Una guerra per il petrolio?

Non occorre invadere un paese per avere il petrolio: basta staccare un assegno

Da un articolo di Gwynne Dyer

image_1840[…] ”Per quanta ansia potessero provare per le armi di distruzione di massa di Saddam Hussein – ha scritto l’ex presidente della Federal Reserve statunitense Alan Greenspan nel suo ultimo libro – le autorità americane e britanniche erano anche molto preoccupate per le violenze in un’area che contiene una risorsa indispensabile per il funzionamento dell’economia mondiale. Mi dispiace che sia politicamente sconveniente riconoscere quello che sanno tutti: che la guerra in Iraq è in gran parte dovuta al petrolio”.
Quello che sanno tutti? No, piuttosto quello che tutti sono stati indotti a credere da contestatori e manipolatori. E persino il vecchio Greenspan ci è cascato.
Intervistato la scorsa settimana, dopo la pubblicazione del suo libro, Greenspan ha spiegato che Saddam intendeva impadronirsi dello Stretto di Hormuz per assumere il controllo del passaggio delle petroliere nell’unica via d’accesso al Golfo Persico. Un proposito, dice Greenspan, che sarebbe stato “devastante per l’occidente” se Saddam fosse riuscito a realizzarlo. Il dittatore iracheno avrebbe potuto interrompere il transito di cinque milioni di barili di petrolio al giorno, “mettendo in ginocchio il mondo industrializzato”.
In realtà, la quantità di petrolio che ogni giorno lascia l’Arabia Saudita, l’Iraq, l’Iran, il Kuwait, il Qatar e gli Emirati Arabi Uniti sulle petroliere che transitano per lo Stretto di Hormuz è più del doppio, dal che si capisce che si tratta effettivamente d’una via d’acqua cruciale. Ma Saddam non avrebbe mai potuto bloccarla.
Saddam era sicuramente una pessima persona. Probabilmente deteneva il record, nel Medio Oriente contemporaneo, per il numero di cittadini che il suo esercito e la sua polizia segreta hanno torturato e assassinato. Ma prendere il controllo dello Stretto di Hormuz? Aveva più o meno le stesse probabilità di riuscirci delle probabilità che aveva di prendere il controllo del Canale della Manica, come peraltro può intuire chiunque abbia anche solo presente una carta geografica di quella zona.
L’Iraq si affaccia all’estremità nord-occidentale del Golfo Persico, a 1.000 km di distanza dallo Stretto di Hormuz. Dispone di solo 50 km di linea costiera, e la gran parte delle sue forze navali e aeree sono state distrutte nella guerra del Golfo del 1991. Non ha alcuna possibilità strategica di spingersi così a est. Quand’anche la marina americana non fosse presente in modo permanente in Golfo con forze soverchianti, il concetto stesso di una minaccia militare irachena sullo Stretto di Hormuz sarebbe comunque una sciocchezza.
L’unico paese della regione che ha la capacità militare di bloccare lo Stretto di Hormuz è l’Iran. Tuttavia, dal momento che dipende delle entrate petrolifere per sostenere la sua economia interna e nutrire la sua popolazione, l’Iran non lo farebbe mai a meno che non fosse attaccato. Può chiamare gli Stati Uniti il “Grande Satana” tutte le volte che vuole, ma sin dalla rivoluzione del 1979 ha continuato ogni anno a pompare petrolio più che può e a venderlo al prezzo del mercato mondiale. L’Iran non può permettersi il lusso di preoccuparsi di sapere dove va a finire il suo petrolio.
Lo stesso vale per tutti i maggiori esportatori di petrolio, indipendentemente da quelle che sono le loro convinzioni politiche. Essi devono vendere il loro petrolio, sicché all’occidente non importa granché chi governi in questi paesi (anche se la cosa importa, e non poco, a chi in quei paesi ci vive). Non occorre invadere dei paesi per avere il loro petrolio, basta staccargli un assegno.
Né avrebbe alcun senso invadere l’Iraq per controllare il prezzo del petrolio. Il prezzo del petrolio è fissato da un mercato globale molto efficiente, e nemmeno tutto il petrolio iracheno garantirebbe una leva sufficiente per pilotare verso il basso il prezzo mondiale del petrolio. E poi, perché mai un’amministrazione i cui più stretti amici sono petrolieri americani dovrebbe voler abbassare forzatamente il prezzo del petrolio?
Senza dubbio Greenspan è convinto di quello che ha detto, ma resta lo stesso una cosa senza senso. È semplicemente caduto nella classica chiacchiera da bar del genere “è tutta colpa del petrolio”, che serve solo a distrarre l’elettorato occidentale dalle motivazioni ben più complesse, e non necessariamente più difendibili, dei loro governi. […]

(Da: Jerusalem Post, 23.09.07)