Un lento terremoto politico

Avviata in M.O. la disintegrazione delle strutture statuali ereditate dal colonialismo

Da un articolo di Moti Ashkenazi

image_1853Non avverrà domani e forse nemmeno fra un anno, ma il Medio Oriente, che per decenni è stata la regione globalmente più stabile in termini di stabilità dei regimi, sta andando incontro a una serie di scossoni e cambiamenti che gradualmente ne muteranno l’aspetto. Stiamo assistendo all’inizio di un percorso verso un Medio Oriente assai diverso: si è avviato il processo di disintegrazione della struttura nazionale che venne plasmata dal colonialismo britannico e francese all’indomani della prima guerra mondiale.
Si levano forze che fino a poco tempo fa erano sotto lo stretto controllo di dittatori. L’Iraq è solo il primo strato, la prima arena dove entrano in collisione forze affrancate da un intervento esterno: forze che sono state sciolte dal giogo di un regime repressivo e autoritario, le qualità che finora hanno contraddistinto un po’ tutto il mondo arabo.
Chi osserva seriamente l’Iraq può vedere come il massacro reciproco e sfrenato stia conducendo a una massiccia “mobilità etnica” che gradualmente sposta ciascuno dei gruppi dominanti verso le aree sotto il rispettivo controllo, come erano molto tempo fa. I contrasti fra sciiti, sunniti e curdi, sottoforma di uccisioni reciproche, si verificano soprattutto nelle zone dove, nel corso delle ultime generazioni, le popolazioni si sono intrecciate. L’Iraq si sta gradualmente trasformando in una sorta di confederazione, anche se apparentemente mantiene un governo centrale.
Il livello di violenza cui assistiamo nel corso di questo processo non è insolito né nuovo, in questa regione. Quello che sta andando in pezzi non è la cultura condivisa, quanto piuttosto la struttura politica che venne imposta alla regione dall’esterno ad opera di una cultura politica e diplomatica differente.
È un processo di cambiamento irreversibile, una tendenza che gradualmente interesserà la stabilità di altri paesi mediorientali contagiandoli con lo stesso “virus”, giacché la struttura che si è mantenuta in Iraq fino all’abbattimento di Saddam Hussein era più o meno la stessa che caratterizza tutti gli altri paesi della regione, e cioè: rivalità etniche, potere nelle mani di un gruppo minoritario mediante la repressione degli altri gruppi, collegamento fra establishment militare ed establishment politico garantito dalla nomina di fedelissimi al regime, enorme povertà e arretratezza a fronte di enormi spese nell’apparato difensivo, stretta presa del governo sull’economia e, non meno importante, una classe media troppo esigua per costituire la base di un regime democratico.
Il “virus” si diffonde più rapidamente in Libano dove gli sciiti, aiutati dalla Siria, minacciano lo stile di vita occidentalizzante di altri gruppi etnici. Ma la Siria, con il suo sforzo di fagocitare il Libano e il suo coinvolgimento indiretto in Iraq, sta di fatto accelerando la diffusione del “virus” anche sul suo stesso territorio. Con le sue proprie mani, la Siria sta promuovendo un modello fatto di separatismo e minaccia interna da parte di gruppi di maggioranza che si sentono vittime di gruppi minoritari. La maggioranza sunnita siriana, estremisti islamisti compresi, sta guardando e studiando con attenzione ciò che accade sia nell’Iraq centrale che in Libano. Una rivolta sunnita potrebbe spingere anche la Siria verso una struttura confederale.
Nemmeno l’Iran sarà immune da rivendicazioni d’autonomia di gruppi minoranza e, successivamente, da cambiamenti nella sua struttura nazionale verso una trasformazione in senso confederale. Il che appare particolarmente vero se teniamo conto del fatto che anche in Iran le minoranze curda e azera osservano da vicino l’eversione in Iraq, e del fatto che una pare significativa della gioventù iraniana tende ad adottare valori della cultura occidentale. La radicalizzazione attualmente in corso a Teheran potrebbe in realtà fare da catalizzatore per un cambiamento strutturale in un futuro non troppo lontano.
Per quanto riguarda Israele, il processo di separatismo etnico, da una parte, e la creazione di strutture collettive sopra-nazionali, dall’altra, possono dare vita a un ambiente assai più consono all’accettazione di uno stato ebraico come parte integrante di una regione a maggioranza araba. Non si tratta di una fugace “finestra di opportunità”, quanto piuttosto di un processo strutturale. In Medio Oriente, come sempre, ci vuole pazienza ed equilibrio.

(Da: YnetNews, 30.09.07)