Un incontro sulla Collina del Cattivo Consiglio, settant’anni fa

Quando Ben Gurion si batteva per dare una patria agli ebrei in fuga dalla Germania nazista. E il disincantato occidentale di turno lo prendeva per un visionario

Da un articolo di Yehuda Avner

image_1910A Gerusalemme sud-orientale c’è un’altura chiamata la Collina del Cattivo Consiglio, e sulla sua cima piatta c’è un sito chiamato Campo di Sangue perché sarebbe stato acquistato con i 30 denari che Giuda avrebbe ricevuto per tradire Gesù. Qui, in questo luogo, dove il panorama di Gerusalemme è al suo massimo splendore, si trova il Government House, un edificio coloniale costruito in un’epoca in cui si presumeva che l’apparenza stessa di una residenza di un rappresentante della Corona Britannica dovesse proclamare la maestà del trono (oggi funziona da quartier generale Onu e confina con il quartiere di Talpiot Est).
Durante la festa di Succot 1937 vi era insediato l’alto commissario Sir Arthur Grenfell Wauchope, un inglese moderato, solido, ragionevole e assolutamente flemmatico che, pur governando ufficialmente il paese a nome della Società delle Nazioni per la creazione di una patria nazionale ebraica, in realtà lo governava come una colonia dell’Impero. E, così facendo, si trovò ad affrontare un crescente antagonismo arabo che aumentava in proporzione diretta all’incremento dell’immigrazione ebraica.
A quel tempo gli ebrei stavano disperatamente scappando dalla Germania di Hitler e sir Arthur, avendo tollerato un flusso notevole di immigrazione, scoprì che si trovava di fronte un problema sempre più difficile.
Whitehall, fortemente preoccupata per la situazione, decise di risolvere la questione palestinese una volta per tutte, costituendo una commissione d’inchiesta reale capeggiata da Lord Peel. Le sue indagini scatenarono una ridda di problemi, costringendo David Ben Gurion, allora leader politico della comunità ebraica nella Palestina Madataria, a sollecitare un incontro urgente con Sir Arthur Wauchope.
“Happy Succot”, sorrise l’Alto Commissario da dietro la solida protezione della sua scrivania di quercia nel grande studio, quando Ben Gurion venne fatto entrare. “Ovunque io vada vedo una quantità di piccole capanne graziose. Si accomodi. Ah, ecco il tè”.
Era entrato un attendente che portava un vassoio pieno di argento e porcellana. “Versa, Reggie”, disse cordialmene l’Alto Commissario. E poi, “Ha conosciuto il mio attendente, Reggie? Sa come l’ho trovato? Ero in Mesopotamia e un maledetto brigante mi ha ferito con un coltello, proprio sulle natiche. Sono caduto tra le braccia di Reggie ed è con me da allora. Vero, Reggie?”
“Sì signore”, disse l’austero attendente solennemente, versando il tè con estrema attenzione.
Seduti l’uno di fronte all’altro con in mezzo la grande estensione dell’enorme scrivania, i due erano l’immagine stessa del contrasto: Ben Gurion, tozzo, bellicoso, con sopracciglia cespugliose e ciuffi di capelli bianchi, indossava una camicia kaki col collo aperto e pantaloni di cotone scuro, sgualciti e informi. Sir Arthur, alto e sottile, con un viso lungo e grinzoso e capelli grigi pettinati all’indietro con la riga in mezzo, secondo la moda edoardiana, indossava un’immacolata giacca Principe di Galles in lino grigio perla con panciotto in tinta.
“Come posso aiutarla?”, cominciò Wauchope, sapendo benissimo che stava per intraprendere un difficile ballo sulle uova nel tentativo di placare sia gli ebrei che gli arabi.
“Mi può aiutare aumentando la quota dell’immigrazione ebraica dalla Germania nazista”, rispose Ben Gurion gravemente. “La loro situazione è intollerabile. Tutti vogliono mandare via gli ebrei e nessuno li vuole accogliere”.
