Una sentenza che rasenta il ridicolo

La Corte dell'Aja non fa nemmeno finta di evitare prese di posizione politiche.

Da un articolo di Evelyn Gordon

image_291La Corte Internazionale di Giustizia dell’Aja ha due compiti: esercitare funzione di arbitrato in un contenzioso fra due Stati, e fornire pareri consultivi alle Nazioni Unite. Tuttavia, dal momento che il suo Statuto vincola espressamente la funzione di arbitrato al consenso delle parti interessate, la Corte finora si era sempre rifiutata di emettere pareri consultivi su contenziosi bilaterali nei quali tale parere, per usare le sue stesse parole, “avrebbe l’effetto di aggirare il principio secondo cui uno Stato non è obbligato a consentire che i contenziosi che lo vedono interessato vengano sottoposti a composizione giudiziaria senza il suo consenso”.
Dal momento che la barriera difensiva è chiaramente oggetto di un contenzioso bilaterale tra Israele e palestinesi, e che Israele ha rifiutato l’arbitrato della Corte dell’Aja, in questo caso doveva essere applicato il principio di cui sopra. Invece la Corte, con uno straordinario gioco di prestigio, ha deciso che la barriera non è “solo” un contenzioso bilaterale dal momento che l’Onu ha affermato “una responsabilità permanente verso la questione palestinese”, ha approvato numerose risoluzioni sulla questione e ha creato “diversi enti sussidiari specificamente istituiti per aiutare la realizzazione degli inalienabili diritti del popolo palestinese”. In altre parole, il principio secondo cui l’arbitrato richiede il consenso delle parti può essere tranquillamente aggirato dalll’Onu quando vuole, giacché l’Onu può trasformare qualunque contenzioso bilaterale in un contenzioso “non solo” bilaterale semplicemente approvando un po’ di risoluzioni e creando qualche ente sussidiario che favorisca una delle due parti. Questa interpretazione cancella di fatto un fondamentale meccanismo di garanzia previsto dallo Statuto della Corte Internazionale, un meccanismo di garanzia senza il quale molto probabilmente la maggior parte dei paesi si sarebbero rifiutati di aderirvi: il principio, appunto, per cui l’arbitrato esige il consenso delle parti.
La Corte ha poi trattato con altrettanto disprezzo anche i fatti storici. Essa ha giustamente iniziato la sua breve sintesi del conflitto arabo-israeliano partendo dal Mandato sulla Palestina istituito dalla Società delle Nazioni nel 1922. Incredibilmente, tuttavia, si è dimenticata di menzionare il fatto che lo scopo esplicito di quel Mandato era quello di istituire un “focolare nazionale ebraico” (A Jewish national home), risparmiandosi così di dover ammettere che quel “focolare nazionale” si intendeva su tutto il territorio che oggi è Israele e Cisgiordania (il resto della Palestina storica veniva lasciato alla discrezione della Gran Bretagna, che vi creò la Giordania). Tale omissione è cruciale per la Corte, perché solo così essa può sostenere che la Cisgiordania è tutta e in quanto tale “territorio palestinese occupato”, anziché un territorio conteso sul quale (o su una parte del quale) anche Israele può accampare legittime rivendicazioni.
La stessa tecnica della menzogna per omissione viene usata dalla Corte nel descrivere le guerre successive. Nel 1948, per esempio, per la Corte semplicemente “scoppia un conflitto armato”: non una parola sul fatto che cinque eserciti arabi invasero lo Stato di Israele appena fondato. Nel 1967, di nuovo, “scoppia” una guerra apparentemente senza alcuna causa: non una parola sulle manovre egiziane che portarono alla guerra, dalla chiusura degli stretti all’espulsione delle truppe Onu dal Sinai eccetera. Anche in questi casi, le omissioni sono essenziali alla Corte per poter giungere alla conclusione a cui vuole arrivare, e cioè che Israele avrebbe conquistato la Cisgiordania con un inammissibile atto di forza, e non nel quadro di una guerra di legittima autodifesa.
Per la verità, la Corte non fa nemmeno finta di evitare prese di posizione politiche. Essa infatti esorta le Nazioni Unite ad arrivare “quanto prima possibile a una soluzione negoziata dei problemi aperti e alla creazione di uno stato palestinese”. E’ difficile immaginare un atto più estraneo alla giurisdizione di una Corte di quello, non solo di prescrivere negoziati politici, ma persino di dettarne il risultato: uno stato palestinese.
