Un accordo basato sulla pia speranza che anche i terroristi lo trovino “irresistibilmente allettante”

I negoziati non puntano alla pace, ma a un ritiro israeliano che lascerà incancrenire il conflitto

Di Moshe Arens

Moshe Arens, autore di questo articolo

Moshe Arens, autore di questo articolo

Se pensavate che l’accordo che il Segretario di Stato Usa John Kerry sta cercando di far firmare al primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu e al presidente dell’Autorità Palestinese Mahmoud Abbas (Abu Mazen) avesse lo scopo di porre fine al conflitto israelo-palestinese, farete bene a ricredervi. Niente del genere. Anche se l’accordo venisse firmato e ratificato, il conflitto continuerà. Israele continuerà ad essere calunniato dai palestinesi e dai loro fiancheggiatori, che continueranno a chiedere ulteriori concessioni territoriali e il cosiddetto “diritto al ritorno”. Ci saranno ancora appelli per il boicottaggio e le sanzioni, a attentati terroristici contro Israele.

I negoziati con Abu Mazen si sono svolti in segreto. All’opinione pubblica è stata data l’impressione che venisse fatto il tentativo risolvere una volta per tutte il conflitto israelo-palestinese e che, se entrambe le parti fossero disposte a prendere decisioni difficili e dolorose, il pluridecennale conflitto potrebbe concludersi.

Ma qualsiasi persona di buon senso deve essersi sicuramente chiesta come si possa realizzare tutto questo negoziando con Abu Mazen, che nella migliore delle ipotesi può pretendere di rappresentare non più della metà dei palestinesi, e senza alcuna partecipazione di Hamas e dei palestinesi della striscia di Gaza. Si poteva solo supporre che ad un certo punto sarebbe stato evocato un deus ex machina per risolvere il problema. I soci in queste trattative segrete, John Kerry, Netanyahu, Abu Mazen e la ministra della giustizia Tzipi Livni, certamente consapevoli del problema, dovevano avere un asso manica, un coniglio da tirare fuori dal cappello all’ultimo momento.

Il presidente Usa Barak Obama al Saban Forum, Washoington,m 7 dicembre 2014

Il presidente Usa Barak Obama al Saban Forum, Washington, 7 dicembre 2014

Adesso che monta la pressione per portare i colloqui alla conclusione, salta fuori la verità e a dirla è stato nientemeno che il presidente degli Stati Uniti Barack Obama, un mese fa, in occasione del Forum Saban a Washington. Si scopre, così, che i negoziati non puntano affatto alla fine del conflitto israelo-palestinese. Tutto quello a cui mirano è arrivare al ritiro delle Forze di Difesa israeliane da Giudea e Samaria (Cisgiordania) lasciando che il conflitto israelo-palestinese continui a incancrenire.

L’accordo di pace, ha spiegato Obama, “dovrà avvenire per fasi. Se riusciamo a creare un percorso di pace, seppure inizialmente limitato alla Cisgiordania, se ci sarà un modello a cui i giovani palestinesi di Gaza possano guardare e vedere che in Cisgiordania i palestinesi sono in grado di vivere dignitosamente, con l’autodeterminazione, e che tutt’a un tratto la loro economia è in pieno boom e avvengono commerci, ebbene tutto questo è qualcosa che i giovani di Gaza finiranno col desiderare. E la pressione che sarà posta ai residenti di Gaza per avere quello stesso futuro è una cosa che finirà per essere, credo, irresistibilmente allettante [overwhelmingly appealing]”. Così ha parlato Obama. Ed ecco dunque come stanno le cose. Naturalmente non c’era nessun deus ex machina. C’è solo la pia speranza che, dopo il ritiro israeliano da Giudea e Samaria, Hamas a Gaza inizieranno a lanciare baci verso Israele anziché razzi.

Hamas a Gaza

Hamas a Gaza

Questo tipo di ragionamento suona drammaticamente familiare. Quando, nel maggio 2000, le Forze di Difesa israeliane si ritirarono dalla fascia di sicurezza del Libano meridionale, abbandonando vergognosamente al loro destino i nostri alleati libanesi, si disse che Hezbollah avrebbe cessato le sue attività terroristiche contro Israele per diventare semplicemente un partito politico libanese, e la pace avrebbe regnato nel nord di Israele. Quando, nell’estate 2005, le Forze di Difesa israeliane si ritirarono dagli insediamenti di Gush Katif sgomberando ottomila civili israeliani dalle loro case con un atto d’autorità senza precedenti contro i loro diritti di cittadini, si disse che i palestinesi della striscia di Gaza sarebbero rimasti soddisfatti e la pace avrebbe regnato nel sud Israele. Ora la stessa esca viene nuovamente agitata davanti al naso degli israeliani: ritiratevi da Giudea e Samaria e anche i palestinesi di Gaza troveranno la pace con Israele “irresistibilmente allettante”.

Intanto, giusto per non lasciare possibilità di equivoci, il “ministro degli esteri” del “governo” di Hamas a Gaza, Mahmoud Zahar, ha dichiarato: “Qualsiasi accordo firmato tra Israele e Autorità Palestinese non sarebbe vincolante per il popolo palestinese: i negoziatori palestinesi sono illegittimi e non rappresentano il popolo palestinese”.

(Da: Ha’aretz, 16.12.13)

 

DOCUMENTAZIONE

“Nel momento stesso in cui ce ne andremo dal Libano meridionale potremo cancellare la parola Hezbollah dal nostro vocabolario, giacché l’idea stessa dello stato di Israele contro Hezbollah era pura follia sin dall’inizio. E sicuramente non avrà più alcuna importanza una volta che Israele sarà tornato al suo confine settentrionale, internazionalmente riconosciuto”.

Amos Oz, intervistato da Ha’artez il 17 marzo 2000 (due mesi prima del ritiro israeliano dal Libano)