Yesh Atid) a Isaac Herzog (Unione Sionista). Anche Moshe Kahlon (Kulanu) potrebbe essere un buon candidato, ma ha troppa paura di rivelare le sue posizioni politiche. Tutte e tre queste formazioni hanno al loro interno voci sane, che non sono affette dalla cecità della sinistra da un lato, e che si oppongono alla prospettiva da incubo di un singolo stato, dall’altro. Dopotutto e tutto considerato, questi tre partiti sono il meglio del peggio. Quando andrò a votare, probabilmente sarà per uno di loro.

(Da: YnetNews, 13.3.15)