Umm el-Fahm in cambio della Valle del Giordano?

Perché mai un accordo tra re Abdullah e Ben-Gurion dovrebbe essere più sacro di qualunque altra cosa?

image_472L’idea di un grande scambio di terre (come ad esempio cedere ai palestinesi Umm el-Fahm, Taiba e Baka al-Gharbiyeh in cambio di insediamenti e dello strategico crinale dei monti di Cisgiordania) è stata a lungo liquidata dagli ambienti politici perbene come un’esclusiva dell’estrema destra, nient’altro che un altro nome per la vecchia idea, razzista e antidemocratica, di un “trasferimento” di arabi israeliani fuori dal paese. Così è stato, per lo meno, finora.
Ora, però, Uzi Arad, direttore dell’Istituto politico-strategico del Centro Interdisciplinare di Herzliya e presidente dell’annuale Conferenza di Herzliya (uno dei convegni in assoluto più prestigiosi d’Israele), si è pronunciato esplicitamente a favore della proposta, che anzi verrà approfonditamente discussa nel prossimo appuntamento della Conferenza, che inizierà il 13 dicembre. “Il bello di questo baratto – ha dichiarato Arad in un’intervista questa settimana al Jerusalem Post – è che si scambia la stessa merce: non è soldi in cambio di terra, o terra in cambio di promesse di pace. E’ terra in cambio di terra”.
Lo scambio terra contro terra immaginato da Arad è relativamente semplice. Israele cederebbe aree a grande popolazione araba continue alla Cisgiordania, come il cosiddetto Piccolo Triangolo nel centro del paese, e in cambio riceverebbe grandi blocchi di insediamenti e aree strategicamente vitali, ma disabitate, lungo la valle del Giordano e nelle colline a sud di Hebron. Ciò che Arad propone è di prendere quel pezzo di territorio contese che sta fra il mar Mediterraneo e il fiume Giordano e ripartirlo secondo le linee dell’attuale presenza demografica, e di farlo in modo che ne risulti una continuità territoriale. La continuità territoriale è un elemento essenziale ed è il motivo per cui la Galilea, benché ospiti una larga popolazione araba israeliana – non può diventare parte del nuovo stato palestinese: non vi sarebbe continuità. Non si devono creare cantoni, spiega Arad, bensì unità territorialmente continue: una Cisgiordania allargata, da una parte, e Gaza dall’altra. Se tutti i centri a popolazione araba all’interno di Israele diventassero parte dell’entità palestinese, allora bisognerebbe includervi anche Jaffa, cosa assolutamente non realistica.
“Quando si considerano le cose in modo chiaro, con il senso della profondità storica – continua Arad – si notano i seguenti fatti. Tutta la storia del contenzioso israelo-palestinese si gioca sulla terra e, sin dagli anni trenta, chiunque abbia cercato una soluzione non ha potuto far altro che proporre una spartizione delle terra. E ogni mappa di spartizione proposta non seguiva né i progetti, né la storia, né la religione e neanche le sicurezza: seguiva sempre la logica della distribuzione demografica”. Secondo il ragionamento di Arad, la stessa logica che resse i piani di spartizione in passato, in base a demografia e continuità territoriale, deve essere impiegata anche oggi. Tutto ciò che occorre fare, dice, è aggiornare il concetto e “integrarlo nel presente”.
“Pertanto il Piccolo Triangolo, e alcuni altri settori lungo il confine con l’entità palestinese, potrebbero facilmente essere ceduti all’Autorità Palestinese. Cosa che può essere fatta perché sono contigui, perché la popolazione che vi risiede si sente più legata ai palestinesi e perché abbiamo certamente il diritto sovrano di ritirarci”.
Arad si scaglia contro l’idea che le linee di armistizio del 1949, note come Linea Verde, siano sacrosante. Umm el-Fahm, ricorda ad esempio, divenne parte di Israele nel 1951 come frutto di un accordo segreto tra David Ben-Gurion e il re di Giordania Abdullah I. “Perché mai – si domanda – un accordo tra Abdullah e Ben-Gurion dovrebbe essere più sacro di qualunque altra cosa? Perché mai dovrebbe avere la meglio su un accordo che venisse stretto oggi fra il governo sovrano d’Israele e la sovrana entità palestinese?”
Secondo Arad, la logica sottesa alla sua proposta è assi semplice: “Voglio uno stato ebraico più ebraico possibile, con una sostanziale maggioranza di ebrei. I palestinesi di Umm el-Fahm e degli altri settori considerano se stessi palestinesi, hanno atteggiamenti ambigui verso Israele, per un terzo sono estremisti islamici, molti di loro sono in rapporti commerciali con la Cisgiordania e sono ad essa contigui. Dunque anziché essere, dal loro punto di vista, cittadini di seconda classe all’interno di Israele, che siano patriottici cittadini di prima classe all’interno della loro entità palestinese”.
E se non vogliono? E se gli abitanti di Tira e Taiba vogliono restare invece cittadini di seconda classe all’interno di Israele? “Non vogliono essere cittadini israeliani di seconda classe – risponde Arad – Quello che vogliono è essere sovversivi dall’interno. Non accettano Israele come stato degli ebrei. Se chiedete loro: accettate di essere israeliani?, rispondono: sì. Ma quando chiedete se accettano che Israele sia uno stato ebraico, iniziano i dubbi e i distinguo”.
Questo tipo di situazione, sostiene Arad, non verrebbe tollerata in altre democrazie. “Se in America un cittadino dicesse: sono disposto a vivere qui ma voglio sovvertire la Costituzione perché la odio, e voglio trasformare l’America in una repubblica islamica, non avrebbe modo di partecipare alla vita politica”.
