Un’altra occasione persa dai parlamentari arabi israeliani

Avrebbero dovuto essere i primi a invocare un intervento internazionale per fermare gli orrori che si consumano in Siria

Di Yoaz Hendel

I parlamentari arabi israeliani Masud Ganaim (primo da destra) e Ibrahim Sarsur (terzo da destra), della lista xx, in visita nell’abitazione del portavoce di Hamas Aziz Dwaik (secondo da destra), per rendergli omaggio dopo la sua scarcerazione (giugno 2009)

I parlamentari arabi israeliani Masud Ganaim (primo da destra) e Ibrahim Sarsur (terzo da destra) in visita nell’abitazione del portavoce di Hamas Aziz Dwaik (secondo da destra) per rendergli omaggio dopo la sua scarcerazione (giugno 2009)

Il noto scrittore, professore e polemista Edward Said scelse di vivere nella democrazia americana, predicando da una poltrona assai confortevole. Esattamente come lui, anche i parlamentari eletti dai cittadini arabi israeliani si crogiolano nella democrazia che è stata loro imposta dall’“occupazione ebraica” del 1948. Ma quando devono scegliere da che parte state, preferiscono sempre attaccare la cultura occidentale anziché fare i conti con la cultura politica araba.

I leader della comunità araba d’Israele avrebbero potuto essere simbolo ed esempio di una possibile integrazione dell’islam con la democrazia e la modernità. Avrebbero potuto rappresentare un modello per il mondo arabo, mostrandogli che le cose possono essere fatte in modo diverso. Ci si poteva aspettare che innalzassero la bandiera del progresso e della tolleranza a nome delle minoranze, e che fossero i primi a invocare un intervento della comunità internazionale in Siria, quando è apparso chiaro che erano state usate armi di distruzione di massa contro la popolazione civile – visto che questi leader arabi, che vivono nel democratico Israele, possono liberamente esprimere il loro pensiero senza timori né restrizioni.

Si sentono a loro agio nei veementi scontri con la maggioranza israeliana. A volte hanno ragione, ma il più delle volte non fanno che alimentare l’estremismo con le assurdità che proferiscono. Eppure, tutto questo coraggio per lo scontro polemico scompare all’improvviso quando le ingiustizie – e che ingiustizie! – si consumano al di là della barriera di confine. Ed ecco così il parlamentare Mohammad Barakeh che punta il dito accusatore contro l’imperialismo americano, mentre gli altri esponenti arabi israeliani si perdono in contorsioni improbabili o tacciono del tutto.

Israele non è certo un paese perfetto. Ha i suoi estremisti, e persino i suoi razzisti. Il razzismo più torbido si accompagna di solito a ignoranza e delinquenza: sintomi che devono essere trattati con la massima severità. D’altro canto, la questione dei territori contesi di Giudea e Samaria (Cisgiordania) esige una decisione diplomatica. Mantenere per 46 anni uno status quo de facto non è una politica.

E tuttavia, nonostante le difficoltà e le frange estremiste, Israele è un faro tra le nazioni. Non per il massacro in Siria o per le violazioni dei diritti umani in Arabia Saudita, ma per gli standard etici che noi stessi ci siamo dati. Siamo un faro tra le nazioni perché, dopo 65 anni di esistenza sotto costante minaccia di annientamento, il cuore della stragrande maggioranza degli israeliani non si è indurito, e non resta mai indifferente quando è testimone di gravi ingiustizie, indipendentemente da dove esse si compiano o dalla religione che vi è coinvolta.

(Da:YnetNews, 1.9.13)