Ma ancora più stupefacente, se possibile, è il totale rigetto da parte della Corte del diritto di Israele a difendersi dal terrorismo palestinese: che è, naturalmente, la vera ragione della costruzione della barriera.
Israele fonda il proprio diritto sull’articolo 51 della Carta delle Nazioni Unite, che dice: “Nulla che sia presente in questa Carta potrà inficiare l’intrinseco diritto, individuale e collettivo, all’autodifesa in caso di attacco armato contro un Membro delle Nazioni Unite”. La Corte ha respinto questo argomento di Israele sulla base di due considerazioni.
Primo, dice la Corte dell’Aja, la Carta dell’Onu riconosce il diritto di autodifesa solo “in caso di attacco armato da parte di uno Stato contro un altro Stato”, mentre Israele non subisce l’attacco da parte di uno Stato. Come ha scritto il giudice Thomas Buergenthal nella nota con cui ha motivato il suo (unico) voto contrario, questa tesi rasenta il grottesco. Non solo l’articolo 51 non contiene nessuna limitazione di questo tipo, ma le stesse risoluzioni dell’Onu citate dalla Corte dell’Aja (compresa una approvata il giorno successivo agli attentati dell’11 settembre 2001) riconoscono esplicitamente il diritto all’autodifesa di fronte all’attacco del terrorismo.
In secondo luogo, dice ancora la Corte, gli attacchi che colpiscono Israele originano dalla Cisgiordania, che è sotto controllo di Israele, e dunque essi non possono essere considerati attacchi “esterni” contro i quali Israele possa esercitare il diritto all’autodifesa. E qui, nota ancora il giudice Buergenthal, siamo al ridicolo. La Corte respinge la barriera soprattutto perché considera che la Cisgiordania e tutta la Cisgiordania non fa parte (né mai potrebbe far parte, nemmeno dopo un negoziato) del territorio sovrano d’Israele. Poi, improvvisamente, decide che la Cisgiordania è parte di Israele pur di sostenere che gli attacchi del terrorismo palestinese sono attacchi interni e non attacchi esterni.
La Corte, insomma, si copre di ridicolo pur di negare a Israele il diritto all’autodifesa, perché solo negando questo diritto può arrivare dritta dritta alla conclusione a cui voleva arrivare, e cioè che l’intera barriera in quanto tale lede i diritti dei palestinesi e pertanto è illegale. Se avesse riconosciuto un diritto all’autodifesa di Israele, allora la Corte avrebbe dovuto soppesare i travagli che la barriera provoca ai palestinesi rispetto alle dimensioni della minaccia posta dal terrorismo e alla logica militare sottesa alla determinazione del tracciato della barriera. Una valutazione [giustamente adottata dall’Alta Corte di Giustizia israeliana] che non ha nulla a che vedere con la Linea Verde, e che andrebbe condotta chilometro per chilometro, giacché la quantità di travagli per i palestinesi e di esigenze militari tendono a cambiare di sezione in sezione della barriera.
Invece, come scrive il giudice Buergenthal, “la natura degli attentati attraverso la Linea Verde e il loro impatto su Israele e sulla sua popolazione non sono mai stati davvero seriamente esaminati dalla Corte, e il dossier fornito alla Corte dalle Nazioni Unite, sul quale la Corte ha fondato in gran parte le proprie conclusioni, accenna appena all’argomento. Tutto ciò che riceviamo dalla Corte è una descrizione dei danni causati dal ‘muro’, e una discussione su varie disposizioni del diritto umanitario internazionale”.
E’ difficile crederlo, ma la Corte in tutta la sentenza non prende mai nemmeno atto del fatto che gli esecutori di quegli attentati sono palestinesi.
Ma perché aspettarsi qualcosa di diverso? Per una Corte che ha tanto cervello da gettare in un sol colpo nella pattumiera il principio dell’arbitrato consensuale, il diritto all’autodifesa e quasi cento anni di storia, dei semplici attentati terroristici sono evidentemente qualcosa di troppo banale per essere presi seriamente in considerazione.

(Da: Jerusalem Post, 13.07.04)

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