Una cultura della violenza

Le necessità di sicurezza d’Israele vanno misurate sulla realtà del Medio Oriente, non sui pii desideri

di Yoram Ettinger

image_2728Galal Nasser, eminente editorialista del settimanale egiziano al-Ahram, ha scritto di recente: “La violenza è diventata la norma nella vita araba, sia a livello ufficiale che non ufficiale… Vi sono molti tipi di violenza che imperversano sulla scena politica dei paesi arabi, rendendo le relazioni fra di loro instabili e imprevedibili. Alcuni analisti – continua Nasser – ipotizzano una vera e propria cultura della violenza e sostengono che le sue radici sono incardinate nei testi religiosi che invocano la jihad, l’esortazione affinché il fedele conduca una battaglia perpetua in nome della virtù e contro il peccato… Nemmeno il concetto di buon vicinato sembra contare granché. Esistono numerosi esempi di rapporti conflittuali fra paesi arabi. Attualmente vi sono tensioni fra Marocco e Algeria, Libia e Tunisia, Giordania e Palestina, Qatar e Arabia Saudita, Siria e Iraq”.
Ecco perché un ritiro israeliano dai rilievi montuosi di Giudea e Samaria (Cisgiordania) – che costituiscono il più efficace ostacolo al movimento di carri armati nella regione, e che sovrastano Gerusalemme, Tel Aviv e la stretta striscia di terra israeliana larga solo 12-24 km fra la linea armistiziale e il mar Mediterraneo – significherebbe ignorare 1.400 anni di violenze inter-arabe intense, mutevoli e imprevedibili, e le loro implicazioni circa le necessità per la sicurezza dell’“infedele” stato ebraico.
“Lo Stato [nei paesi arabi] – continua l’articolo – è implicato nella generazione, nell’esportazione e nell’esplosione delle violenze, rafforzando alcuni e istigando altri, stringendo accordi e manovrando le parti in gioco, il tutto al solo scopo di conservare al comando l’élite dominante… Le élite al comando si battono con le unghie e coi denti per restare in carica. Qualunque sfida alla loro autorità è vista come un atto di guerra. E intanto l’opposizione si ritrova stretta in una tenaglia senza scampo: andare incontro a una lenta e dolorosa agonia oppure optare per il suicidio, in uno scontro frontale senza speranze”.
Dal canto suo, il mese scorso il dottor Marwan Kabalan ha scritto su Persian Gulf News: “Sessant’anni fa, subito dopo la partenza delle potenze coloniali, il mondo arabo coltivava sogni grandi e ambiziosi: unità, sviluppo, eguaglianza, prosperità, e un ragionevole grado di indipendenza economica. Sei decenni più tardi si è tentati di chiedersi se il mondo arabo abbia realmente realizzato uno qualunque di quegli obiettivi e, prima di tutto, se quegli obiettivi fossero realistici e raggiungibili… I arabi sono rimasti aggrappati al potere nella più assoluta noncuranza dei veri interessi delle loro popolazioni… Il risultato è stato un fallimento totale dell’opera statale sotto ogni aspetto… e un conseguente aumento del ricorso alla forza per mantenere ordine e controllo… Una conseguenza di queste politiche è stata l’indebolimento dell’identità nazionale e il revival delle tensioni comunitarie. Ecco perché oggi in Iraq e in Libano e in molti altri paesi arabi ci si identifica sempre più come sunniti, sciiti, curdi, cristiani e non come iracheni, libanesi o quant’altro. Nessuna meraviglia – prosegue l’articolo – che il mondo arabo appaia oggi molto più frammentato, povero e senza prospettive di quanto non fosse all’alba della sua indipendenza… Per la maggior parte di questi mali, i regimi arabi devono prendersela solo con se stessi. In effetti, ci hanno lasciato ben poco da celebrare”.
In conclusione, tenendo nella dovuta considerazione la storia di 1.400 anni di violenze inter-arabe, lo stato ebraico farebbe bene a mantenere un margine di sicurezza dettato dalla realtà del Medio Oriente e non dai propri pii desideri.
I futuri confini difendibili d’Israele e gli accordi che saranno conclusi con i leader arabi dovranno tener essere tali da poter reggere alle conseguenze di imprevedibili annullamenti e cambi di regime inter-arabi altamente probabili e potenzialmente violenti. Le necessità della sicurezza devono essere misurate su quella che è la realtà inter-araba invariabilmente confermata da 1.400 anni: mai una pace globale inter-araba, mai reale ottemperanza inter-araba alla maggior parte degli accordi inter-arabi, mai una ratifica inter-araba di tutti i confini inter-arabi, mai una vera democrazia araba.

(Da: YnetNews, 10.1.10)

Nella foto in alto: Yoram Ettinger, autore di questo articolo