Una pace in quattro fasi

Il giusto approccio negoziale secondo un veterano del processo di Oslo

Da un articolo di Uri Savir

image_1933Nel maggio 1996 vennero ufficialmente avviati i negoziati tra Israele e palestinesi per lo status definitivo [negoziati per la soluzione permanente del conflitto paralleli a quelli per gli accordi ad interim erano previsti dal processo di Oslo]. Personalmente rappresentavo Israele e il mio interlocutore palestinese era Mahmoud Abbas (Abu Mazen). I colloqui sullo status definitivo durarono solo due ore. Decidemmo di iniziare i nostri negoziati parlando piuttosto dell’esito auspicabile delle relazioni fra Israele e il futuro stato palestinese. Intendevamo concentrare l’attenzione su questo per alcuni mesi, rinviando ad un periodo successivo la soluzione delle questioni sullo status definitivo. Allora come oggi, mi pareva che i negoziati tendono ad essere inutilmente imprigionati nello sforzo di risolvere il passato, anziché impiegare le energie di entrambi nelle sfide del futuro. La lezione da apprendere per gli imminenti negoziati è che le future relazioni israelo-palestinesi devono essere affrontate con lo stesso vigore e la stessa capacità di visione impiegata nella risoluzione delle questioni sul tavolo dello status definitivo.
Su questa base, proporrei un processo negoziale in quattro fasi.
Fase Uno: normalizzazione delle relazioni
Sin dall’inizio, i negoziatori devono condividere una prospettiva a lungo termine sulle future relazioni israelo-palestinesi che comporti stretti legami diplomatici, consolari e culturali. La qualità di queste relazioni deve fondarsi su processi di normalizzazione e cooperazione che vadano al di là dell’attuale esperienza di Israele con Egitto e Giordania, e che facciano da modello per eventuali relazioni con altri paesi arabi. A tale scopo, questa partnership dovrebbe dare vita a una solida cooperazione economica, a joint ventures nelle zone industriali, a un’area di libero scambio con Europa e Stati Uniti e ad un approccio reciproco per la condivisione delle risorse idriche e regionali. Si dovrebbe coltivare un ampio programma di attività people-to-people finanziate dalla comunità internazionale per creare una cultura complessiva della coesistenza pacifica a ogni livello della società. Il che a sua volta favorirebbe metodi di peacemaking più efficaci. Dai programmi giovanili ai progetti inter-municipali, dalla cooperazione professionale all’ampio coinvolgimento di entrambe le società civili, una crescente cultura della pace contribuirebbe in modo sostanziale all’efficacia dei negoziati.
Fase Due: disposizioni per la sicurezza
Israele avrà molte meno difficoltà a fare concessioni se la sua leadership potrà contare sul fatto che vengano soddisfatte misure per la sicurezza e contro il terrorismo, compresa la piena applicazione della prima fase prevista dalla Road Map del Quartetto Usa, Ue, Russia e Onu, vale a dire lo smantellamento delle strutture terroristiche a cominciare dalla Cisgiordania. Circa la striscia di Gaza, non è inverosimile che i progressi nel processo politico indeboliscano seriamente Hamas e le sue potenzialità terroristiche, il cui smantellamento è precondizione indispensabile per la creazione di uno stato palestinese. Le clausole sulla sicurezza devono comprendere disposizioni dettagliate che rispondano alle preoccupazioni sulla sicurezza di entrambe le parti e che potrebbero contemplare anche un accordo anti-terrorismo a livello regionale sulla falsariga della dichiarazione anti-terrorismo di Sharm-el-Sheikh del 1996. In questo contesto si potrà rilanciare la condivisione in buona fede di misure complessive e di intelligence per la sicurezza.
Fase Tre: stato palestinese e sue istituzioni
Cruciale per Israele è la formazione di uno stato democratico palestinese con moderne istituzioni e un’economia responsabile e trasparente, cioè la prima democrazia nel mondo arabo. Ciò a sua volta favorirebbe la cooperazione tra i ministri palestinesi e i loro omologhi israeliani, particolarmente nei campi della finanza, dell’istruzione, della sanità, dell’agricoltura e delle risorse idriche. Nel corso dei negoziati il rappresentante del Quartetto, Tony Blair, potrebbe essere coinvolto come un ulteriore contributo esterno neutrale.
