Una morte scomoda

Nessuno aveva spiegato ad Angelo Frammartino la vera natura dellodio seminato dai nemici di Israele

Da articoli di Calev Ben-David, Barbara Sofer, Sharon Nizza

image_1348Scrive Calev Ben-David:
Come Rachel Corrie, anche il 24enne Angelo Frammartino era un giovane attivista politico forestiero pieno di ideali venuto in Israele a lavorare per i palestinesi. E come lei, anche Frammartino ha incontrato una fine violenta. Ma a differenza di Rachel Corrie, che rimase uccisa tre anni fa da un bulldozer israeliano in manovra nella striscia di Gaza, per Angelo Frammartino molto probabilmente non verranno composte canzoni, non verranno messe in scena piece teatrali né girati documentari cinematografici.Forse invece bisognerebbe farli, perché l’assassinio di Frammartino a Gerusalemme la scorsa settimana assume valenze che vanno oltre le circostanze immediate della sua tragica morte. (…)
Frammartino personalmente non aveva mai commesso alcuna violenza. Tuttavia aveva espresso quella che, a posteriori, potrebbe apparire come una condiscendenza un po’ troppo generosa verso le violenze di altri. In una lettera inviata pochi mesi fa a un giornale italiano aveva scritto: «Dobbiamo riconoscere che la non-violenza è un lusso per molti angoli del mondo, noi infatti non chiediamo di abrogare la legittima difesa. Mai mi sognerei di condannare la Resistenza, il sangue del pueblo vietnamita, la riscossa dei popoli colonizzati e le fionde dei ragazzi palestinesi della prima intifada». Evidentemente non aveva mai pensato che queste violenze potessero toccarlo personalmente. “Ci avevano garantito che era una zona pacifica – ha dichiarato un suo famigliare alla stampa – e che comunque non c’erano pericoli”. Un’affermazione che suona alquanto ingenua data la situazione di tensione in tutta la regione.
Ma forse questa errata convinzione non deve sorprendere più di tanto, dal momento che, anche dopo la morte di Frammartino, l’ARCI si è affrettata a diffondere una dichiarazione sul suo sito web dove afferma: “Non crediamo che questa immane tragedia umana possa essere interpretata in chiave politica, come un atto terroristico o una manifestazione di odio etnico. È sicuramente il sintomo preoccupante del clima di malessere sociale, disagio e violenza che sta aggravandosi anche a Gerusalemme”.
Le due interpretazioni (politica e socio-economica) naturalmente non si escludono a vicenda. Anzi, è proprio nella loro combinazione che si può cercare di dare una spiegazione di questo atto insensato. Ma a quanto sembra, per l’ARCI è troppo sconveniente riconoscere persino la possibilità che terrorismo e odio etnico abbiamo giocato un ruolo nell’assassinio di Frammartino, nonostante il fatto che elementi estremisti della jihad islamica nella società araba e palestinese investano enormi energie nello sforzo di inculcare proprio questi concetti nella mente delle loro giovani generazioni.
La morte del povero Frammartino è stata tanto intempestiva quanto sconveniente. Capitata durante uno dei più duri scontri armati fra Forze di Difesa israeliane e Hezbollah, è stata praticamente ignorata dai mass-media internazionali al di fuori di Israele e Italia.
Eppure il destino di Frammartino, ancorché ignorato dalla stampa, non è del tutto slegato da quello delle tante altre centinaia di persone nel nord che sono state uccise o ferite in quello stesso periodo. Tant’è che la gran parte del mondo ha incontrato analoghe difficoltà a capire correttamente la battaglia di Israele contro Hezbollah, sebbene esista una connessione diretta tra la diffusa violenza che ha sconvolto Israele e Libano nel mese scorso e quel singolo, autonomo assassinio che ha avuto luogo il 10 agosto scorso a Gerusalemme
Angelo Frammartino, quali che fossero le sue idee politiche, era venuto in Israele per una scelta altruistica di aiuto ai bambini palestinesi, e per questo merita stima e rispetto. Però forse Angelo e sicuramente quelli che lo avevano mandato non erano disposti ad ammettere che in questa regione esistono e sono all’opera forze che vanno ben la di là di qualunque torto legittimamente lamentato dai palestinesi o da altri arabi verso lo stato ebraico. Si tratta dell’odio e del rancore cieco, gratuito e indiscriminato che promuove e alimenta gli atti di terrorismo e le espressioni immorali di violenza contro Israele in quanto tale e gli israeliani in quanto tali, della contorta ideologia dei movimenti estremisti, delle corrotte e ciniche dittature arabe e soprattutto dei gruppi fondamentalisti islamici che si oppongono non solo a qualunque autentica manifestazione di coesistenza con Israele, ma anche a qualunque reale accettazione dei più autentici valori di libertà, eguaglianza e democrazia.
Questa è la nefasta influenza esercitata da Hezbollah, Hamas, Siria e soprattutto Iran, che considerano qualunque manifestazione di “resistenza” contro Israele e l’occidente come comprensibile, giustificabile e legittima, che si tratti di attacchi a freddo contro soldati in territorio israeliano, di lanci di razzi sui civili israeliani o di aggressioni a caso contro turisti occidentali mentre passeggiano per le vie di Gerusalemme.
Affinché in questo angolo del mondo sopraggiunga una vera pace è necessario prima di tutto che la comunità internazionale, e in primo luogo l’Europa, pervengano alla chiara consapevolezza della diffusa e crescente influenza esercitata da questa mentalità sul mondo islamico, e alla concreta determinazione di muoversi per contrastarla.
Mi auguro che un messaggio di questo tipo venga trasmesso alle migliaia di giovani soldati europei, compresi quelli italiani, che sono in procinto di partire nel quadro della rafforzata forza UNIFIL destinata a preservare la pace al confine settentrionale d’Israele.
Non si tratta molto probabilmente dell’avvertimento che Angelo Frammartino avrebbe voluto che fosse legato al suo nome. Ma la sua tragica morte ci ricorda nondimeno che i forestieri che giungono in questa regione, anche se animati dalle migliori intenzioni, dovrebbero prima di tutto capire che anche loro non meno degli israeliani – come peraltro anche tutti coloro nel mondo arabo che desiderano davvero la pace – sono nel mirino di quelli che sono animati solo dalle peggiori intenzioni.
(Da: Jerusalem Post, 17.08.06)

