Un attentato perfettamente simbolico

Questo terrorismo non è motivato dalla guerra in Iraq e nemmeno dal conflitto arabo-israeliano.

Da un articolo di Barry Rubin

image_816Cosa significa l’ultimo grande attacco terrorista contro l’Egitto? Per rispondere a questo interrogativo bisogna primaa chiarire tre punti fondamentali senza i quali è impossibile capire il terrorismo contemporaneo.
Primo, i gruppi del terrorismo islamista internazionale stanno attuando ogni attentato che possono fare, contro qualunque obiettivo che paia loro possibile. I gruppi estremisti, affiliati o ispirati ad al-Qaeda, sono pronti a colpire all’interno dei paesi musulmani o contro l’occidente unicamente in base a dove hanno forze a disposizione, e al momento in cui possono “bucare” i sistemi difensivi.
Secondo, per avere un’idea di quanto sta accadendo è necessario prestare almeno altrettanta attenzione agli attentati falliti o sventati che a quelli riusciti. Un tentativo di approntare gas nervino in Inghilterra è fallito, un tentativo di usare attentatori suicidi contro il sistema dei trasporti urbani di Londra è riuscito. L’elemento chiave è cosa i terroristi stanno cercando di fare, e quello che stanno cercando di fare è tentare qualunque cosa che possa seminare terrore, provocare vittime e mostrare la loro presunta potenza.
Terzo, è un tremendo errore farsi ossessionare dalle motivazioni degli attacchi per come vengono definite dagli occidentali, anziché badare a ciò che i terroristi stessi dicono di se stessi. Questo terrorismo non è motivato dalla guerra in Iraq e nemmeno dal conflitto arabo-israeliano, bensì da un tentativo di sovvertire il mondo islamico e spezzare il potere dell’occidente. Allo stesso modo si poteva incolpare la prima guerra mondiale per il comunismo e il nazismo.
In questo contesto, è possibile capire quest’ultimo attentato. Prendendo di mira i siti turistici in Egitto, i terroristi sintetizzano perfettamente i loro due temi principali: colpire l’occidente e sabotare i regimi arabi attuali. In questo modo essi si pongono simultaneamente come rivoluzionari contro il governo egiziano e protagonisti della jihad contro l’occidente. L’attentato è perfettamente simbolico: cacciare i turisti occidentali dall’Egitto rappresenta l’obiettivo di cacciare l’occidente dal Medio Oriente.
L’attentato, inoltre, si presenta come il più recente di una lunga serie di attacchi. Nel corso degli anni ’90 molti attentati di questo genere sono stati realizzati da sovversivi islamisti egiziani nel tentativo di rovesciare il regime, screditarlo internazionalmente e sottrargli gli ampi proventi che l’Egitto ricava dal turismo. L’eversione, che alla fine è fallita, ha causato la morte di più di duemila persone, per lo più egiziani, ed è culminata nell’attacco del novembre 1997 a Luxor dove vennero uccisi 58 turisti e quattro egiziani. Il fatto sconvolse a tal punto gli egiziani da contribuire al fallimento del tentativo eversivo che già stava scemando.
Questa strategia si sta ora ripetendo in un contesto jihadista. In particolare, nell’ottobre 2004 34 persone sono state uccise e più di cento ferite da attentatori suicidi in località turistiche nel Sinai. E qui c’è un ulteriore aspetto del nuovo attentato: esso mette in grave imbarazzo le autorità egiziane, che hanno molto personale a disposizione e un’area relativamente piccola da proteggere: pochi siti di alto profilo turistico al Cairo e nel Sinai. Il loro insuccesso nel farlo in modo adeguato non promette nulla di buono per il futuro: cosa che non sfugge a chi pensa di fare un viaggio in Egitto.
C’è anche un nesso interessante fra le esplosioni in Egitto e quelle a Londra. Per anni gli egiziani hanno invocato l’estradizione degli estremisti islamisti egiziani che vivevano tranquillamente in Gran Bretagna predicando la violenza. I britannici avevano sempre respinto le richieste, appellandosi al principio del diritto di asilo politico e indicando anche, non c’è dubbio, la mancanza di adeguate garanzie processuali in Egitto. Ma gli egiziani avevano ragione. Coloro con cui la Gran Bretagna è stata generosa hanno ricambiato contribuendo a portare la morte violenta sui loro ospiti così benintenzionati.
Un’altra questione interessante è come la crescente minaccia terroristica influirà sull’atteggiamento degli egiziani verso Hamas e Jihad Islamica palestinese, soprattutto alla luce dell’imminente ritiro israeliano dalla confinante striscia di Gaza. L’esperienza del terrorismo contro l’Egitto renderà il Cairo più disposto a imprimere un giro di vite ai sodali dei loro nemici? Probabilmente no, ma forse li incoraggerà ad essere più duri contro il contrabbando di armi dentro alla striscia di Gaza e con la possibilità che Hamas possa prendere il controllo del movimento palestinese.
Ma in Egitto è sempre stato più facile parlare di cambiamenti che attuarli. La tentazione più grande, e più pericolosa, per i leader egiziani è quella di fare qualche discorso e poi tornare alle abitudini di sempre. Se l’attentato dell’ottobre 2004 non ha innescato una ristrutturazione totale delle forze di sicurezza e di polizia egiziane, potrà avere molto più effetto quest’ultimo attentato?

(Barry Rubin, direttore Middle East Review of International Affairs, su: Jerusalem Post, 24.07.05)

Vedi anche:
Di’ Palestina e fa’ silenzio

http://israele.net/prec_website/analisi/26121rub.html