Un avvertimento alla Siria

Dopo la strage Hamas a Beer Sheva, Israele aveva annunciato che nessun terrorista avrebbe goduto di immunità.

image_374Quando l’attuale capo del Mossad, Meir Dagan, entrò in carica pose chiaramente al primo posto delle priorità dei servizi di sicurezza e di intelligence israeliani l’obiettivo di colpire il terrorismo ovunque si trovasse nel modo. Dagan è convinto che il terrorismo debba essere colpito a qualunque costo e a qualunque rischio.
Se verrà confermato che l’uccisione, domenica a Damasco, del capo Hamas Iz a Din al-Sheikh Khalil è opera di Israele, si tratterebbe della prima volta dagli anni ‘50 che Israele realizza con successo una tale operazione nel cuore stesso di un importante paese arabo in un conflitto con Israele.
L’uccisione nel 1998 di Khalid al-Wazir (Abu Jihad) avvenne in Tunisia, che è un paese lontano, con limitate capacità militari, non attivamente coinvolto nel conflitto con Israele. L’operazione che portò alla morte di Abu Jihad, allora numero due di Yasser Arafat nell’Olp e capo delle operazioni armate in Cisgiordania, venne realizzata dal Mossad insieme all’Intelligence militare, alle forze aeree, alla marina e all’unità d’élite Sayeret Matkal.
Il fallito tentativo, nel 1997, di uccidere il capo Hamas Khaled Mashal ebbe luogo ad Amman dopo la firma del trattato di pace tra Israele e Giordania.
Israele ha anche realizzato decine di operazioni mirate anti-terrorismo in Libano, comprese alcune sul tipo di quella che ha portato all’esplosione dell’auto di Khalil a Damasco. Ma il Libano è considerato quasi un “cortile” per i servizi israeliani, che un tempo disponevano in quel paese di un’estesa struttura di informatori e in cui godevano di accesso relativamente facile e rapido a molte aree.
Quella che appare, oggi, come la decisione di spingere la politica israeliana dei colpi mirati contro terroristi e mandanti fin dentro la capitale siriana sembra inaugurare una nuova fase nella guerra d’Israele contro il terrorismo. Essa ha il chiaro scopo di segnalare alla Siria che il suo territorio non gode più di tacita immunità, e che deve decidersi a espellere i capi dei gruppi terroristi, soprattutto quelli di Hamas.
Si può anche supporre che tale decisione sia stata presa tenendo conto del tacito consenso da parte degli Stati Uniti. In effetti l’amministrazione Bush ha avvertito molte volte la Siria di smetterla col suo aperto sostegno ai gruppi terroristici.
Proprio pochi giorni fa il governo di Bashir Assad aveva solennemente affermato che tutti gli uffici dei gruppi palestinesi in Siria erano stati chiusi e che i capi erano stati allontanati. Ora uno di quei capi salta per aria proprio dentro Damasco, smentendo clamorosamente le false dichiarazioni del presidente siriano.
La nuova tattica israeliana comporta tuttavia anche dei rischi. Una escalation nelle attività contro Hamas potrebbe spingere il gruppo a intensificare i suoi attacchi contro Israele o contro gli obiettivi israeliani o ebraici all’estero, ammesso e non concesso che Hamas abbia mai deciso di ridurli o contenerli.
Solo due giorni fa un esponente di spicco di Hamas, Mahmoud Zahar, aveva ribadito: “Continueremo gli attacchi suicidi contro Israele, lo lotta armata è l’unico modo per liberare la Palestina. Tutta la Palestina appartiene ai musulmani e non c’è accordo provvisorio su Cisgiordania, striscia di Gaza o Gerusalemme che possa negare il nostro diritto assoluto a tutta la Palestina”.
Dopo la duplice strage di Hamas a Be’er Sheva (31 agosto), Israele aveva annunciato che nessun mandante del terrorismo avrebbe più goduto di immunità, dovunque si trovasse.

(Da: Ha’aretz, Jerusalem Post, israele.net, 26.09.04)

Nella foto in alto: il relitto dell’auto del capo terrorista Iz a Din al-Sheikh Khalil, esplosa domenica a Damasco.