Trent’anni di “pace subito”

Il gruppo che vuole la “pace adesso”, indipendentemente da ciò che arabi e palestinesi dicono o fanno

Da un editoriale del Jerusalem Post

image_2068Ricorre in questi giorni il 30esimo anniversario di Shalom Ahshav (Pace Adesso), il movimento che incarna l’aspirazione quasi istintiva alla pace condivisa praticamente da tutti gli israeliani. Ecco perché per tre decenni Pace Adesso ha affascinato tanti ebrei, sia in Israele che in Diaspora, con il suo innocente entusiasmo per un Medio Oriente dove israeliani e palestinesi vivano fianco a fianco in pace e sicurezza, nel rispetto delle reciproche aspirazioni e delle rispettive memorie storiche.
Il movimento emerse nel marzo 1978, durante i colloqui di pace fra Israele ed Egitto, quando 348 riservisti delle Forze di Difesa israeliane firmarono una lettera aperta all’allora primo ministro Menachem Begin in cui sollecitavano un atteggiamento israeliano più conciliante al tavolo negoziale, denunciavano l’impegno di Begin verso i territori di Cisgiordania e striscia di Gaza come parte integrante della Terra d’Israele, e si schieravano contro l’insediamento di cittadini israeliani in quei territori.
Dal momento che in effetti Anwar Sadat negoziava non solo sulla restituzione del Sinai all’Egitto ma anche a nome degli arabi palestinesi, sebbene contro la loro volontà, Pace Adesso reclamava che Begin arrivasse “subito” a un accordo. Qualunque accordo.
I fondatori di Pace Adesso erano un gruppo assai vario composto da riservisti liberal, accademici, radical-chic di Tel Aviv. Il loro intento era quello di offrire un’alternativa al movimento Gush Emunim (nazionalisti religiosi attivi negli insediamenti). Avevano ben chiaro a cosa erano contrari – gli insediamenti e l’occupazione – ma non sono mai veramente risusciti a formulare una praticabile politica alternativa.
Pace Adesso non ignora il valore strategico della Cisgiordania. I suoi esponenti sanno bene che si può attraversare a piedi il tratto di Israele, densamente popolato, che sta tra la Cisgiordania settentrionale e il mar Mediterraneo, senza doversi fermare nemmeno per bere un bicchier d’acqua. Tuttavia il gruppo coltiva una fideistica convinzione nel concetto che la “autentica sicurezza” per Israele può essere conseguita solo con l’avvento della “pace”. L’obiettivo di arrivare alla pace “subito” – indipendentemente da ciò che arabi e palestinesi dicono o fanno – spesso e volentieri ha spinto il gruppo a trascurare sgradevoli dati di fatto del conflitto arabo-israeliano. La sua attenzione è esclusivamente votata a ciò che gli israeliani dovrebbero concedere, come se la loro brama collettiva per la pace potesse da sola superare in modo sopranaturale l’intransigenza, l’istigazione all’odio, la cultura della violenza e la sovversione interna in campo palestinese.
Nel corso degli anni molte, ma non tutte, le posizioni di Pace Adesso sono diventate maggioritarie in Israele. In effetti oggi Israele negozia con l’Olp, e la maggior parte degli israeliani ha accettato l’idea di uno stato palestinese, se pur soltanto nel contesto di un accordo che garantisca autentica sicurezza. E la maggior parte accetta anche, sebbene con poco entusiasmo, che vengano sradicate comunità ebraiche dalla Cisgiordania nel momento in cui i palestinesi fossero pronti a fare la pace. Il fatto è che non lo sono.
Il portavoce di Pace Adesso, Yariv Oppenheimer, afferma in modo vago di sostenere qualunque cosa i negoziatori israeliani e palestinesi siano pronti a concordare. In pratica, però, Pace Adesso chiede qualcosa di diverso e più specifico. Pur sostenendo di non voler spingere Israele sulle indifendibili linee d’armistizio del 1949 (quelle che già più volte incoraggiarono aggressioni arabe), nondimeno Pace Adesso si oppone vivacemente a qualunque costruzione al di là di quella Linea Verde, non difende il mantenimento dei grandi blocchi di insediamenti come Gush Etzion, Ma’aleh Adumim e Ariel (nemmeno in cambio di altre terre da cedere ai palestinesi, come venne prospettato nei negoziati del 2000-01), considera “territorio occupato” quartieri sud e nord di Gerusalemme come Talpiot, Gilo e Pisgat Ze’ev.
Pace Adesso si pone nettamente al di fuori del consenso nazionale quando sostiene una “sovranità congiunta” sulla Città Vecchia di Gerusalemme. E benché dica di non condividere il cosiddetto “diritto al ritorno” (all’interno d’Israele dei profughi palestinesi e loro discendenti), tuttavia non si oppone necessariamente alla sua “affermazione”.
Inoltre, per essere un gruppo con tanta influenza sul mass-media, Pace Adesso dimostra una sconcertante mancanza di trasparenza finanziaria e amministrativa. Gli israeliani dovrebbero credere che questa ben oliata e sofisticata macchina di pubbliche relazioni, capace addirittura di realizzare monitoraggi aerei su ogni angolino e recesso della Cisgiordania, funzioni in modo del tutto informale e unanimistico, grazie all’opera di volonterosi studenti e di qualche ex-contestatore un po’ su con gli anni.
Di fatto Pace Adesso è finanziata attraverso una ONG educativa chiamata Sha’al, che riceve “gran parte” dei suoi fondi da ebrei americani. Lo afferma Oppenheimer, che però rifiuta di precisare quale sia il budget annuale, né quanto denaro arrivi da fondazioni e governi stranieri che potrebbero essere interessati a cooptare il marchio di Pace Adesso.
Pace Adesso ci aiuta senz’altro a ricordare che l’ebraismo conferisce un altissimo valore alla pace. Tuttavia, rimanendo ideologicamente ferma, attaccata a posizioni che l’esperienza ha dimostrato essere assai rischiose quando rendono Israele indifendibile, e mantenendo oscuri i suoi processi decisionali e le sue fonti di finanziamento, Pace Adesso condanna se stessa ai margini della scena politica israeliana.

(Da: Jerusalem Post, 8.04.08)

Nella foto in alto: Immagine aerea di Elon Moreh (Cisgiordania), scattata dall’unità Settlement Watch di Pace Adesso

Si veda anche:
L’amaro destino dei confini d’Israele

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