Un sondaggio preoccupante

Da affiancare ad una attenta analisi delle priorità di Abu Mazen

Da un articolo di Barry Rubin

image_1260E’ estremamente importante procedere ad un accurato ed attento esame della nuova strategia di Mahmoud Abbas (Abu Mazen). Sebbene sotto alcuni aspetti rappresenti un passo avanti, essa è anche formulata con quella doppiezza che i gruppi politici palestinesi usano tradizionalmente per celare il loro costante obiettivo della vittoria totale con eliminazione di Israele. Inoltre, è assai improbabile che da essa esca qualcosa di positivo.
La proposta (il cosiddetto “documento dei detenuti”) presenta almeno quattro falle importanti. Primo, il suo proposito principale non è quello di riconoscere Israele, bensì quello di avere la meglio su Hamas in termini di politica interna palestinese. L’idea di Abu Mazen è che il referendum vada avanti solo se Hamas non arriva a un accordo con Fatah. L’altro obiettivo principale, naturalmente, è promuovere l’unità palestinese e guadagnare in termini di immagine internazionale.
Secondo, il documento lascia intenzionalmente aperta l’idea che ottenere uno stato indipendente in Cisgiordania, striscia di Gaza e Gerusalemme est sia solo la prima fase di un processo che punta alla cancellazione di Israele dalla carta geografica.
Terzo, la priorità data alla richiesta del “diritto al ritorno” come condizione di eguale importanza a quella dell’ottenimento dello stato conferma il punto precedente. Appellarsi alla risoluzione 194 dell’Assemblea Generale come base per questa rivendicazione (una risoluzione vecchia di mezzo secolo, non vincolante, a suo tempo respinta dagli stessi rappresentanti arabi e palestinesi, e che aveva lo scopo di istituire una Commissione di Riconciliazione ormai da tempo superata e dimenticata) dovrebbe solo far sorridere. Ma l’intenzione di “invadere” Israele di palestinesi punta concretamente alla sua liquidazione. Il problema non è solo che questa idea non sarà mai accettata da Israele. Il problema è anche che essa continua a dire ai palestinesi che il loro obiettivo è perseguire molto di più di una patria accanto a Israele. Stando alle parole di Abu Mazen, la risoluzione 194 (diritto al ritorno) “è più importante anche della 242”, cioè della risoluzione del Consiglio di Sicurezza che – non bisogna dimenticarlo – l’Olp respinse a suo tempo perché contemplava modifiche di confine. E infatti Abu Mazen rifiuta qualunque cosa che sia meno dei territori, fino all’ultimo centimetro, che erano controllati da Egitto e Giordania prima del 1967.
Quarto, il documento approva il terrorismo, anche se soltanto nei territori conquistati da Israele nel 1967. L’idea che l’Autorità Palestinese auspichi esplicitamente l’uso della violenza (anche se, naturalmente, nella pratica lo fa da almeno una dozzina di anni) esclude qualunque possibilità che essa possa onorare la Road Map o essere un interlocutore per la pace. E quand’anche passasse il referendum, le forze di sicurezza dell’Autorità Palestinese non muoverebbero un dito per fermare gli attacchi terroristici contro Israele.
Ma c’è da aggiungere, infine, che molto probabilmente il referendum non si terrà affatto, anche se Mahmoud Abbas (Abu Mazen) dice d’aver fissato la data con un “decreto presidenziale”. Giacché è solo l’Autorità Palestinese, controllata da Hamas, quella che potrebbe organizzarlo, e certamente non lo vorrà fare.