L’espressione dell’Alto Commissario si fece seria. “Il governo di Sua Maestà è consapevole del loro problema disse – Nel 1933, quando Herr Hitler giunse al potere, c’erano 234.000 ebrei in questo paese. Ora, nel settembre 1937, ce ne sono – aprì un fascicolo e scorse col dito una colonna – 431.000. E’ quasi il doppio, e penso che non sia affatto male. A dire la verità, caro mio – sorrise soddisfatto – la Palestina si sta riempiendo così in fretta che presto non ci sarà più posto. Direi, anzi, che abbiamo adempito al nostro mandato, non crede? La patria nazionale ebraica esiste già. Certo non ci potete chiedere di fare di più”.
Il leader sionista gli lanciò uno sguardo incredulo e replicò: “Questo, Sir Arthur, è ridicolo. Non esiste un termine alla costruzione di una patria nazionale. E’ un lavoro infinito. Ogni immigrante porta nella sua valigia lavoro per altri 10”.
“Beh, mi dispiace che la prenda così – replicò l’Alto Commissario – perché devo dirle in tutta sincerità che il mio ministro degli esteri, Anthony Eden, mi ha telegrafato dicendomi che avevo esagerato un po’”.
“Esagerato?”, disse Ben Gurion a labbra strette.
“Oh, sì. Solo in quest’ultimo anno abbiamo lasciato entrare 62.000 ebrei dalla Germania. E il punto è che lei mi farebbe un grosso favore nei confronti dei miei capi a Londra se accettasse di interrompere il flusso per un po’. Il sionismo guadagnerebbe il favore del governo di Sua Maestà se la sua gente prendesse l’iniziativa e offrisse di sospendere l’immigrazione spontaneamente, solo per un po’”.
“Di che diavolo sta parlando?”. Ben Gurion sedeva sul bordo della sedia, con la faccia contratta dalla rabbia.
“Intendo dire che se voi sospendeste per un poco, gli arabi metterebbero fine alle violenze, il Parlamento smetterebbe di fare domande difficili e io sarei personalmente suo debitore. Che ne dice?”.
“Dico che è ridicolo!”, esplose Ben Gurion.
L’espressione di Sir Arthur Wauchope divenne di profondo disappunto. “Veramente, è il massimo che può fare? Intendo dire, io sono qui a fare una ragionevolissima proposta per una sospensione temporanea dell’immigrazione, e lei mi respinge seccamente, senza nemmeno fare il gesto di rifletterci. Tutto quello che chiedo è una moratoria, nient’altro”.
“E io le dico che non è possibile alcuna moratoria del genere” – sbraitò Ben Gurion – Un paese è forse una cosa artificiale di cui si può arrestare la crescita con un decreto? Non è evidente che arrestare l’immigrazione significa una grave depressione economica? Non è evidente che gli ebrei tedeschi sono in grossi guai? E come si farà a disarmare gli arabi durante questa moratoria? E come si potrà essere sicuri che non ci siano più sommosse? E come si potranno educare gli arabi a una convivenza futura in modo che si possa riprendere l’immigrazione? L’ idea è ridicola. E’ fuori discussione”.
Sir Arthur rispose, con l’espressione di un innocente ferito: “Non c’è bisogno di essere caustici, vecchio mio – disse – tutto quello che propongo è un attimo di respiro”.
In tono leggermente meno pungente, Ben Gurion continuò: “Sir Arthur, riconosciamo che lei ha fatto del suo meglio. Ma il suo governo deve capire: il sionismo è il movimento di liberazione nazionale del popolo ebraico. Non lo si può accendere e spegnere così. Il sionismo è la rivoluzione della storia ebraica. E una rivoluzione è come andare in bicicletta: se ti fermi, cadi. Noi non possiamo fermarci. Non possiamo cadere”.
