Una cattiva legge contro un pessimo boicottaggio

Inalienabile il diritto di sostenere in modo pacifico le proprie idee, anche quelle clamorosamente assurde.

Editoriale del Jerusalem Post

image_3182Il parlamentare israeliano Ze’ev Elkin aveva ragione, nel marzo scorso, quando– dopo che la Knesset in sessione plenaria aveva approvato in prima lettura la sua proposta di legge “antiboicottaggio” appoggiata dal governo – sottolineava l’“assurdità” di cittadini israeliani che sostengono il movimento per il boicottaggio, il disinvestimento e le sanzioni contro Israele.
Completamente scollegati dalla stragrande maggioranza della società israeliana ed evidentemente del tutto all’oscuro dei tanti tentativi fatti da una serie di successivi governi israeliani, nel corso degli ultimi tre decenni, per arrivare a un accordo di pace con i palestinesi, questi attivisti pro-boicottaggio insistono a voler utilizzare la pressione economica per costringere Israele a cedere alle pretese palestinesi. SI comportano come se non ci fosse mai stata un’ondata di terrorismo palestinese contro i civili israeliani all’indomani degli Accordi di Oslo, e una seconda sanguinosissima intifada con tanto di attentati suicidi orchestrati da Yasser Arafat e attuati da Hamas e da Jihad Islamica in risposta alle vaste concessioni offerte dall’allora primo ministro Ehud Barak a Camp David nell’estate 2000; come se non ci fosse stato uno sbarramento di lanci di obici di mortaio e razzi Kassam promosso da Hamas dopo il ritiro israeliano dalla striscia di Gaza dell’estate 2005, e un’elezione palestinese nel 2006 che ha portato al potere Hamas, cioè un’organizzazione terroristica la cui Carta costitutiva include il falso antisemita dei Protocolli dei Savi di Sion, e una recente riconciliazione fra questa organizzazione islamista e il “moderato” Fatah.
Gli israeliani fautori del boicottaggio si aspettano che il governo ponga fine all’”occupazione” semplicemente arrendendosi a tutte le pretese palestinesi – compresa evidentemente quella del cosiddetto “diritto al ritorno” di milioni di “profughi” palestinesi (e loro discendenti) per invadere Israele – e cedendo tutti i territori al di là delle linee armistiziali del 1949 dopo averli resi “judenrein”, epurati dalla presenza di più di mezzo milione di cittadini israeliani, per creare un 22esimo stato arabo che nel prossimo futuro potrà facilmente cadere sotto il controllo di Hamas o di qualche altra organizzazione antisemita (con solidi appoggi stranieri) votata alla distruzione dello stato ebraico.
Secondo questo contorto modo di ragionare, Israele dovrebbe essere anche costretto – mediante il boicottaggio – a cedere completamente le alture del Golan alla Siria, un paese guidato da un autocrate spietato che sta massacrando la sua stessa popolazione e che ha sviluppato stretti legami con i potenti e violenti fondamentalisti sciiti libanesi (Hezbollah) e con l’Iran.
La legge proposta da Elkin punta ad eliminare a questa assurdità. Una volta approvata, dà facoltà a qualunque persona, istituzione o impresa israeliana, presa di mira da forme di boicottaggio promosse da concittadini israeliani, di perseguire in tribunale il risarcimento dei danni subiti come conseguenza non solo del boicottaggio in sé, ma anche degli appelli al boicottaggio. Ad esempio un panificio della zona industriale Barkan, in Samaria, o una cantina sul Golan o un istituto accademico ad Ariel potrebbero citare in giudizio cittadini israeliani che hanno invocato il loro boicottaggio o che hanno adottato misure per organizzarlo. E il ministro delle finanze avrà facoltà di impedire a imprese che boicottano Israele di partecipare a gare d’appalto pubbliche.
Pur solidarizzando con l’impulso a difesa dello stato ebraico che anima Elkin e altri parlamentari, dobbiamo tuttavia esprimere il nostro disaccordo con questo disegno di legge. La società civile ha il diritto inalienabile di organizzarsi in modo pacifico e di usare il proprio potere d’acquisto e la propria libertà d’associazione per promuovere i suoi obiettivi politici, sia che si tratti di proteste popolari contro i prezzi troppo alti del formaggio, dell’attivismo di ultraortodossi contro la “profanazione” del Sabato, dell’appello di alcuni rabbini al boicottaggio di potenziali acquirenti di case arabe in quartieri ebraici, o di oppositori di estrema sinistra contro la politica del governo in fatto di insediamenti in Giudea e Samaria (Cisgiordania). Il disegno di legge di Elkin limita la libertà di espressione nella società israeliana censurando in modo selettivo solo coloro che ritengono sinceramente – e non importa quanto sia fuorviata tale loro convinzione – che è nel migliore interesse di Israele porre fine all’“occupazione” senza badare in alcun modo ai rischi e ai sacrifici che comporta il farlo assecondando tutte le pretese palestinesi. I sostenitori israeliani del boicottaggio hanno per lo meno l’attenuante, rispetto a quelli che lo sostengono dall’estero, di essere disposti a pagare di persona le conseguenze delle loro scelte, che renderebbero Israele molto più vulnerabile e indifeso.
Anche nel merito, il disegno di legge appare problematico. A differenza della legge sulla “Nakba” che interdice l’uso dei denari del contribuente per commemorare come una “tragedia” la nascita dello stato di Israele ma non impedisce commemorazioni finanziate da privati, la legge Elkin vieta ai cittadini e alle imprese israeliane di spendere o non spendere il proprio denaro come meglio credono, e di associarsi o non associarsi con chi vogliono. Non è con una legge che inficia la libertà di espressione che si contrastano i sostenitori israeliani del boicottaggio. Le iniziative pro-boicottaggio devono avere conquistarsi il consenso nel libero mercato delle idee. E a giudicare del minuscolo sostegno che ricevono in Israele, si può star tranquilli che la ragionevolezza continuerà a prevalere. Contrastare il boicottaggio contro gli israeliani che vivono in Giudea, Samaria e a Gerusalemme soffocando la voce di chi lo sostiene rischia di sortire il risultato opposto, regalando ai sostenitori del boicottaggio l’unica causa autenticamente valida che possono sostenere: quella della libertà di espressione.

(Da: Jerusalem Post, 12.7.11)

Nella foto in alto: esponenti del gruppo ultraortodosso fondamentalista ebraico Neturei Karta favorevoli al boicottaggio contro Israele