Ciò che conta nei ragionamenti di Arad non è tanto il loro contenuto (non è la prima volta che vengono fatti questi discorsi), quanto il fatto che sia lui a farli. Arad non viene dalle file dell’estrema destra. È uno che ha preso il dottorato a Princeton, un professore di scienze politiche, un uomo che ha lavorato fino a diventare direttore di intelligence del Mossad e consigliere diplomatico di Benyamin Netanyahu, e che è taanto rispettato nei circoli politici e accademici internazionali che il suo convegno attira ogni anno il meglio dei nomi della politica e dell’accademia da tutto il mondo.
Alla domanda perché i palestinesi dovrebbero accettare questo schema, Arad risponde che esso risponde perfettamente alla stessa logica che essi applicano per le loro rivendicazioni su Gerusalemme. L’unica ragione per cui gli arabi avanzano delle rivendicazioni su Gerusalemme, spiega, è perché accettano la logica della centralità della demografia e della continuità territoriale. Se rivendicano quartieri arabi di Gerusalemme come Eizariya e Abu Dis in quanto prevalentemente arabi, allora non possono poi girare le carte in tavola e dire che Umm el-Fahm deve restare parte integrante di Israele. “Come mai rivendicano Abu Dis e Eizariya e come sono riusciti a convincere Clinton di questa loro rivendicazione? Perché si tratta di aree abitate da arabi. Per il resto Gerusalemme è israeliana, sia storicamente che in virtù della nostra presenza. La sola ragione per cui dobbiamo prendere in considerazione queste loro richieste è perché accade che queste aree sono dominate da popolazione araba. Ora, se questo è il criterio che vale per i quartieri di Gerusalemme, allora vale anche per Umm el-Fahm. Volete che Eizariya diventi parte dell’entità palestinese? Allora prendetevi anche Umm el-Fahm. Non volete Umm el-Fahm? Allora non potete avanzare la stessa rivendicazione sui quartieri di Gerusalemme. Il criterio non può essere applicato a intermittenza”.
Ma in questo modo Israele non potrebbe indebolire la propria stessa posizione sul controllo futuro di Gerusalemme? “Può darsi – risponde Arad – ma la cosa può essere accettabile nel quadro di un grande accordo”.
Arad parla spesso di “grandi accordi”, di diverse parti che fanno varie mosse. “Molte cose accadranno solo quando si avrà un grande accordo. Ecco perché parlo di scambi. Se si lavora a pezzettini non si arriva da nessuna parte. Ma se si trova la capacità di fare più negoziati paralleli, allora si possono fare grandi cose”.
Un’idea del genere era stata sollevata la scorsa estate nei termini di uno scambio di terre a tre fra israeliani, egiziani e palestinesi. Secondo questo progetto, Israele avrebbe dato all’Egitto una striscia di terra nel Negev sud-occidentale, gli egiziani avrebbe dato all’Autorità Palestinese della terra da Rafah a El Arish triplicando le dimensioni della striscia di Gaza e Israele avrebbe ricevuto una eguale estensione di terra in Cisgiordania, al di là delle linee del 1967, attorno ai principali blocchi di insediamenti.
Come prevedibile, gli egiziani respinsero la proposta senza mezzi termini. Ma, secondo Arad, alcuni egiziani hanno detto che l’idea non è attuabile finché c’è il presidente Hosni Mubarak, ma che dopo di lui qualcosa del genere potrebbe prendere piede. “Non è un’idea da attuare nell’immediato – dice Arad – E’ qualcosa che potrebbe aver luogo fra cinque o dieci anni”.
Un’idea che, invece, non si accorda con i grandi disegni di Arad è il piano di disimpegno del primo ministro Ariel Sharon, un piano che Arad definisce senza mezzi termini “stolto” e che, a suo dire, potrebbe danneggiare irrimediabilmente la capacità d’Israele di negoziare in futuro sia con i palestinesi sulla Cisgiordania, sia con i siriani sulle alture del Golan. “Penso che Sharon abbia fatto un errore terribile rinunciando completamente a ogni richiesta di sicurezza rispetto ai palestinesi di Gaza – spiega – Così ha creato un precedente: la disponibilità a cedere terra e sradicare civili senza chiedere nulla. Non ha chiesto niente, non un arresto simbolico, non un’operazione di polizia di un giorno; nemmeno che i diecimila operativi della sicurezza di Dahlan facciano una ricerca degli esplosivi”.
Questo precedente, secondo Arad, si ritorcerà contro Israele nei colloqui con i siriani. “Una concessione terribilmente destabilizzante – aggiunge – Nessuna meraviglia che la posizione di Sharon si sia indebolita a fronte dei siriani”. I siriani potrebbero chiedere perché Sharon esige da loro che agiscano contro Hezbollah mentre nello stesso tempo “è così disinvolto nel non chiedere a Dahlan di occuparsi di Hamas”.
Dunque, secondo Arad, il disimpegno unilaterale da Gaza danneggerà la futura posizione negoziale di Israele. “Non si deve mai fare concessioni unilaterali – sostiene – Mai. Date un’occhiata al manuale di Harvard sui negoziati: i negoziati non procedono mai per slanci di concessioni unilaterali, perché questo tipo di concessioni alterano il processo. Quanto poi si vuole tornare a concrete concessioni reciproche, la controparte è guastata perché le sue aspettative si sono elevate”.
Con la morte di Yasser Arafat e il potenziale avvento di nuova leadership palestinese, dice Arad, Israele ha l’opportunità di riesaminare il processo e “introdurre reciprocità”. “Questo – conclude – è il momento per ristrutturare il piano”.

(Herb Keinon su Jerusalem Post, 4.12.04)

Nella foto in alto: Uzi Arad