Scrive Barbara Sofer:
(…) Voglio esprimere le mie condoglianze. Dalla descrizione sui giornali, Angelo Frammartino emerge come uno splendido giovane, capace – a differenza della maggior parte dei suoi coetanei – di rinunciare a una vacanza sulle spiagge per venire in Medio Oriente a operare in condizioni assai disagevoli. E non si può che essere addolorati per l’ennesima giovane vita che va ad aggiungersi alla lista delle vittime del terrorismo nel nostro paese.
È piuttosto facile restare abbagliati dalla romantica causa palestinese, come peraltro da quella libanese, per poi sperimentare una cocente delusione alla scoperta di quanto sia estesa la violenza dell’estremismo islamico. Come potremmo incolpare il povero Frammartino per essere stato ingannato ed essere corso in aiuto di una società che in tutti in sondaggi coerentemente sostiene la violenza? Facile ingannarsi. Basta ascoltare tutti quei commentatori che parlano del Libano in modo idilliaco, come del nostro buon vicino del nord “preso in ostaggio” da elementi stranieri. Di recente ho dovuto interropere una conferenza per chiarire le cose a un uditorio di stranieri che non avevano capito che Hezbollah è un’organizzazione libanese. Saranno anche addestrati al terrorismo, armati e sostenuti da iraniani e siriani, ma sono genuini e autentici libanesi. Ho poi chiesto a due importanti opinionisti quanto avessero ottenuto i jihadisti Hezbollah alle ultime elezioni libanesi, ed entrambi hanno dato cifre clamorosamente troppo basse. Hezbollah non è un gruppuscolo estremista. È il secondo partito libanese, con 35 seggi su 132. Così come i “campi profughi” sono fatti per sembrare zone extraterritoriali anziché cittadine e quartieri palestinesi, allo stesso modo facciamo finta di credere che Hezbollah non sia un fenomeno autenticamente libanese. E invece in quel paese sono visti come gli eroi più popolari, certo non come una banda di sequestratori e ricattatori. Quando Ehud Goldwasser e Eldad Regev vennero sequestrati su suolo israeliano, a Beirut si festeggiava distribuendo dolci per la strada. (…)
Ho un’idea da suggerire per onorare la memoria di Angelo Frammartino. Esiste una fondazione che prende il nome da Kobi Mandel, un ragazzino israeliano di tredici anni, anch’egli come il giovane italiano barbaramente assassinato da terroristi palestinesi. La fondazione organizza campeggi con attività psico-terapeutiche per bambini e ragazzi sopravvissuti ad attentati terroristici o che hanno perduto famigliari in attentati terroristici. Seth e Sherrie, gli affranti genitori di Kobi Mandel, hanno creato un campeggio dove si cerca di curare le ferite nel corpo e nell’anima di bambini colpiti dal terrorismo. È un’iniziativa del tutto apolitica, ed ospita sia ebrei che non ebrei. I famigliari di Frammartino, i suoi amici, la città di Monterotondo potrebbero decidere di sostenere con donazioni questa meritoria iniziativa, che si adopera per lenire il dolore arrecato da coloro che hanno ingannato e ucciso il loro Angelo.
(Da: Jerusalem Post, 17.08.06)

