Un chiaro mandato

Finora gli israeliani non avevano mai votato sulla scelta se mantenere o meno loccupazione.

Da un articolo di Mj Rosenberg

image_1150A questo punto è chiaro a tutti che il risultato delle elezioni israeliane si è tradotto in un mandato a porre fine all’occupazione. Non completamente, ma per la maggior parte. Il ritiro sorprendentemente non violento da Gaza ha dimostrato che la maggioranza degli israeliani sostiene il ritiro territoriale e lo sgombero di insediamenti nella ricerca di un disimpegno dai palestinesi. Di questa maggioranza, una percentuale considerevole aspira non a un semplice disimpegno, ma a negoziati che conducano a un accordo di pace e alla soluzione “due popoli-due stati”.
Finora, tuttavia, gli israeliani non avevano mai votato sulla scelta se mantenere o meno l’occupazione. Ariel Sharon aveva un mandato personale a fare qualunque cosa ritenesse opportuna per garantire Israele come stato ebraico e democratico. Ehud Olmert per ora non gode di un simile mandato personale, ma ha un mandato politico preciso: tirarsi fuori dalla maggior parte della Cisgiordania. Olmert dice anche che parti della Gerusalemme araba possono essere consegnate ai palestinesi, vuoi nel contesto del suo piano unilaterale, vuoi attraverso negoziati.
La gente sapeva tutto questo quando ha votato per lui e per altri partiti non contrari al ritiro. Chi avrebbe immaginato che l’elettorato israeliano avrebbe imboccato questa direzione a meno di sei anni dal collasso dei negoziati di Camp David e dallo scoppio dell’intifada al-Aqsa che, a differenza della assai meno sanguinosa prima intifada (1987-1992), ha fatto ampio ricorso al terrorismo suicida causando migliaia di morti innocenti, israeliani e palestinesi? Sembrava più probabile che gli israeliani recepissero piuttosto la vecchia logica del “non cedere neanche un centimetro”. Ma non è accaduto. Anzi, gli israeliani stanno costruendo una barriera di sicurezza che di fatto separa Israele dai territori e, una volta scomparso Arafat, hanno essenzialmente sottoscritto un cessate-il-fuoco con alcune delle principali fazioni palestinesi.
Sorprendentemente anche l’avvento al potere di Hamas non ha eroso in modo significativo il consenso israeliano a favore del compromesso territoriale coi palestinesi, unilateralmente o per negoziati. Semplicemente gli israeliani ne hanno abbastanza dell’occupazione. Come ha detto lo stesso Olmert, Israele vuole tornare ad essere “un bel posto in cui vivere”, cosa impossibile finché resta impantanato in Cisgiordania. Come ha scritto in questi giorni il reporter di Ma’ariv Ben Caspit, “Israele ha tutto, un’umanità variegata, affascinante e spettacolare, buone infrastrutture, vicinanza all’Europa, sbocco sull’Asia, clima ideale, spiagge incantevoli… potrebbe essere un vero paradiso, o per lo meno non essere un inferno”. Ecco perché gli israeliani hanno votato come hanno votato. Vogliono poter almeno sognare un paradiso. E capiscono, come mostrano tutti i sondaggi, che non possono coltivare il sogno di un paradiso se i palestinesi vivono una realtà d’inferno. Non è che desiderino vivere coi palestinesi, ma sanno che la loro vita sarà sempre intrecciata, nel bene e nel male, con quella dei palestinesi. (…)
L’elezione di Olmert non garantisce che i giovani israeliani potranno evitare d’essere mandati e difendere dei coloni che la maggior parte degli israeliani vorrebbe riportare dentro Israele. Per quanto Olmert desideri porre fine all’occupazione, con facilità Hamas può rendere la cosa impossibile. La palla è ora nel campo di Hamas. La sua reazione all’attentato che ha ucciso quattro israeliani la settimana scorsa (sebbene non realizzato da Hamas o suoi affiliati) potrebbe indicare se Israele e Autorità Palestinese potranno forse – solo forse – raggiungere qualche forma di accomodamento, o se invece israeliani e palestinesi sono desinati a subire entrambi la ripresa di una sanguinosa violenza che, ancora una volta, non solo mieterebbe vite innocenti, ma ucciderebbe la crescita economica, il turismo e le speranze in un futuro migliore per entrambi i popoli. Siamo in un momento di equilibrio, con un nuovo governo democraticamente eletto da entrambe le parti. Chi non vede l’ora di far saltare questo equilibrio dovrebbe riflettere attentamente su cosa sta facendo, e su quali potrebbero essere le conseguenze delle sue scelte per coloro che dice di voler aiutare.

(Da: Jerusalem Post, 3.04.06)

Nella foto in alto: l’autore di questo articolo