L’aspetto positivo, che comunque non va esagerato, è che questo documento potrebbe avviare a lungo termine un processo di ripensamento dei palestinesi verso l’accettazione di una autentica soluzione “due popoli-due stati”. Ma c’è anche da dire che esso contiene molto meno del minimo che sarebbe necessario per avere un effetto importante in questa direzione. Entrambi gli aspetti si possono vedere nel modo in cui Abu Mazen ha spiegato il suo punto di vista: “Vi è un consenso generale nazionale – ha detto – da Hamas al partito comunista, secondo cui noi vogliamo uno stato palestinese nei confini del ’67… Questo è ciò che possiamo avere in questo momento, questo è ciò che ci viene offerto in questo momento, e non stiamo parlano di sogni nebulosi… Vogliamo uno stato indipendente con continuità territoriale, e in cui sia possibile vivere, all’interno dei confini del ’67. Vogliamo la fine dell’occupazione”. Si tratta di una buona formulazione pragmatica (anche se sappiamo che cosa vorrebbero fare, con quello stato, Hamas e gran parte di Fatah); una formulazione che si colloca lungo la linea: prendiamo qualcosa di concreto anziché combattere all’infinito per avere tutto. Va dato atto ad Abu Mazen d’aver capito questa realtà e di averlo detto. Tuttavia le altre fazioni coinvolte vanificano questo messaggio, compreso il fatto che gran parte della dirigenza di Fatah continua ad essere sempre più estremista e non poi tanto diversa da Hamas, a parte la sua opposizione all’islamizzazione della società palestinese.
Forse il documento è il massimo a cui Abu Mazen può arrivare in questo momento. Ma se nell’anno 2006 i capi palestinesi non possono ancora andare oltre questo genere di linguaggio, siamo di fronte a un segnale in sé piuttosto rovinoso in termini di capacità di fare la pace dei palestinesi, che hanno appena votato a larga maggioranza per Hamas e per i duri di Fatah.
Una riprova interessante di tutto questo è un sondaggio condotto dall’Università Bir Zeit. Alcuni mass-media hanno sottolineato il dato che il 77% dei palestinesi è a favore del documento. Ma la cosa cruciale da chiedere era che cosa dice il documento secondo loro. Il testo della domanda non si preoccupava di specificarlo. Certamente gli intervistati non sembrano vedere nel documento un modo per riconoscere Israele in cambio di una definitiva soluzione due-stati. A questo proposito il quesito più indicativo era quello che chiedeva agli intervistati di scegliere tra Hamas che rifiuta di riconoscere Israele e Hamas che lo riconosce e in cambio riceve “finanziamenti dalla comunità internazionale”. Questa era l’unica domanda del sondaggio che affrontava direttamente la questione del riconoscimento. E va notato che era posta in modo tale da massimizzare le risposte sulla seconda opzione, cioè quella che prospettava fondi a vantaggio degli intervistati. Ebbene, quasi due terzi degli intervistati si è opposto a che Hamas riconosca Israele (61% contro 31%). In altre parole, a quanto pare una grande maggioranza dei palestinesi sostiene il piano – che essi vedono come un modo per promuovere l’unità nazionale e porre fine al caos degli scontri fra Hamas e Fatah – ma nello stesso tempo si oppone al riconoscimento di Israele o anche ad una autentica soluzione due-stati.
Anche altre domande, generalmente non riportate dai mass-media, mostrano un forte sostegno per Hamas. Sebbene il 63% dica d’aver visto declinare il proprio reddito famigliare, il gradimento dell’operato del primo ministro palestinese Ismail Haniyeh risulta più alto di quello di Abu Mazen (57% contro 48%). E sebbene un numero circa uguale di intervistati dica che voterebbe per Hamas e per Fatah, il 21,5% (per lo più gente che probabilmente nel gennaio scorso ha votato per Hamas) si dichiara indeciso. Se ne deduce che Hamas ha perso un po’ di popolarità, ma certo non quanta molti si aspettavano.
Abu Mazen vuole consolidare il sostegno popolare a Fatah, fermare gli scontri con Hamas, costringere Hamas di nuovo nella parte del socio di minoranza di Fatah, guadagnare più appoggio internazionale attraverso una compagna di public relations e porre fine alle sanzioni internazionali contro l’Autorità Palestinese. In realtà, quello di fare la pace con Israele è un obiettivo molto basso in questa scala di priorità, un obiettivo ostacolato da tutte le altre considerazioni di politica interna che per lui hanno la priorità.

(Da: Jerusalem Post, 12.06.06)

Nella foto in alto: incontro mercoledì a Gaza fra il primo ministro palestinese Ismail Haniyeh e il presidente dell’Autorità Palestinese Mahmoud Abbas (Abu Mazen)