“Io non le sto dicendo di cadere, vecchio mio. Sto solo suggerendole di togliere i piedi dai pedali per un po’, tutto lì”.
“E io le sto dicendo che la situazione degli ebrei in Germania è disperata. Devono andarsene. La situazione degli ebrei in Polonia non è meno grave. Sono vessati e oppressi da un secolo. Nessuno di loro capirebbe se accettassimo di bloccare l’immigrazione a loro spese”.
“Forse capirebbero se questo fermasse il bagno di sangue qui in Palestina”.
Ben Gurion alzò il mento, incontrò lo sguardo glaciale del rappresentante della Corona Britannica e, con una passione senza freni, prese a parlare a raffica: “Quello che lei sta dicendo, signore, è intollerabile. Il suo atteggiamento è un invito al disastro. Lei non può disporre della Palestina come se fosse sua. Non è una colonia britannica. Non fa parte dell’Impero Britannico. Voi siete in Palestina grazie alla Società delle Nazioni, che vi ha dato il mandato di mettere in atto la Dichiarazione Balfour. Quella dichiarazione dice che qui dovete costituire una patria nazionale per il popolo ebraico. Il vostro compito è di mettere in atto quella dichiarazione. Se il vostro governo viola quell’impegno, non avrete più nessun diritto morale a governare questa terra. L’immigrazione ebraica è il cuore e lo spirito della Dichiarazione Balfour”.
“Mi dispiace che la prenda così – disse l’Alto Commissario freddamente – C’è un limite a quanti immigrati questo paese può accogliere, e stiamo rapidamente raggiungendo quel limite”.
Sbalordito, Ben Gurion esclamò: “E io le dico che quando avremo finito di costruire il paese ci sarà posto per milioni di abitanti”.
“Milioni?”
“Sì, milioni”.
“Quanti milioni?”
“Cinque, sei, sette”.
“Ebrei?”
“Sì, ebrei”.
“E quanti arabi?”
“A quel punto, circa due milioni, suppongo”.
“Quindi lei prevede un’epoca in cui questo paese avrà una popolazione di milioni di abitanti?”
“Sì. Permetteteci di portare la nostra gente a migliaia e i nostri pionieri trasformeranno questo paese nella porta per il paradiso”.
L’Alto Commissario Wauchope scrutò Ben Gurion con uno sguardo cinico, e disse scettico: “Sono consapevole che i vostri pionieri sono un vero Inno alla Natura, ma non potrei proprio chiamare questa terra una porta per il paradiso. Tanto per cominciare non c’è acqua a sufficienza ed è per metà deserto”.
“Vero, ma mi lasci dire che cosa faremo con questo mezzo deserto”.
Ben Gurion si sporse sulla scrivania, le mani chiuse a pugno, il petto in fuori, il gli occhi lampeggianti e la voce piena di passione. “L’ origine della parola Paradiso, Sir Arthur, è la parola ebraica pardess: un frutteto innaffiato. E i nostri pionieri riusciranno a creare un paradiso da questo deserto”.
Il leader sionista si appoggiò soddisfatto allo schienale della sedia e il funzionario coloniale inglese con aria scettica cinguettò: “Non vorrei certo mancare di rispetto, ma l’iperbole va bene per i discorsi, non per la politica. A meno che, naturalmente, non si creda ai miracoli”.
David Ben Gurion si alzò per andarsene. Gravemente disse: “Alto Commissario, ci sono due commenti che desidero fare prima di andarmene”.
“E quali sono?”
“Uno è che vi combatteremo con le unghie e coi denti sul tema dell’immigrazione. Per noi è questione di vita o di morte”.
“E l’altro?”
Con un improvviso scintillio negli occhi, il Vecchio disse: “Quello che lei ha detto sul credere ai miracoli: aveva ragione. In questo paese se non si crede ai miracoli non si è realisti”.

(Da: Jerusalem Post, 30.09.07)