Fase Quattro: confini, profughi e insediamenti
Negoziati sulle questioni più spinose dello status definitivo devono cominciare presto attraverso colloqui su canali secondari riservati, cosicché possano essere esplorate e migliorate soluzioni più creative e complessive. I frutti di questi colloqui dovrebbero arrivare al livello di leadership durante la fase finale dei negoziati (approssimativamente verso settembre 2008).
Ho l’impressione che la maggior parte di noi potrebbe facilmente prevedere quale sarà la natura dell’accordo sullo status definitivo.
Confini permanenti sulla base delle linee armistiziali del 1967 con modifiche che contemplino uno scambio alla pari di territori, permettendo a Israele di mantenere alcuni blocchi di insediamenti in Cisgiordania.
Sulla questione di Gerusalemme, i quartieri arabi ed ebraici verrebbero alla fine governati dalle rispettive entità palestinese e israeliana. Questo accomodamento garantirebbe per la prima volta il riconoscimento internazionale della sovranità d’Israele su Gerusalemme.
Circa i luoghi santi, la loro sovranità dovrà essere attribuita secondo la religione: il Muro Occidentale e le sinagoghe a Israele, le moschee e le chiese allo stato palestinese. Naturalmente il Monte del Tempio in quanto tale avrebbe uno status cooperativo speciale in termini di scavi e/o lavori di costruzione. Nulla impedisce di trovare soluzioni più creative per questa città unica, come ad esempio una dichiarazione delle Nazioni Unite su Gerusalemme capitale mondiale della pace. Si può immaginare che l’Onu, in gesto sia simbolico che concreto, trasferisca a Gerusalemme un sostanziale numero di istituzioni come l’Unesco o gli uffici centrali delle forze di peacekeeping.
Sulla questione dei profughi, i palestinesi devono ingoiare il rospo. Nessun israeliano, anche più moderato (me compreso), potrebbe mai accettare l’afflusso di centinaia di migliaia di palestinesi all’interno del territorio sovrano di Israele. Esattamente come gli israeliani alla fine non potranno esercitare un “diritto al ritorno” a Hebron indipendentemente da quanto stretti siano i loro legami storici e atavici con quella città, così i palestinesi non possono aspettarsi un “diritto al ritorno” a Safed in base a nessun accordo di pace negoziato. Di conseguenza, una composizione complessiva e giusta della questione dei profughi palestinesi deve contemplare per lo più il rimpatrio di palestinesi nella loro patria, cioè nel futuro stato palestinese. Inoltre, alcuni profughi del 1948 potranno essere indennizzati finanziariamente da un fondo della comunità internazionale al quale anche Israele darebbe il proprio contributo. È un’opzione anche il reinsediamento dei profughi in altri paesi, Israele compreso, ma qualunque migrazione di questo tipo sarà necessariamente governata da leggi interne che contemplino un diritto di veto all’ingresso di certi palestinesi.
In concomitanza coi negoziati, come previsto dalla recente conferenza di Annapolis bisogna creare un comitato tripartito con Stati Uniti, Israele e palestinesi il compito sian quello di monitorare l’attuazione della Road Map da entrambe le parti e i progressi nei negoziati sullo status definitivo.
In definitiva il ruolo della comunità internazionale sarà determinante, soprattutto quando si tratterà di offrire consistenti aiuti economici e finanziari all’economia palestinese.
Man mano che il processo di pace guadagnerà impulso, si può immaginare un Abu Mazen sempre più incoraggiato e una Hamas sempre più indebolita, il che risponde agli interessi strategici sia degli israeliani che degli americani.
Uno status definitivo è assolutamente necessario entro il 2008. Fallire questo obiettivo significherebbe favorire l’estremismo da entrambe le parti, mentre il successo è una possibilità concreta se si avviano negoziati in buona fede e col piede giusto.

(Da: Jerusalem Post, 10.12.07)

Nella foto in alto: Uri Savir, autore di questo articolo