Vedi anche: Kobi Mandel Foundation

http://www.kobymandell.org/

Nella foto in alto: Kobi Mandel, ucciso a 13 anni insieme al suo compagno di classe Yosef Ishran, l’8 maggio 2001 da terroristi palestinesi in una grotta nei pressi di Tekoa, il villaggio israeliano in Cisgiordania dove Kobi e Ysef viveano.

UNA LETTERA DA GERUSALEMME
“Guardando i notiziari che comunicavano l’arresto del presunto colpevole dell’omicidio di Angelo Frammartino, avevo le lacrime agli occhi. «L’improvvisato omicida», come lo definisce SkyNews, avrebbe ucciso il volontario italiano per errore. Un errore fatale, visto che il presunto assassino, palestinese legato alla jihad islamica, era venuto a Gerusalemme con l’intenzione di uccidere un ebreo e «ha trovato invece un giovane italiano» (si vede che anche il giovane italiano aveva il naso un po’ aquilino). «Ma questo, il giovane palestinese l’ha saputo troppo tardi», riporta il Tg3. Già, perché, stando a questa narrazione, se solo avesse saputo chi la sua lama stava per andare a sgozzare, allora si sarebbe fermato in tempo, avrebbe abbracciato e ringraziato il giovane pacifista e sarebbe andato alla ricerca di sangue ebraico, una mossa decisamente più umanamente comprensibile e giustificabile.
Sono una coetanea di Angelo, e non mi considero meno «pacifista» di lui, in termini sia di volontà di raggiungere la pace nel mondo, sia di attivismo per una convivenza pacifica tra palestinesi e israeliani. Vivo in Israele da quattro anni, sono ebrea e pure rea di chiamarmi Sharon. Nell’ultimo anno, ho percorso la strada dove è stato ucciso Angelo regolarmente una volta la settimana, la domenica, quando, finito il volontariato che prestavo in un centro del quartiere Wadi el-Joz di Gerusalemme Est, mi recavo poi verso il centro della città. Sono indignata dall’assoluta indifferenza manifestata nei confronti del reale obiettivo dell’assassino. Nessuna parola di sdegno, di disapprovazione di una follia omicida che avrebbe dovuto essere rivolta contro una persona colpevole del crimine di appartenere alla religione ebraica. Ma forse, secondo la filosofia pacifondaia, un ebreo sarebbe stato un giusto obiettivo della resistenza palestinese.
Sharon Nizza, Gerusalemme
(Da: Il Foglio, 22.08.06)