Uno contro uno

Tra zero e mille scarcerazioni, questa sarebbe l’unica formula sensata e convincente

di Charley J. Levine

image_2676Israele ha urgentemente bisogno di una politica precisa riguardo allo scambio di prigionieri. Una volta ne avevamo una. Era: nessun negoziato coi terroristi, punto. Quella politica si è oggi trasformata in un assurdo “mercato a qualunque prezzo”, fino ad arrivare a venti terroriste scarcerate in cambio di una videocassetta.
Speriamo che uno giorno, il più vicino possibile, Gilad Shalit venga rilasciato. Sarà uno splendido momento, e ormai è troppo tardi per riformulare la nostra politica in questa occasione. Tuttavia, giacché rimettere in libertà centinaia di criminali incoraggia futuri sequestri di ostaggi, la politica deve davvero essere cambiata, immediatamente dopo il ritorno a casa di Shalit. Israele deve una risposta, in anticipo e inequivocabile, al capo di Hamas Khaled Mashaal che recentemente a Damasco ha significativamente osservato: “Noi siamo in grado di catturare uno Shalit e un altro Shalit e un altro Shalit, finché non ci sarà più neanche un prigioniero nelle galere del nemico”.
Questa sfida è demoralizzante perché non mette gli israeliani contro Hamas, bensì ogni singolo israeliano contro se stesso. Siamo tutti profondamente lacerati. Ciascuno di noi è un genitore o un parente che sarebbe pronto a pagare qualunque prezzo per ottenere il rilascio di un figlio. Grazie al cielo la nostra società vede Gilad Shalit non come carne da cannone da utilizzare, bensì esattamente come se fosse carne della nostra carne. Ma ciascuno di noi è anche una potenziale vittima del terrorismo, un potenziale ostaggio sequestrato. Come tali, capiamo perfettamente che arrendersi allo spietato ricatto estorsivo può sì procurarci un videotape o i resti di soldati da tempo dispersi e deceduti o anche un soldato vivo, ma al chiarissimo prezzo di incoraggiare molti altri tentativi da parte di Hamas di sequestrare altri ebrei. È una posizione insostenibile, nella quale non dovremmo mai correre il rischio di adagiarci passivamente.
Dando voce a questo concetto, di recente ho avuto una difficile conversazione con due padri di Tel Aviv, ciascuno dei quali aveva perso un figlio per colpa dei terroristi. Essi erano contrari alla scarcerazione di detenuti palestinesi per un qualunque israeliano. Sapevano che la loro posizione è impopolare benché basata su solidi principi, e chiedevano il mio consiglio su come comunicarla al pubblico in modo persuasivo. Il mio ingrato compito è stato quello di dir loro che semplicemente non funzionerebbe: sul piano emotivo, messo a confronto con il ritorno a casa di un israeliano reale e vivo, il rifiuto di trattare semplicemente non ha speranze di guadagnarsi l’appoggio della gente. Eppure la gente non ama l’idea di scarcerare un migliaio di criminali incalliti, molti dei quali si sono direttamente macchiati di reati di sangue.
Uno contro uno. Improvvisamente mi è balenato nella mente questo pensiero. Da qualche, parte fra zero e mille, si colloca questa formula del tutto sensata e convincente.
Si consideri: certo che siamo contrari a trattative coi terroristi, scambiare un terrorista per un israeliano è un pensiero disgustoso. Tuttavia nel principio “uno contro uno” c’è una logica stringente”, che è intellettualmente intuitiva e eticamente non potrebbe essere più chiara.
Il giorno stesso in cui Shalit arriverà a casa, Israele dovrebbe annunciare la sua nuova politica, inflessibile e inviolabile: faremo tutto il possibile per impedire futuri sequestri, e la nostra politica rimane quella di non premiare i terroristi per i loro crimini; in ogni caso, il massimo che mai accetteremo, in qualunque circostanza, per eventuali scambi futuri sarà: uno. Potremo eventualmente trattare su chi debba essere questo uno, ma mai più tratteremo su quanti. E questo principio dovrebbe essere fissato con una legge.
So che anche questo non mancherebbe di suscitare questioni. Alcuni sosterranno, non a torto, che è già troppo scarcerare una persona malvagia per ottenere il rilascio di un innocente. Non può esservi alcuna equivalenza morale fra il terrorista e colui che dal terrorista si difende. Altri diranno di non arrischiarsi a legare le mani del governo, ragion per cui nessuna strategia dovrebbe essere incisa nel marmo: se a un certo punto avremo bisogno di rimettere in libertà cinque cattivi, o cinquanta, o cinquecento, che i leader facciano le dovute valutazioni secondo ciò che ingiunge ogni singola la situazione. Ma è proprio qui il mio punto: è la situazione che non è incisa nel marmo, mentre devono esserlo i principi.
Non molto tempo fa, i civili del quartiere Gilo di Gerusalemme subivano cecchinaggi quotidiani, autobus esplodevano nelle strade di Tel Aviv e di Haifa, razzi piovevano sulle case di Sderot, attentatori suicidi penetravano nelle nostre città come se non incontrassero ostacoli. Quei sanguinosi attentati sono in gran parte cessati. Molto ha fatto un’efficace opera di intelligence, ma altrettanto hanno contribuito i cambiamenti nelle scelte politiche. Molti incendi sono stati domati grazie a misure di anti-terrorismo razionali ed efficaci. Sono stati fatti cambiamenti, e i cambiamenti hanno funzionato.
Hamas è riuscita a sequestrare un singolo soldato e a trattenerlo. Non è cosa facile da farsi. Vi saranno certamente altri tentativi, ma la nuova politica dell’“uno contro uno” smorzerebbe la propensione dei palestinesi anche solo a tentare nuovi sequestri di ostaggi. Sapendo che anche il più riuscito dei sequestri frutterebbe loro al massimo una singola scarcerazione, e non mille, finirebbero per abbandonare questa tattica.
Ciò che la barriera di sicurezza è diventata per un incalcolabile numero di potenziali stragisti, la politica dell’“uno contro uno” potrebbe essere per coloro che tramano futuri sequestrai di ostaggi.
Dobbiamo essere assolutamente risoluti.

(Da: Jerusalem Post, 25.11.09)