Un dubbio: ma chi glielo fa fare, ai palestinesi, di diventare un piccolo e marginale Gabon?

Forse gli arabi palestinesi preferiscono restare le star della diplomazia mondiale come eterne vittime di Israele, con tutti gli appoggi e aiuti che ne derivano

Di Yoav J. Tenembaum

Yoav J. Tenembaum, autore di questo articolo

Yoav J. Tenembaum, autore di questo articolo

E se gli arabi palestinesi non volessero affatto un loro stato? E se l’assioma sulle aspirazioni palestinesi dato per scontato da quasi tutti fosse in realtà sbagliato?

Che gli arabi palestinesi non vogliano un loro stato è un’affermazione che può sembrare troppo paradossale. Tuttavia, vale la pena provare ad approfondirla. Gli arabi palestinesi hanno ottenuto una posizione di assoluto rilievo nella diplomazia internazionale come raramente accade a popoli senza stato. Non c’è quasi risoluzione dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite ostile a Israele che non goda di una schiacciante maggioranza di voti. Qualunque risoluzione fortemente critica verso Israele ha ottime probabilità di essere approvata nella maggior parte degli organismi internazionali. Qualsiasi incidente, anche minimo, che veda coinvolti arabi palestinesi e Israele riceve grande rilievo sulla maggior parte dei mass-media internazionali. Gli arabi palestinesi sono comunemente rappresentanti come le vittime, nel loro lungo conflitto con Israele. I capi dell’Autorità Palestinese vengono ricevuti come graditi ospiti dalla maggior parte dei leader mondiali.

Nessuna entità non-statale ha mai ricevuto tanto sostegno in così tante organizzazioni internazionali come l’Autorità Palestinese. La posizione palestinese, anche quando si tratta delle fazioni più estremiste come Hamas, gode di grande simpatia internazionale, accompagnata da sistematiche condanne delle politiche israeliane. Qualunque tentativo da parte di Israele di difendersi contro gli attacchi violenti perpetrati contro la sua popolazione civile non fa che accrescere l’immagine degli arabi palestinesi come vittime.

"Questa strada conduce ad un villaggio palestinese. L'ingresso per i cittadini israeliani è pericoloso"

“Questa strada conduce ad un villaggio palestinese. L’ingresso per i cittadini israeliani è pericoloso”

La causa palestinese ha goduto di un grado di attenzione e sostegno senza pari. Dunque l’ipotesi sarebbe che gli arabi palestinesi preferiscano di gran lunga continuare ad essere le star internazionali, nella parte delle vittime eterne che possono sempre incolpare Israele per tutti i loro problemi, veri e immaginari. Poniamoci la domanda: perché mai la dirigenza palestinese, sia in Cisgiordania che nella striscia di Gaza, dovrebbe desiderare di porre fine alla situazione attuale? Perché mai dovrebbe desiderare di istituire uno stato? Fondare uno stato significa assumersi grosse responsabilità. Significa anche che le persone che vivono in quello stato non sono più considerate dal mondo come vittime eterne di un potere esterno. C’è un limite alla quantità di colpa che può essere scaricata su un soggetto esterno per i problemi e i guai che emergono al proprio interno.

Una volta fondato uno stato sovrano, l’aiuto economico e il sostegno diplomatico esterni sarebbero legati più alla reale performance di governo dei suoi dirigenti che non alla loro capacità di diffondere di se stessi l’immagine di deboli vittime.

Una volta fondato uno stato sovrano, la causa palestinese verrebbe archiviata dalla diplomazia internazionale. Lo stato palestinese sarebbe solo uno dei tanti stati del mondo. Ogni suo successo dipenderebbe dei suoi sforzi, e non della pietà e benevolenza che è capace di suscitare nell’opinione pubblica mondiale.

Uno stato palestinese potrebbe essere solo un altro Gabon (con tutto il rispetto per il Gabon). Perché mai i palestinesi, ormai abituati ad essere i beniamini di tutto il mondo, dovrebbero desiderare di ridursi soltanto a un Gabon qualunque? L’agenda palestinese sulla scena internazionale potrebbe ottenere al massimo l’attenzione che viene accordata a quella di un paese come il Guatemala (con tutto il rispetto per il Guatemala). Perché mai i palestinesi, abituati a vedere la loro causa costantemente sulla ribalta della diplomazia internazionale, dovrebbero desiderare che la loro agenda scomparisse al livello di un qualunque Guatemala?

Quando Israele ritirò tutti i suoi civili e le sue forze armate dalla striscia di Gaza, nell’estate 2005, i palestinesi avrebbero potuto creare un’entità statuale che avrebbe goduto di ampissimi aiuti e appoggi esterni. Gaza avrebbe potuto diventare un modello di sviluppo economico e di progresso sociale per il futuro stato palestinese. Non è successo. Gaza è stata trasformata in una grande base terroristica. All’interno del campo palestinese si è consumata una sanguinosa campagna di Hamas contro Fatah che ha portato Hamas a stabilire una dittatura islamista. Conflittualità e odio hanno avuto la meglio su pace e progresso. Per Hamas, l’obiettivo di eliminare Israele dalla faccia della terra è molto più importante che istituire un’entità modello nella strada della piena sovranità. La Cisgiordania, che è ancora governata dall’Autorità Palestinese, non ha avuto un destino simile a quello di Gaza grazie principalmente alla presenza delle forze di sicurezza israeliane. Altrimenti la dirigenza dell’Autorità Palestinese sarebbe già stata brutalmente eliminata, come è accaduto ai loro compagni di Fatah a Gaza.

Probabilmente sarebbe potuto nascere uno stato palestinese indipendente in Cisgiordania e Gaza se gli arabi palestinesi fossero stati disposti ad accettare un compromesso equo ed equilibrato con Israele. L’allora presidente egiziano Anwar Sadat e l’allora re Hussein di Giordania hanno dimostrato in modo chiaro e inequivocabile che l’opinione pubblica israeliana, quando si convince della sincera volontà dei suoi nemici di vivere in pace, improvvisamente sostiene con forza e con entusiasmo compromessi che fino a quel momento parevano inaccettabili.

Ne deriva che, probabilmente, il vero ostacolo a un accordo sta essenzialmente nel rifiuto degli arabi palestinesi di avere un loro stato, e non solo nel loro rifiuto di vivere fianco a fianco con uno stato ebraico. Contrariamente a quanto ci hanno fatto credere, gli arabi palestinesi probabilmente preferiscono restare sotto i riflettori internazionali come star della scena diplomatica, dipingendosi come le vittime permanenti dell’oppressione israeliana e godendo in questo modo di appoggi e aiuti che non hanno precedenti né eguali in tutto il mondo. Non vogliono fare il salto verso l’ignoto. Non desiderano assumersi la responsabilità della piena sovranità, con tutte le difficoltà che essa comporta.

Forse, dopo tutto, gli arabi palestinesi hanno tutto l’interesse a restare la cause célèbre della diplomazia internazionale, anziché correre il rischio di diventare uno staterello marginale, magari sull’orlo del fallimento.

(Da: Jerusalem Post, 24.2.16)